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martedì 27 ottobre 2020

LA FAVOLA DEL GRANDE CUS TORINO. Di Filippo Vagli


Alla fine degli anni 70 Torino è una città ferita. Alle ore 13,55 del 16 novembre del 1977, il giornalista e scrittore Carlo Casalegno mentre sta facendo ritorno a casa, viene raggiunto da quattro colpi di pistola sparati in pieno volto da un gruppo appartenente alla colonna torinese delle Brigate Rosse. La sua colpa, pubblicare articoli dal contenuto ostile alla lotta armata che in quegli anni insanguinava il nostro paese. Casalegno, pur avendo subito gravissime lesioni non muore subito. Morirà tredici giorni dopo, Il 29 novembre del 1977.

La Torino di quegli anni sta vivendo l’immenso fenomeno dell’immigrazione di massa dal sud della penisola. La Fiat, la grande industria automobilistica della famiglia Agnelli diventata tale negli anni del boom economico italiano, quelli compresi tra gli anni cinquanta e sessanta, richiama nella città piemontese migliaia e migliaia di persone tra operai ed impiegati. Il capoluogo piemontese è il simbolo della lotta di classe attraverso i suoi due estremi. L’immensa imprenditoria piemontese, che si ritrova per il thé nei salotti borghesi del centro e a pochi chilometri di distanza, nelle periferie torinesi, gli operai, le tute blu. Migliaia di immigrati da ogni parte d’Italia che vivono in edifici fatiscenti, ubicati in strade spesso prive delle opere di urbanizzazione primaria. Quartieri dormitorio in cui le persone si incrociano soltanto nell’andare e nel tornare dalla grande fabbrica.

Torino è una città in grande fermento. Lo è anche dal punto di vista sportivo. In città ci sono due squadre di calcio: la Juventus, la squadra dei “padroni” e il Torino, la squadra del “popolo”. Entrambe sono ai vertici del calcio italiano. Sono gli anni di Zoff, Cabrini e Pablito Rossi così come gli ultimi squilli di tromba del “poeta” Claudio Sala e dei “gemelli del gol” Pulici e Graziani. Ma oltre al calcio c’è un altro fenomeno sportivo che sta iniziando a far parlare di sé in città. La squadra di pallavolo, il Cus Torino Volley.

La società, fondata nel 1952, a metà degli anni ’60 approda nella serie cadetta. Vi rimane fino al 1972, anno in cui ottiene la promozione in serie A. La stagione 1972/73 è quella che vede per la prima volta la squadra giocare nella massima serie. E’ allenata da Franco Leone e schiera una rosa composta da Candia, Centalla, Fasson, Forlani A., Forlani G., Gatti, Gioia, Martorano, Pellissero, Piola, Scaccabarozzi, Cholov, Testori, Tori e un giovanissimo Gianni Lanfranco. Lanfranco è un ragazzo torinese di sedici anni che ha iniziato a praticare sport giocando come portiere nelle giovanili del Torino. Negli anni del liceo il professore di educazione fisica lo “arruola” per la squadra di volley, sport verso il quale Lanfranco possiede un vero e proprio talento. Per lui bagher, alzate, schiacciate e muri sono veri e propri talenti che la natura gli ha donato. Lanfranco li esegue con grande naturalezza e senza alcuna fatica. Tutto questo, congiuntamente a doti di salto fuori dal comune lo convincono a traslocare verso il volley. Diventerà un giocatore universale. Prima un palleggiatore con spiccate doti anche di schiacciatore e poi un centrale, uno dei centrali più forti al mondo, di fatto un’icona, l’idolo della pallavolo italiana degli anni Settanta e Ottanta.

Nella stagione 1972/73 sono Ruini Firenze, Panini Modena e Lubiam Bologna a contendersi lo scudetto. Torino fatica a stare a quei livelli e chiude la stagione al terzultimo posto con otto punti frutto di quattro partite vinte e ben diciotto perse. Teoricamente sarebbe retrocessione ma l’allargamento a 14 squadre della serie A deciso dalla Federazione, ripesca tutte le retrocesse e quindi il Cus Torino è salvo.

Nella stagione successiva Torino inserisce nella rosa un paio di giocatori di ottimo livello. Diego Borgna, classe 1953, posto quattro di grande sostanza, ma soprattutto un palleggiatore che ha fatto la storia della volley, il bulgaro Dimitar Karov regista della Bulgaria quarta alle olimpiadi di Monaco 72. L’intelligenza tattica e la sapienti mani del bulgaro alzano il livello qualitativo della squadra, che si classifica al quinto posto finale con 32 punti.

Ma è nell’anno successivo, stagione 1974/75, che il Cus Torino cresce in maniera esponenziale e sfiora la conquista dello scudetto. In un epoca in cui ancora non esistevano i playoff si classifica seconda, con solo due punti in meno dell’Ariccia Roma di Renato Ammannito che può schierare un sestetto composto da Mario Mattioli in cabina di regia, dal lungagnone Di Coste opposto, da Salemme e Coletti centrali ed infine dalla coppia Nencini - Kirk Kilgour, lo statunitense volante, a schiacciare da posto quattro.

Torino ci prende gusto e la stagione successiva, 1975/76, regala al Cus la novità dello sponsor “Klippan”, che porta una ventata d’ossigeno nelle casse della società piemontese. L’ex tecnico - factotum Franco Leone, che a Torino è un istituzione della pallavolo, prende posto dietro la scrivania più importante della società e fa accomodare in panchina il bulgaro Karov, utilizzandolo nel doppio ruolo di allenatore – giocatore. Per irrobustire il reparto degli schiacciatori scippa la Panini Modena di uno dei giocatori più forti d’Italia, l’esperto e pluriscudettato Andrea Nannini, 31 anni, di ruolo universale e straordinario ricevitore. Sarà proprio una lotta testa a testa tra Torino e Modena, il leitmotiv dell’intera stagione. Le due compagini concludono la stagione a pari punti e servirà uno spareggio al PalaLido di Milano per assegnare il titolo di Campione d’Italia. Saranno i modenesi, che schierano un 4-2 con Dall’Olio e Morandi in cabina di regia, Skorek e Montorsi centrali con grandi doti di attaccanti (Skorek attacca anche dalla seconda linea, rarità assoluta per la pallavolo di quegli anni) e Sibani e Giovenzana schierati nel ruolo di schiacciatori, ad avere la meglio con un 3-0 senza storia (15-12, 15-12, 15-5 i parziali)  

I dirigenti di Torino sono convinti che l’epoca Karov stia volgendo al termine e per sostituirlo si rivolgono ad un esperto palleggiatore cecoslovacco, il fuoriclasse Jiri Svoboda, già campione d’Italia con la Pallavolo Parma nella stagione 1968/69 . Karov non gradisce la scelta e prepara le valigie, liberando oltre che il posto in regia anche quello di allenatore. Franco Leone , senza esitazione alcuna, fa accomodare in panchina un giovane tecnico, Silvano Prandi, di San Benedetto Belbo, che nel 1972 aveva terminato la carriera di atleta proprio nel Cus Torino. Un’intuizione che risulterà geniale dal momento che il “professore” (il soprannome che contraddistinguerà la carriera di Silvano Prandi) verrà consacrato alla storia come uno dei tecnici più vincenti e apprezzati della pallavolo non solo italiana ma mondiale. Prandi imposta una squadra giovane, consapevole che nel medio - lungo termine potrà diventare di primo livello. Perde Andrea Nannini che si trasferisce al Gonzaga Milano di Walter Rapetti ma questo non lo demoralizza, anzi. Sempre più convinto che la politica migliore sia quella di puntare sui giovani porta in prima squadra due giovani talenti “autoctoni”, il palleggiatore - attaccante Piero Rebaudengo, antesignano del target del palleggiatore moderno e Giancarlo Dametto, centrale dotato di uno spiccato talento naturale nel fondamentale del muro. Due atleti che nei rispettivi ruoli, diventeranno giocatori di levatura mondiale.

L’era Prandi si apre con un onorevole quarto posto, in una stagione che laureerà campione d’Italia la Federlazio Roma di Mario Mattioli. Nella stagione successiva, 1977/78, i piemontesi scaleranno un’ulteriore posizione chiudendo al terzo posto dietro a Roma e alla Paoletti Catania neo campione d’Italia.

Dopo due anni di rodaggio, nella stagione 1978/79, Prandi può presentare ai nastri di partenza una squadra che oltre al talento ha acquisito l’esperienza necessaria per affrontare da protagonista la nostra serie A. Conferma l’intera rosa di atleti in cui spicca sempre di più un giovane schiacciatore friulano, Franco Bertoli, acquistato nel corso dell’estate 1977 dalla Dermatrophine Padova, che grazie alla potenza delle sue schiacciate verrà soprannominato “mano di pietra”. Prandi, oltre che ad essere un rinomato insegnante di pallavolo, è anche un eminente studioso di tecniche e metodologie di allenamento e di gioco. E proprio studiando i migliori, vale a dire i mostri sovietici, che in quegli anni stanno dominando la scena mondiale, capisce che in quella pallavolo che ancora si gioca con il cambio palla, due fondamentali ancor più degli altri potevano diventare decisivi: la battuta e il muro. Saranno proprio le battute potenti e precise (Franco Bertoli sarà tra i primi a sdoganare la battuta in salto) e i muri granitici dei piemontesi a mettere il cappio al collo al cambio palla delle squadre avversarie. La Klippan schiera un 4-2 di grande sostanza con Rebaudengo e Gianni Lanfranco a smistare il traffico e ad attaccare come veri e propri martelli, Pilotti e Dametto centrali in stile sovietico dal muro invalicabile e in posto quattro due schiacciatori che si completano l’un l’altro: Bertoli martello di palla alta devastante e Borgna uomo d’ordine e di equilibrio. La squadra cresce partita dopo partita e al termine di una cavalcata straordinaria, prima affianca Modena e poi nell’ultima giornata in un PalaRuffini gremito da oltre settemila tifosi la supera, schiantandola con un 3-0 senza storia che lascerà ai canarini guidati dal Prof. Guidetti la miseria di 18 punti complessivi. Per la prima volta Torino può festeggiare uno scudetto anche nella pallavolo.  

La stagione successiva, 1979/80, è trionfale. Torino, oltre che confermarsi campione d’Italia con sei punti di vantaggio sulla Paoletti Catania, riesce a conquistare anche il trofeo continentale più ambito, la Coppa dei Campioni. E’ la prima squadra dell’Europa dell’Ovest ad aggiudicarsi il titolo di Campione d’Europa, riuscendo a battere nella Finale di Ankara, i cecoslovacchi della Stella Rossa di Bratislava con un netto 3-0.

L’estate del 1980 ha un sapore agrodolce per i piemontesi. Da un lato l’arrivo di un nuovo e ricco sponsor, Robedikappa, importante marchio torinese. Dall’altro, il “golden boy” della pallavolo italiana Gianni Lanfranco, che nel frattempo ha cambiato ruolo diventando uno dei centrali più forti del mondo, passa alla ricca Santal Parma. Il patron Callisto Tanzi gli ha offerto non solo un principesco contratto ma anche il ruolo di testimonial della squadra emiliana. Franco Leone non può dar nulla per trattenerlo a Torino ma riesce a sostituirlo con un altro totem della pallavolo europea, il bulgaro Dimitar Zlatanov. Il centralone dell’est europeo, alto, potente ed esperto, ha appena vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca e non fa rimpiangere il Gianni nazionale. Prandi da buon stratega ha modificato il modulo di gioco passando alla formula del palleggiatore unico, Rebaudengo e inserendo l’universale Pilotti nel ruolo di opposto. Zlatanov e Dametto sono le due saracinesche al centro della rete, mentre Bertoli e Borgna continuano ad essere la coppia di martelli più efficace della nostra serie A. La squadra si laurea Campione d’Italia con quattro giornate di anticipo vincendo tutte le ventidue gare in programma perdendo soltanto sette set nell’intero campionato. Un vero e proprio rullo compressore. Le cose non vanno altrettanto bene in Europa. Il sorteggio dei quarti di finale non è benevolo per i piemontesi che nell’urna pescano i fortissimi sovietici del CSKA Mosca di Savin, Moliboga e Pancenko, che si aggiudicano entrambe le gare di andata e ritorno eliminando gli uomini di Prandi.

La stagione 1981/82 porta con sé una novità rivoluzionaria per la pallavolo italiana: l’introduzione dei playoff scudetto, e dopo due scudetti consecutivi la Robedikappa dovrà lasciare strada ad una grandissima Santal Parma. I parmensi, guidati dal funambolico Kim Ho Chul in cabina di regia, si classificano al secondo posto in regular season ma nei play off sciorinano le loro migliori prestazioni stagionali, eliminando prima il Latte Cigno Chieti e poi la Panini Modena. La gara due della semifinale tra Panini e Santal rimarrà storica per il 3-0 a tavolino a favore degli emiliani (sul campo la vittoria era andata a Modena per 3-1) a causa dell’infortunio occorso al palleggiatore Kim Ho Chul, ferito al viso da una monetina lanciata in campo da un tifoso modenese durante l’incontro stesso. Gara 1 e gara 2 della finale si chiudono entrambe 3-0 per la squadra di casa e si va quindi a gara 3, dove gli uomini di mister Claudio Piazza si impongono con un perentorio 3-1 davanti a dodicimila persone che gremiscono gli spalti del Palazzo della Vela di Torino. Nemmeno l’Europa sorride a Rebaudengo. Dopo aver eliminato gli ostici Cecoslovacchi della Stella Rossa di Bratislava, i torinesi conquistano l’accesso alla Final Four di Parigi insieme agli ellenici dell’Olympiakos di Atene, ai rumeni della Dinamo Bucarest e i mostri sacri sovietici dell’Armata Rossa di Mosca, quel CSKA che pare essere imbattibile. Nella capitale francese la squadra Italiana parte bene battendo piuttosto agevolmente sia i greci che i rumeni, ma nella terza partita si deve arrendere allo strapotere dell’orso sovietico che con un 3-1 impone la sua implacabile legge. 

L’estate del 1982 vede un profondo rinnovamento in casa Kappa. Hanno salutato la compagnia Diego Borgna con destinazione Pescara e Zlatanov attratto dagli yen Giapponesi. Leona e Prandi li hanno sostituiti con lo yankee Tim Howland e con il giovane Guido De Luigi. Howland è un ventitreenne di Los Angeles di 194 centimetri. Fisico scultoreo, proviene dal Beach Volley e si destreggia con estrema padronanza in tutti i fondamentali. Genio e sregolatezza, eccentrico, stravagante, con una vita privata ricca di eccessi, ma nello stesso tempo grandissimo professionista e trascinatore in palestra. Lo statunitense verrà schierato da Prandi nel ruolo di schiacciatore di posto quattro dove grazie alla sua grande personalità abbinata a doti fisiche e tecniche di prim’ordine risulterà essere uno degli schiacciatori migliori della nostra serie A. Guido De Luigi, torinese di 19 anni e 199 centimetri, proviene dalla “cantera” torinese e come tutti i centrali di scuola Prandi non è particolarmente appariscente ma molto efficace, soprattutto nel fondamentale del muro. Torino vince la regular season con quattro punti di vantaggio sulla Santal Parma dopo un testa a testa durato tuta la stagione. I play off iniziano bene. Elimina in due partite il Gandi Firenze allenato da Mario Mattioli ed in semifinale la Panini Modena. In finale, esattamente come dodici mesi prima, ritrova la Santal. Gara 1 è un netto 3-0 a favore di Torino, che sembra far presagire un ritorno dello scudetto sotto la Mole. Parma però ha sette vite. Risorge in gara 2 con un tiratissimo 3-2 e si impone in gara tre, dove avrà la meglio espugnando il PalaRuffini con un 3-0 al termine di una partita perfetta. Per il secondo anno consecutivo la Kappa Torino non ha fortuna nemmeno in campo europeo. Riesce ad accedere alla finale di Coppa delle Coppe ma ne esce sconfitta dai sovietici dell’Autolobilst di Leningrado guidati magistralmente in regia da un sontuoso Viceslav Zaitsev.

L’annata 1983/84 è quella in cui la Federazione Italiana Pallavolo concede ai nostri club la possibilità di tesserare il secondo straniero. Torino deve registrare l’ennesimo brutto colpo: Franco Bertoli, dopo sei stagioni passate a randellare al PalaRuffini saluta Prandi e compagni e si accasa nella ricca Modena che gli offre un contratto principesco. Più che un buco, la perdita di Bertoli apre una vera e propria voragine nell’assetto offensivo del sestetto torinese per colmare la quale sarà necessaria una maestosa intuizione di Leone e Prandi. I due, fini conoscitori della pallavolo europea e mondiale, avevano da tempo messo gli occhi su un ventenne svedese, Bengt Gustafson. 195 centimetri di potenza pura, l’atleta nordico è dotato di un salto naturale impressionante, di un’ottima tecnica individuale, di una “spallata” che impressiona e non per ultimo di una smisurata bellezza stilistica. Decidono di portarlo a Torino e non avranno da pentirsene dal momento che Bengt diventerà uno dei martelli più forti di tutti i tempi della pallavolo mondiale. Ai nastri di partenza le grandi favorite sono Parma, campione uscente, e Modena che con gli acquisti di Franco Bertoli, Ljubomir Travica, potente martello jugoslavo e Gianmarco Venturi, fantasioso palleggiatore romagnolo ha consegnato al neo tecnico Andrea Nannini una vera e propria fuoriserie.

Tra le due litiganti, sarà però proprio Torino a godere. Nel “PrandiLab” lavorando e sudando in silenzio, i piemontesi stanno costruendo un gioiellino perfetto. L’anno precedente avevano acquistato un giovanissimo talento toscano, Fabio Vullo, 198 centimetri di tecnica e personalità. Vullo palleggia come i miglior alzatori, attacca con l’efficienza dei re della schiacciata ed in campo mette in mostra una personalità impressionante per la sua giovane età. Prandi, considerando le caratteristiche dei propri giocatori, rispolvera il modulo 4-2 che ormai tutti avevano messo in soffitta e schiera Piero Rebaudengo e Fabio Vullo a fare gioco e a randellare da posto due. Al centro della rete affianca al re dei muri Giancarlo Dametto il giovane Fabio De Luigi, atleta di grande sostanza ed efficacia nei fondamentali del muro e dell’attacco di primo tempo. In posto quattro, insieme al californiano Tim Howland, c’è Bengt Gustafson, lo svedese volante. Torino vince la regular season con venti vittorie su ventidue gare e ai play off è un vero e proprio rullo compressore. Nei quarti di finale elimina il Kutiba Falconara di Marco Paolini con un doppio 3-1, ed in semifinale regola i bolognesi della Bartolini anch’essi in due partite. Completa la sua straordinaria cavalcata vincendo la finale scudetto in sole due partite, nelle quali, al termine di due gare perfette (3-0 a Torino e 3-1 a Parma) batterà la Santal Parma con i due martelli Howland e Gustafson sugli scudi. A mettere la ciliegina sulla torta arriva anche la vittoria in Coppa delle Coppe contro gli iberici del Club Voleibol Pòrtol

Alla termine di quella straordinaria stagione Torino perde la sponsorizzazione Robe di Kappa. Tornerà a giocare prima come Cus Torino e poi per tre successive annate con lo sponsor Bistefani. A causa di un budget che anno dopo anno si riduce sempre di più, Torino è costretta a privarsi uno ad uno dei suoi gioielli. I primi ad andarsene, nella stagione 1984/85, saranno il palleggiatore Piero Rebaudengo alla volta di Parma e il centrale Dametto che si accaserà sempre sull’asse della via Emilia, a Modena. Nella stagione successiva saluteranno Torino Bengt Gustafson, direzione Parma, Howland, Kutiba Falconara mentre Vullo saluterà la Mole nella stagione 1986/87 trasferendosi a Modena per occupare la cabina di regia lasciata vacante dal grande Pupa Dall’Olio. Della grande squadra del 1983/84 rimangono solo Guido De Luigi in campo e Silvano Prandi in panchina. La perdita di tutti questi campioni, l’allontanamento da parte dei principali sponsor e i costi di gestione sempre più rilevanti di una pallavolo italiana lanciatissima verso il professionismo, costringono il club torinese a rinunciare all’iscrizione del campionato 1988/89. Cederà il titolo sportivo a Cuneo, piazza che negli anni 90/2000 diventerà di primo livello nazionale. Torino sparisce dai radar della grande pallavolo ma quei sedici anni vissuti ai vertici della pallavolo italiana rimarranno scolpiti per sempre nella storia dello sport del nostro paese. Perchè quella squadra, fatta di grandi uomini e di grandi campioni, con i suo record delle 51 partite di campionato vinte consecutivamente (dal 12 gennaio 1980 al 10 marzo ’82), con i 46 successi consecutivi al PalaRuffini, con le sei Regular Season consecutive chiuse al primo posto e con la prima Coppa dei Campioni vinta da un club italiano, è passata direttamente alla leggenda.

 

 


 

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