lunedì 17 giugno 2019

L'ANGOLO DELLA TECNICA DEL CLUB DEL VOLLEY: INDICAZIONI METODOLOGICHE NELL'INDIVIDUAZIONE, NELLA SPECIALIZZAZIONE E NELL’ALLENAMENTO DELL’ATTACCCANTE RICEVITORE NELLA PALLAVOLO FEMMINILE



INDICAZIONI METODOLOGICHE NELLA INDIVIDUAZIONE, NELLA SPECIALIZZAZIONE E NELL’ALLENAMENTO DELL’ATTACCCANTE RICEVITORE NELLA PALLAVOLO FEMMINILE

Prof. Marco Bonitta
Prof. Marco Mencarelli

Il materiale che presentiamo nasce da una sintesi di esperienze dirette, da un confronto tecnico costante, sia a livello nazionale che internazionale, e da una serie di riflessioni maturate alla luce di un’analisi complessiva condotta, a livello nazionale, sul settore femminile, sia in ambito giovanile che assoluto.
La prima considerazione ha come riferimento il campionato di serie A1 dove sono poche le giocatrici italiane titolari nel ruolo di ricettore attaccante e nell’immediato non si intravedono elementi di talento capaci di assumere un ruolo da protagonista nella pallavolo di elite. Questo ovviamente a discapito della Nazionale Seniores Campione del Mondo che, nel prossimo futuro, potrebbe avere difficoltà di ricambio generazionale soprattutto in questo ruolo.
I campionati giovanili, negli ultimi anni, hanno subito una serie di cambiamenti di regolamento (soprattutto con le regole sulla tolleranza nel primo tocco e sulla possibilità di utilizzo del libero) che, a nostro avviso, col tempo, hanno inciso negativamente sullo sviluppo delle abilità connesse al bagher in generale e, in particolare, alla sua utilizzazione come tecnica di ricezione.
Le atlete che sono entrate a far parte del Club Italia hanno, in tal senso, evidenziato un livello di partenza decisamente basso e una serie di problematiche tecniche (soprattutto la mancanza di sensibilità che si riflette in basse percentuali della palla statisticamente valutata come perfetta) che restano evidenti anche dopo percorsi intensivi di elevata qualità capaci comunque di abbassare sensibilmente le percentuali negative. Tutto ciò ha inciso in maniera significativa sul lavoro di specializzazione nel ruolo di ricettore attaccante perché, come vedremo, è un ruolo che richiede una dimestichezza particolare proprio delle tecniche di ricezione che, oltre a consentire una buona ricezione della palla, non devono condizionare il successivo sviluppo del potenziale di attacco (non subire la tattica di servizio avversaria).
I dati riportati dalla Nazionale Pre-Juniores durante le due manifestazioni internazionali disputate (Europeo e Mondiale) attestano le difficoltà di cui sopra; infatti, in entrambe le competizioni, è stata riscontrata una bassa efficienza complessiva nel fondamentale di ricezione nonostante la nostra squadra si sia confermata tra le migliori (durante il Campionato Europeo, l’efficienza bassa era dovuta sia a basse percentuali di positività che ad elevate percentuali di errore mentre, durante il mondiale, le percentuali di errore erano state allineate con lo standard delle migliori scuole pallavolistiche ma restava bassa la percentuale di palla “perfetta”).
Da quanto suddetto riteniamo che lo sviluppo specialistico del bagher di ricezione (parallelamente avviene l’individuazione delle attitudini al ruolo di ricettore attaccante) debba essere intrapreso in un momento precedente, rispetto alle tendenze attualmente riscontrate, e che la fase “sensibile” per iniziare questo percorso sia nel periodo compreso tra i 13 e i 15 anni.

Il percorso che si intende tracciare passa attraverso tre momenti:
- individuare (l’attitudine al controllo delle tecniche, l’attitudine al ruolo e l’eventuale talento);
- specializzare (sia i talenti che coloro che hanno dimostrato attitudine perché nei giochi sportivi si possono raggiungere elevati livelli di qualificazione senza essere necessariamente un talento);
- consolidare (gli apprendimenti perché in una disciplina tecnico – tattica come la pallavolo l’utilizzazione delle tecniche apprese in gioco è la misura della qualità dell’apprendimento).
La cronologia delle suddette tappe di sviluppo costituisce attualmente un problema perché, se la strutturazione delle sensibilità richieste, in particolar modo nella ricezione, avviata successivamente alla “fase sensibile” lascia alcune lacune impossibili da colmare in un secondo momento, anche in ambiti di lavoro altamente qualitativo, è evidente come venga compromesso il percorso formativo ottimale del giocatore e compromessa la eventuale identificazione e consacrazione del talento.
Quindi il periodo del minivolley dovrebbe essere una fase in cui il gioco rappresenta l’aspetto centrale del programma di lavoro e gli strumenti per giocare (tecniche) si strutturano per imitazione delle situazioni di gioco. Individuazione e specializzazione devono essere una prerogativa del passaggio dall’under 13 all’under 15 e la categoria successiva (l’under 17) deve essere il momento della consolidazione in funzione dell’alto livello o dei massimi livelli di qualificazione individualmente ipotizzabili.

OBIETTIVI
Gli obiettivi devono necessariamente abbracciare tutti gli aspetti con cui si esprime l’attaccante ricevitore (tecnici, tattici, fisici e comportamentali che, in senso lato, implicano gli aspetti intellettivi, psicologici e motivazionali).
Per quanto concerne gli aspetti tecnici, appare chiaro nella premessa, il problema prioritario nella pallavolo femminile italiana riguarda le tecniche di ricezione, ed in particolare il bagher, piuttosto che le tecniche di attacco che da un lato evidenziano una mole di lavoro, anche nei settori giovanili, tendenzialmente accettabile, dall’altro presuppongono alcune capacità, come il salto e la stabilità articolare della spalla, che sono prerogativa di una certa esperienza pregressa di allenamento.

Sintetizzando gli aspetti tecnici prioritari del bagher di ricezione:
- gli arti superiori, al momento del tocco, devono essere tesi e distanti dal corpo, i polsi uniti ed extraruotati e le spalle chiuse avanti per offrire maggiore compattezza al piano di rimbalzo a livello dei gomiti;
- gli arti inferiori in posizione di partenza devono garantire una elevata dinamicità (diverse sono le interpretazioni relative a quale piede deve stare avanti e quale dietro) e nel momento dell’impatto un solido punto di appoggio (questo aspetto va visto relativamente agli adattamenti che il bagher di ricezione subisce in risposta a vari tipi di traiettoria di servizio).

Dal punto di vista metodologico, in ambito formativo e di specializzazione, è necessario perseguire i seguenti obiettivi prioritari:
1- Il bagher va eseguito spingendo la palla con l’uso prevalente degli arti inferiori. Le braccia costituiscono un piano di rimbalzo con una funzione di direzionamento del colpo e devono intervenire il meno possibile nella determinazione della spinta. L’apprendimento solo per imitazione dei modelli dell’alto livello, da parte delle giovani giocatrici di pallavolo, tende a sviluppare quasi sempre un’azione di spinta sia di gambe che di braccia, difficoltosa sia da apprendere che da ottimizzare in funzione dello sviluppo della sensibilità, presupposto del controllo tecnico e della precisione. Sicuramente, la spinta a carico degli arti inferiori, è più faticosa, sia a livello di impegno fisico che mentale, però l’evoluzione e l’abilità che ne consegue garantisce un maggior controllo della precisione. In sintesi la spinta di gambe, con un significativo impulso dei piedi, prevale sulla spinta delle braccia perché queste devono essere preparate “distanti dal corpo” e con una inclinazione e compattezza ottimali per consentire il controllo del rimbalzo della palla. Il giovane è tendenzialmente portato a cercare la palla ponendo attenzione esclusivamente al piano di rimbalzo e quasi mai alla necessità di facilitare l’impatto e la sua finalizzazione (raggiungere con precisione l’obiettivo) portando tutto il corpo sulla traiettoria di arrivo o, quanto meno, nella posizione migliore di intervento. Lo sviluppo della sensibilità, oltre che nel controllo dell’impatto con la palla, consiste anche nell’abilità a cercare la palla con lo scopo di toccarla in posizioni del corpo equilibrate e dinamiche, con gli arti inferiori in spinta o in tenuta (è spesso impreciso il tocco eseguito durante il movimento di accosciata passiva ed incontrollata), con azioni del busto che consentano gli adattamenti del piano di rimbalzo. Proponiamo, come esempio, alcuni esercizi che potrebbero
essere presi a modello per il raggiungimento di questi obiettivi specifici:
a- Bagher alla parete focalizzando l’attenzione sul “lavoro” degli arti inferiori;
b- Una serie di variabili all’esercizio precedente rese possibili dall’uso di colpi con un solo braccio, con o senza spostamento, utilizzando palloni di diverso formato e peso, palline da tennis o di altro tipo, ecc.;
c- Bagher alla parete e/o in campo eseguito con l’utilizzo del “bastone sotto le spalle” che aiuta a “sentire” le braccia lontane dal corpo (anche in questo tipo di esercitazioni possono essere sviluppate le variabili proposte al punto b);
d- Bagher alla parete con “tavoletta” utilizzando palline da tennis e/o differenti palloni (esercizio capace di focalizzare l'attenzione sul direzionamento del colpo e sulla capacità di dosare la forza sulla palla o pallina);
e- Bagher eseguito partendo da una posizione con un ginocchio a terra, da seduti su un panchetto, passando sotto la rete (azioni che esaltano la funzione delle gambe);
f- Bagher eseguito appoggiando un oggetto a terra prima dell’impatto (sensibilizzazione all’uso del contromovimento per essere attivi di gambe all’impatto);
g- Bagher eseguito con l’elastico intorno alla vita.
(tutte queste proposte hanno in comune la capacità di imporre particolare attenzione sull’azione di spinta a carico degli arti inferiori lasciando agli arti superiori solo le funzioni di controllo della precisione)

2- Un secondo obiettivo da indicare, sempre inerente alla sfera tecnica, riguarda la definizione dei concetti di frontalità e lateralità. Il primo aspetto da precisare è che frontalità e lateralità sono riferiti alla posizione dei piedi e delle spalle nel momento in cui avviene il tocco (da non confondere con la posizione di partenza prima di spostarsi sulla direzione di arrivo della palla). E’ ovvio che, nel primo approccio all’insegnamento tecnico, l’obiettivo da ricercare è quello della frontalità, perché educa ad un corretto e rapido spostamento contro traiettorie che ne consentono l’attuazione, sviluppando i meccanismi percettivi sui quali si fonda la capacità di lettura delle traiettorie stesse. Il concetto di ricerca della frontalità assume dei significati diversi a seconda dei momenti che contraddistinguono il processo di sviluppo della capacità di ricezione. Nel percorso di individuazione e specializzazione ricercare la frontalità significa posizionare sempre il corpo sulla traiettoria di arrivo della palla con una gestualità di arti inferiori che consenta di essere costantemente rivolti con le spalle al bersaglio (la palla viene impattata con i piedi sulla stessa linea e nello spazio compreso tra le ginocchia senza particolari movimenti di orientamento del piano di rimbalzo). Su questa base tecnica si struttura il meccanismo percettivo specifico di valutazione delle traiettorie e dei tempi tecnici con cui devono essere eseguiti i movimenti preparatori (il giocatore impara ad anticipare l’impatto e, tramite il contromovimento di gambe, riesce ad essere “attivo”, quindi in spinta verso la palla). L’evoluzione del servizio, tendenzialmente molto rapida rispetto all’evoluzione delle abilità di ricezione, impone subito l’insegnamento di altre abilità specifiche per il ricevitore (e per l’attaccante ricevitore in particolare) che sono da un lato la capacità di orientare il piano di rimbalzo verso il bersaglio utilizzando rapidi spostamenti degli appoggi (arretrare l’appoggio per facilitare l’esecuzione del bagher laterale alto, aprire un appoggio per facilitare l’esecuzione del bagher laterale avanti, avanzare con un appoggio per facilitare l’esecuzione di un bagher su palla molto corta, ecc.), dall’altro la capacità di mantenere il piano orientato al momento del colpo su ogni tipo di traiettoria che può arrivare nella propria zona di competenza. Il presupposto è che il “bagher” non può esser eseguito a “spalle piatte” e la capacità di controllare l’innalzamento della spalla esterna, rispetto alla traiettoria di arrivo della palla, costituisce l’aspetto tecnico prioritario nel determinare l’orientamento del piano di rimbalzo. Il concetto di bagher laterale è riferito quindi al punto d’impatto con la palla rispetto al corpo perché il piano di rimbalzo in realtà resta costantemente orientato sul bersaglio (quindi frontale al bersaglio). L’insegnamento del bagher cosiddetto laterale va introdotto quasi subito perché la sensibilità richiesta è specifica come specifica è la funzione percettiva con cui viene gestita la traiettoria. Nella specializzazione dei ricettori attaccanti, per evitare i condizionamenti imposti dalla tattica del servizio avversario, l’insegnamento di questa abilità tecnica altamente specifica rappresenta un passo determinante.

Alcuni esercizi utili nella strutturazione delle abilità descritte potrebbero essere:
a- Bagher alla parete con tavolette (la tavoletta non bene orientata esalta l’imprecisione del colpo);
b- Bagher spalle alla parete su lancio del compagno (questo tipo di esercitazioni si presta ad un elevato numero di utilizzazioni soprattutto per sviluppare la capacità di adattare il piano di rimbalzo a traiettorie che arrivano alte e più o meno vicine al corpo);
c- Bagher sul campo con lo scopo di inviare la palla al tecnico che, da un plinto posizionato nella zona di rete dove opera il palleggiatore, lancia la palla su traiettorie con incidenze caratteristiche di vari tipi di servizio (gestione frontale o laterale del bagher, gestione del bagher “corto” e del bagher contro il servizio in salto, ecc.)

3- Per quanto riguarda gli aspetti comportamentali, e quelli mentali in particolare, è importante fare diretto riferimento ai concetti di “stile attentivo” connesso alla “strutturazione della percezione di autoefficacia” e di “reattività della risposta motoria”. Lo stile attentivo richiesto nella ricezione è di tipo focalizzato perché l’allenamento di questa tecnica comporta l’analisi di poche variabili ( battuta, traiettoria della palla, visualizzazione del punto rete). Lo stile attentivo focalizzato, per il giocatore di pallavolo, comporta un impegno mentale elevato e un maggiore affaticamento del S.N.C.; tuttavia sappiamo anche che il controllo tecnico del fondamentale è determinante ai fini del risultato (sia inteso come apprendimento sia come rendimento) e che il miglioramento è direttamente proporzionale al numero di ripetizioni proprio in quelle tecniche che rispondono ad un numero relativamente basso di variabili situazionali. La considerazione che ne deriva implica, sul piano metodologico, che debba essere considerata anche la gestione dei tempi di allenamento specifico proprio per evitare sensibili cali di rendimento quando il tempo di esercizio diventa lungo e la difficoltà a focalizzare l’attenzione condiziona la qualità delle ripetizioni rischiando di rendere l’allenamento decisamente improduttivo se non dannoso (l’insicurezza che scaturisce da un elevato numero di errori può riflettersi sulla percezione dell’autoefficacia e, di conseguenza, sul rendimento in gioco). Un aspetto direttamente connesso alle funzioni attentive e percettive riguarda l’allenamento della capacità di cogliere rapidamente i punti di riferimento essenziali per la comprensione della traiettoria e della velocità della palla (discriminazione dei segnali e reattività della risposta motoria). Questo aspetto rappresenta il modo con cui il giocatore evoluto ottimizza lo sforzo attentivo e si rende capace di lavorare per tempi più lunghi e su livelli qualitativi più elevati rispetto al giovane.

Anche questi aspetti possono essere allenati tramite alcune esercitazioni o, spesso, tramite alcuni espedienti metodologici particolari:
a- Durante gli allenamenti di battuta ricezione, per evitare sensibili cali di qualità legati all’affaticamento attentivo, sono opportuni inserimenti di esercitazioni intense, con bassa componente mentale e caratterizzate da una attenzione scarsamente focalizzata (serie di attacchi di potenza, intesivi di difesa, dinamiche di gioco con bassa componente tattica, ecc.);
b- Nella lettura della traiettoria, l’abitudine a contare in corrispondenza dei punti chiave della traiettoria stessa (ad esempio chiamare uno il tocco del servizio, due l’apice della traiettoria, secondo la visuale del ricevitore, o il passaggio della palla sulla rete e tre il proprio tocco), facilita la sua interpretazione e l’esecuzione dei movimenti di adattamento perché il giocatore deve necessariamente essere attento a cogliere quei riferimenti;
c- Esercitazioni di ricezione di una palla distinta tra due o tre servite contemporaneamente (la palla viene distinta da un colore particolare o dalla chiamata del tecnico o dal tipo di traiettoria che percorre) è un espediente molto utile per la velocità di focalizzazione attentiva e per la capacità di utilizzazione di tecniche di adattamento del piano di rimbalzo;
d- Esercitazioni partendo con le spalle rivolte al battitore (o ai battitori) e, girandosi al momento del segnale emesso dal tecnico, ricevere la palla pre indicata o chiamata al momento (queste esercitazioni implicano un alto livello di maestria tecnica e di capacità di adattamento della tecnica per cui costituiscono esercitazioni di perfezionamento di abilità già perfettamente strutturate).

4- Il supporto fisico, necessario per lo sviluppo delle abilità tecniche richieste all’attaccante ricevitore, non si differenzia essenzialmente rispetto ad altri ruoli per quanto riguarda la capacità di salto mentre assume caratteristiche peculiari in riferimento alle abilità di ricezione. Inizialmente le esercitazioni tecniche, così come sono state presentate, costituiscono un significativo stimolo allenante, altamente specifico, in funzione dello sviluppo della forza a carico degli arti inferiori (under 13 e under 14). La necessità di intervenire in un secondo momento con opportune strategie è legata soprattutto al miglioramento della dinamica dei piedi (velocità di spostamento degli appoggi nei movimenti di ricerca della palla) e della capacità di tenere la posizione di bagher in una condizione di facilità esecutiva (impegno concentrato sul tocco della palla piuttosto che sul controllo dell’equilibrio, delle posizioni del corpo e delle spinte). Infatti la carenza di forza sugli arti inferiori è uno dei fattori che incidono maggiormente come causa di errore tecnico per cui diventa determinante intervenire con metodiche che prevedano protocolli propriocettivi, lavori dinamici in regime di velocità con o senza palla e l’utilizzo di esercitazioni con i sovraccarichi. Premesso che le esercitazioni con i sovraccarichi richiedono una trattazione specifica e comunque rientrano, nel discorso ampio della preparazione fisica per la pallavolo, tra le metodiche per lo sviluppo della forza, indipendentemente dal ruolo tecnico, alcune importanti proposte, che sono facilmente attuabili e soprattutto sono facilmente combinabili con il lavoro tecnico, potrebbero essere:
a- Le esercitazioni propriocettive su tavolette o, in generale, su piani instabili, con o senza scarpe, combinate con movimenti di accosciata, con cambi di posizione, con eliminazione del controllo visivo (esecuzione ad occhi chiusi), con lavoro di bagher o palleggio alla parete o con una compagna;
b- Lavori di accosciata partendo da spalle al muro con i talloni vicino alla parete ed eseguendo il movimento richiesto senza appoggiarsi al muro (successivamente si possono aggiungere una bacchetta tenuta alta a braccia tese durante l’accosciata o mani alla nuca; in un momento successivo è ipotizzabile anche l’inserimento di un bilanciere scarico tenuto sempre alto a braccia tese). Queste dinamiche consentono un
sensibile sviluppo della flessibilità della caviglia che, per il ricevitore, è un aspetto determinante per garantire la mobilità, l’equilibrio e il controllo della direzione delle spinte;
c- Tutte le andature tecniche per lo sviluppo della sensibilità del piede (skip, corse calciate, balzi e saltelli, passi saltellati, ecc.) e tutte le dinamiche di spostamento specifiche eseguite in campo senza palla alla massima velocità (spostamenti lunghi o corti, in posizione bassa o alta, in tutte le direzioni, con ritorno rapido alla posizione di partenza, ecc.) costituiscono delle strategie adeguate allo sviluppo della rapidità se il livello di forza (ottenuto tramite esercitazioni propriocettive o tramite sovraccarichi) è adeguato;
d- Esercitazioni intensive di ricezioni in varie zone di campo (sequenze in cui il giocatore deve ricevere, in zona 5 e zona 1 alternate, almeno 6 palle consecutive) con spostamenti molto ampi e rapidi ed elevate richieste di rendimento tecnico.

PROGRESSIONE DIDATTICA PER L’ALLENAMENTO DELLA RICEZIONE E LO SVILUPPO DEL RICETTORE ATTACCANTE.
GLI ASPETTI TATTICI.
Successivamente alle proposte analitiche enunciate nei concetti base fin qui esposti, che sono prevalentemente rivolte all’insegnamento ed alla correzione degli errori nel bagher, si pone la necessità di un programma progressivo di allenamento che porti al compimento del percorso formativo ed alla padronanza, nell’utilizzazione in gara, delle tecniche apprese. Utilizzazione in gara sottointende la capacità di sviluppare una componente tattica come contenuto della finalizzazione delle tecniche. La tattica l’attaccante ricevitore la esprime nella rapida individuazione del tipo di servizio avversario, nel modo di prepararsi a ricevere, nella tecnica utilizzata per ricevere, nel rispetto delle proprie competenze e nella preparazione e nell’esecuzione dell’attacco (a tal proposito la capacità di cambiare la chiamata d’attacco del palleggiatore nel caso di ricezione imprecisa è una abilità specifica di primaria importanza).

I punti principali del processo con cui tecnica e tattica si strutturano a vicenda e definiscono, inizialmente le attitudini, poi le abilità dell’attaccante ricevitore sono:
a- Allenamento della ricezione (le tecniche e il rendimento delle tecniche);
b- Allenamento delle sequenze tecniche proprie del ruolo (collegamento tra ricezione e attacco o copertura)
c- Allenamento del sistema di ricezione (la gestione delle zone di conflitto)
d- Allenamento del sistema “ricezione – punto” (aspetto tattici)
Nell’ambito dei suddetti contenuti dell’allenamento vanno sviluppati tutti i comportamenti tecnici e tattici che il giocatore attua nell’espletare le competenze richieste dal ruolo: ricezione e/o attacco, ricezione e copertura e ricezione e muro/difesa. Dal momento che la pallavolo possiede una struttura sequenziale delle azioni di gioco, è possibile individuare sempre dei comportamenti preparatori, l’effettuazione vera e propria e dei comportamenti conseguenza dell’effettuazione (dopo l’effettuazione si attuano anche dei processi mentali molto importanti per i meccanismi di autocorrezione che sono, a loro volta, i presupposti del metodo basato sulla ripetizione)

La sequenza temporale dei suddetti comportamenti è la seguente:

PRIMA
a- individuazione del battitore e del tipo di battuta utilizzata (questo aspetto è strettamente connesso con le problematiche tattiche);
b- organizzazione della ricezione di squadra (anche questo aspetto ha dei presupposti tattici definiti in allenamento);
c- preparazione individuale alla lettura della traiettoria e all’esecuzione eventuale della ricezione (sono coinvolti la sfera attentiva e i processi mentali oltre che quelli tecnici).

DURANTE
d- valutazione della traiettoria (anche in questo aspetto il coinvolgimento degli aspetti attentivi, percettivi e mentali è determinante);
e- eventuale spostamento (gli aspetti tecnici e fisici sono i presupposti dell’efficacia dello spostamento);
f- colpo sulla palla e controllo della direzione di uscita della stessa (questo aspetto costituisce l’espressione della tecnica esecutiva).

DOPO
g- rincorsa d’attacco ed esecuzione dello stesso oppure;
h- eventuale muro o difesa se la ricezione finisce oltre la rete. Allenamento della ricezione Consiste nell’affrontare alcune traiettorie di palla predefinite determinate da lanci per sviluppare la capacità di applicare le tecniche adeguate in relazione alla tipologia del servizio utilizzato dall’avversario. In questa fase la battuta o il lancio sono totalmente al servizio della ricezione e non può esserci altro che un controllo dei parametri tecnici negli eventuali interventi dell’allenatore. Il gradino successivo sarà quello di allenare “la capacità di utilizzazione” delle tecniche specifiche per le varie tipologie di traiettorie (corta tesa e lenta, media tesa e lenta, lunga tesa e lenta) determinate da una particolare gestione del servizio (dalla linea, da distante, in salto flot, in salto con rotazione). In questa fase, pur essendo il tipo di servizio determinato a priori, il giocatore in battuta deve mettere in difficoltà il ricevitore (sarà una difficoltà prevalentemente tecnico – esecutiva). In breve tempo l’allenamento dovrà essere rivolto anche al rendimento della tecnica per cui tipo di servizio e velocità della palla saranno i parametri da gestire per rendere l’impegno del ricevitore progressivo. Questa fase sarà caratterizzata da due tipi di obiettivi: da un lato l’osservazione della “pulizia tecnica” del gesto eseguito e della precisione della risposta, dall’altro la capacità di gestire le pressioni legate al rendimento nel fondamentale tramite esercitazioni dove verrà valutata solo l’efficacia prodotta (rapporto tra la ricezione positiva e l’errore, in una parola l’efficienza). In questa fase siamo già ad un livello avanzato di perfezionamento del ruolo e delle abilità che lo caratterizzano e le esercitazioni possiedono la stessa struttura delle esercitazioni utilizzate nell’alto livello di qualificazione.
Allenamento delle sequenze tecniche Consiste nel collegamento tra ricezione e successiva azione da eseguire (preparazione della rincorsa ed esecuzione dell’attacco oppure posizionamento in copertura) In questa fase, sul piano tecnico, assumerà sempre maggiore importanza la gestione “laterale” del bagher di ricezione. Gli adattamenti posturali saranno altrettanto decisivi affinchè si possa “economizzare” al massimo lo spostamento e permettere una migliore preparazione all’attacco.

Il lavoro specifico sarà quello di riprodurre le varie situazioni a cui deve far fronte il ricettore attaccante:
- Ricevere la palla lunga ed andare ad attaccare;
- Lo stesso sulla palla corta;
- Ricevere dovendo discriminare se la palla è lunga o corta ed andare ad attaccare sulla propria ricezione;
- Collegamento tra due giocatrici contemporaneamente impegnate a ricevere ed attaccare (una attacca dalla prima linea e l’altra dalla seconda. Definire chi esegue l’attacco).

Allenamento del sistema di ricezione
Rispetto al punto precedentemente esposto questo tipo di allenamento prende in considerazione anche gli aspetti tattici connessi con la distribuzione delle competenze tra giocatori vicini nel sistema di ricezione. Tale organizzazione tiene conto soprattutto del fatto che i giocatori di seconda linea possono essere liberi da impegni di attacco (o addirittura può essere il libero che tendenzialmente dovrebbe occuparsi di una zona di campo più ampia). Sia nell’allenamento di cui al punto precedente che in questo tipo di allenamento la battuta deve essere in competizione con la ricezione e deve impegnare il sistema sia sul piano tecnico che sul piano tattico. Tali dinamiche di gioco andrebbero completate sempre con l’esecuzione dell’attacco contro almeno il sistema di muro avversario (meglio se contro tutto il sistema di muro e difesa)

Allenamento del sistema nel globale con particolare impegno del ricettore attaccante
E´ il momento del lavoro sul rendimento della cosiddetta “fase cambio palla” o “ase ricezione – punto” che, nel caso specifico, deve essere programmata con obiettivi per sviluppare al meglio le competenze del ricettore attaccante nell’organizzazione del sistema complessivo d’attacco. Le esercitazioni contemplate in questo tipo di allenamento sono esercitazioni di squadra valutate sul rendimento e enfatizzano la finalizzazione della ricezione allo sviluppo tattico del sistema d’attacco:
- Una proposta potrebbe essere quella di battere sul ricettore attaccante e stimolarlo a ricevere in maniera positiva perché soltanto in quel caso potrà avere l’opportunità di attaccare
- Un passaggio successivo è quello di sviluppare delle esercitazioni con punteggi speciali; ad esempio nel caso di ricezione positiva ed attacco in primo tempo, si da un doppio punto
- Una variante dell’esercizio precedente potrebbe essere quella che attribuisce il doppio punto all’attacco eseguito in combinazione.

giovedì 13 giugno 2019

PARMA, LA SQUADRA CHE FECE L'IMPRESA. LA PRIMA VOLTA DI UN KO SOVIETICO


Riportiamo l’articolo che il nostro blogger Filippo Vagli ha scritto per la rivista on-line di pallavolo Volleyball.it e pubblicato nella rubrica “A spasso nel tempo”


Parma, la squadra che fece l’impresa. La prima volta di un ko sovietico

Alle ore diciassette di un bollente ventisette agosto 1984 alla palestra Melloni di Parma, deliziosa cittadina dell’Emila occidentale già capitale del ducato di Parma e Piacenza tra il 1500 e il 1800, cinque atleti della Santal Parma, Giulio Belletti, Stefano Recine, Tomasz Wojtowicz e i giovani Michele Ghiretti e Filippo Vagli, agli ordini di mister Claudio Piazza e del suo vice Franco Salvini stanno iniziando a sudare nel primo allenamento della nuova stagione agonistica. E lo stano facendo ignari del fatto che quell’annata e quella squadra sarà per sempre ricordata come “la squadra che fece l’impresa”, una delle favole più belle della pallavolo italiana.
Sono solo in cinque perché quel 1984 è stato l’anno delle Olimpiadi di Los Angeles, torneo che ha consegnato alla pallavolo italiana la sua prima medaglia olimpica. Un bronzo piuttosto inatteso ma di grande importanza dal momento che il suo formidabile eco diede visibilità e lustro all’intero movimento pallavolistico nazionale. Gianni Lanfranco, Marco Negri, Paolo Vecchi, Pierpaolo Lucchetta, Giovanni Errichiello, e il neoacquisto Piero Rebaudengo, i sei atleti della Santal che hanno fatto parte della spedizione italiana in terra statunitense, si stanno godendo gli ultimi giorni di vacanza post olimpica, in attesa del quattro settembre, giorno in cui si ricongiungeranno con il resto della truppa.
Cinque più sei fa undici, ma le squadre di pallavolo sono composte da dodici atleti. Ne manca quindi uno, e precisamente il secondo straniero, che la società ducale ha individuato nel fenomenale martello brasiliano Mario Xandò de Oliveira Neto più noto come Xandò. Ma di questo parleremo più avanti.
Quella del 1984 non è un’estate come tutte le altre per il club di Via Silvio Pellico. Kim Ho Chul, il palleggiatore coreano arrivato a Parma tre anni prima con un contratto di sessanta milioni di lire annuo, ingaggio da top player per la pallavolo dei primi anni ’80, ha appena lasciato Parma, richiamato dalla federazione coreana verso un forzato ritorno in patria. E ha lasciato la città ducale dopo aver vinto in tre stagioni la bellezza di due scudetti, due coppe Italia e una Coppa dei campioni, quest’ultima soltanto pochi mesi prima.
Parma, dopo l’arrivo del grande sponsor Santal (orbita Parmalat del Cavalier Callisto Tanzi) è al top del volley nazionale. Nell’estate del 1980 acquista Gianni Lanfranco, il più forte pallavolista italiano di quegli anni, grazie ad una grande operazione di mercato condotta dal Direttore Sportivo Aristo Isola. L’arrivo a Parma di Lanfranco, che nei piani dell’ambiziosa dirigenza locale doveva rendere la squadra competitiva per lo scudetto, non è stato però sufficiente per portare i risultati sperati dal momento che la stagione 80/81 la Santal chiude la stagione con un appena sufficiente quarto posto. Ci vuole qualcos’altro per scalfire l’egemonia piemontese della Robe di Kappa Torino, club del professor Silvano Prandi, che dal 1978 sta dominando il campionato italiano. L’illuminazione arriva durante l’estate del 1981 quando durante un torneo internazionale Aristo Isola e Claudio Piazza, tecnico che da diversi anni siede sulla panchina degli emiliani, si innamorano di un piccolo ma straordinario regista coreano, Kim Ho Chul, che guida la nazionale del suo paese proponendo un gioco fatto di tecnica, velocità e schemi d’attacco innovativi che coinvolgono più giocatori, cosa che in quel momento non aveva uguali al mondo. Piazza, da grande conoscitore di pallavolo, non impiega molto ad informare il suo Direttore Sportivo che è proprio quel piccolo funambolo asiatico ciò che manca alla sua squadra per fare il definitivo salto di qualità. Isola, cha ha grande fiducia nel proprio tecnico, annuisce ma sa benissimo che non sarà un’impresa per nulla facile quella di portare il coreano a Parma. Nel 1981 il mondo è ancora diviso in due, e la Corea al termine del secondo conflitto mondiale è stata divisa dalla due all’altezza del 38° parallelo da statunitensi e sovietici, dando vita a due stati, la Corea del Sud e la Corea del Nord. Da quel momento in poi la penisola coreana non avrà più pace tra guerre e colpi di stato militari, l’ultimo in ordine cronologico quello del 1980 a opera del generale Chun Doo-hwan, leader di un regime totalitario nel quale gli atleti sportivi non sono liberi di poter scegliere il proprio futuro ma vincolati ai voleri dello stato centrale. Ecco che il buon Aristo deve mettere in campo tutta la sua abilità diplomatica, che lo consacrerà poi negli anni successivi come uno dei manager più abili e capaci della pallavolo italiana, per riuscire ad accontentare il proprio allenatore. E navigando attraverso grandi difficoltà e complicate negoziazioni con la federazione coreana alla fine riesce nell’impresa e consegna al proprio tecnico il tassello mancante per costruire quella perfetta macchina da volley che il “baffone” emiliano ha ben impressa nella sua mente.
Una volta arrivato a Parma Kim, si confronta a lungo con Claudio Piazza, spiegandogli i suoi celeberrimi trentatrè schemi d’attacco e portando in dote la sua visione del gioco della pallavolo. Il tecnico ascolta, elabora, e con grande umiltà, sensibilità e intelligenza decide di affidare al registra asiatico le chiavi della squadra, nominandolo vero e proprio “allenatore in campo”, consentendogli di organizzare il gioco secondo gli schemi a lui più famigliari. E con Kim Ho Chul non solo arrivano grandi risultati di squadra, ma anche una crescita esponenziale di giocatori che, anche grazie al gioco del regista coreano, riescono a dare il loro meglio, esaltando le proprie caratteristiche tecniche, e raggiungendo l’apice massimo delle rispettive carriere. Questa grande squadra non solo vincerà tanto, sia in Italia che in Europa, ma lo farà giocando una pallavolo spettacolare, spumeggiante, bellissima quanto efficiente, mai vista e forse nemmeno mai pensata prima, indirizzando la pallavolo italiana e internazionale verso una vera e propria rivoluzione copernicana. Le squadre avversarie infatti, non solo tentano di emulare il gioco tutto schemi e velocità del piccolo coreano, ma per contrastare l’estroso gioco della Santal sono obbligati a studiare nuovi schemi di muro, di difesa, e di correlazione fra questi due fondamentali facendo compiere a l’intero movimento pallavolistico un importante balzo in avanti e un vero e proprio cambiamento di stato a livello qualitativo da ogni punto di vista, fisico, tecnico e tattico. 
Nel corso dell’estate del 1984 Parma non ha perso soltanto il piccolo coreano ma ha operato una mezza rivoluzione nel proprio organico. Ha infatti lasciato libero l’argentino Hugo Conte, che nella stagione precedente non aveva convinto appieno la dirigenza e lo staff tecnico ducale, così come due pedine importanti della Santal degli anni precedenti quali l’universale Alberto “Lillo Angelelli”, e l’opposto Maurizio Ninfa, che avevano vestito la casacca bianco-azzurro-verde negli ultimi campionati. Anche l’assetto societario si è nel frattempo modificato dal momento che alla Direzione sportiva del club al posto di Aristo Isola è arrivato un giovane dirigente sportivo parmigiano, quel Roberto Ghiretti che ricoprirà negli anni successivi importanti incarichi manageriali di prestigio nel mondo sportivo e sarà per tutti gli anni ’90 Direttore Generale della Lega Pallavolo serie “A” maschile.  Ghiretti acquista da Torino Piero Rebaudengo per coprire la casella del palleggiatore lasciata libera dall’addio di Kim Ho Chul, Stefano Recine esperto universale romagnolo proveniente da Modena e il polacco Wojtowicz dall’Edilcuoghi Sassuolo. Il fuoriclasse dell’est, classe 1953, giunge a Parma con le credenziali di campione del mondo (Messico 1974) e olimpico (Montreal 1976). Nato schiacciatore e precursore dei tempi come formidabile attaccante dalla seconda linea, in un’epoca in cui quasi nessun atleta si cimentava con continuità ed efficienza in questo tipo di attacco, a Parma si accomoda al centro della rete costituendo una stratosferica coppia di centrali con Gianni Lanfranco. E pur con qualche acciacco alla schiena e alle ginocchia, figli di centinaia di gare nonché di migliaia di allenamenti svolti con i durissimi metodi polacchi che prevedevano sedute al limite della sopportazione umana, si rivela un centrale di grande sostanza. Fortissimo a muro e in attacco e dotato di una tecnica individuale sopraffina che lo rende efficientissimo in tutti i fondamentali ed in ogni zona del parquet. Parma completa il roster con due giovani emergenti della propria “cantera”, Ghiretti e Vagli, che pochi mesi prima si sono laureati campioni d’Italia nella categoria ragazzi (under 17) guidati in panchina da Gian Paolo Montali che negli anni successivi si rivelerà uno dei più grandi allenatori della storia pallavolistica italiana.
Nell’organico dei ducali c’è ancora un posto libero per uno straniero e la Santal è convinta di riuscire a tesserare il campione brasiliano Xandò. Claudio Piazza si è innamorato della potenza in attacco e in battuta di questo colosso sudamericano a Los Angeles, durante le Olimpiadi, assistendo agli incontri della nazionale brasiliana medaglia d’argento della competizione a cinque cerchi. Xandò è un atleta di potenza e classe superiore alla media, non a caso eletto come miglior schiacciatore della manifestazione olimpica. C’è l’accordo con il giocatore ma la Federazione Brasiliana guidata dall’avvocato Carlos Nuzman nega il trasferimento in Italia del bomber paulista (e degli altri campioni della propria squadra nazionale) al fine di mantenere ai massimi livelli il campionato brasiliano che rischiava di essere “scippato” dei suoi miglior giocatori. La Santal cerca di arrivare ad un accordo con la Federazione brasiliana mettendo in campo tutti i suoi buoni uffici per riuscire a far vestire la divisa dei ducali al Xandò, ma la trattativa fatica a decollare. Vengono quindi vagliate altre candidature di atleti statunitensi, canadesi, olandesi coreani, ma nessuno convince appieno lo staff tecnico parmense. L’idea di mister Piazza è chiara: o Xandò, campione in grado di fare la differenza e di spostare gli equilibri, oppure la squadra farà a meno del secondo straniero.
La trattativa non andrà a buon fine e al termine dell’estenuante tira e molla il giocatore non arriverà mai in Italia, costringendo la Santal ad iniziare la stagione con il solo Wojtowicz ad occupare una delle due caselle riservate agli atleti stranieri lasciandosi però aperta la porta per un ulteriore tesseramento di un atleta proveniente da altra federazione a stagione in corso.
Il campionato 1984/85 per capitan Lanfranco e compagni inizia con qualche su e giù. Dopo il vittorioso esordio alla prima di campionato con il debole Sassuolo, il 3 novembre nella seconda gara di campionato arriva il primo scivolone stagionale con una brutta sconfitta per 3 a 1 in casa dalla terribile matricola S. Croce dei canadesi Hoag e Jones, nonché dei veterani Nassi e Innocenti, autori di una gara superlativa. Arriva poi la sconfitta casalinga per 3 a 1 alla quinta giornata con Torino così sette giorni più tardi un’altra brutta sconfitta per 3 a 2 al Palalido di Milano contro l’Enermix degli scatenati Milocco e Galli.
Piero Rebaudengo è un grande palleggiatore, il titolare della nazionale azzurra medaglia di bronzo a Los Angeles, e il suo valore non si discute. La squadra però fatica a ritrovarsi con i nuovi schemi di gioco e pare in difficoltà a metabolizzare il cambio di organizzazione tecnico tattica che il cambio in cabina di regia ha inevitabilmente portato. Seguono altre due sconfitte, quella interna con Falconara e quella esterna del 15 dicembre in quel di Modena che sembra decretare lo stato di crisi in casa parmense. La pausa natalizia arriva quindi coma manna dal cielo per gli uomini di Piazza che nelle tre settimane di sosta si allenano duramente e riescono a ritrovarsi tornando alla vittoria in campionato il cinque gennaio 1985 nella gara interna con il Lozza Belluno.
A campionato in corso, ha avuto inizio l’altra grande manifestazione a cui la Santal è iscritta, quella Coppa dei Campioni che il club ducale si è aggiudicata l’anno precedente. L’edizione 1983/84 della massima competizione europea era stata leggermente “facilitata” dall’assenza delle squadre dell’ex Unione Sovietica dal momento che nelle stagioni preolimpiche, al fine di preparare al meglio tali manifestazioni, le squadre di club dell’URSS non partecipavano ai tornei continentali. La Santal, grazie sia alla propria forza che all’assenza dei mostri sacri sovietici, era riuscita a conquistare per la prima volta nella sua storia la massima competizione continentale in quel di Basilea dove, nella Final Four giocata dal 17 al 19 febbraio 1984, aveva liquidato il Cannes del fuoriclasse Alain Fabiani (palleggiatore che in seguito vestirà proprio la maglia dei ducali anche se per una sola stagione, 1986/87), i cecoslovacchi del Dukla Liberec e i sempre temibili jugoslavi del Mladost Zagabria.
La ventisettesima edizione della massima competizione europea, quella dell’annata 1984/85, vede invece ai nastri di partenza venti squadre, questa volta senza alcun tipo di defezione, e quindi con la squadra dell’ex URSS presente. I sovietici schierano come propri portacolori (e come squadra da battere) il fortissimo Radiotechnik Riga, fresco campione del titolo nazionale dopo che per quattordici anni consecutivi ad aggiudicarsi il titolo Sovietico era stata quella macchina da guerra chiamata CSKA di Mosca, la squadra dell’esercito, che negli anni del regime era sotto la diretta competenza del ministero della Difesa dell’URSS, e quindi dell’Armata Rossa. L’Italia si presenta al via con due club, la Santal, avente diritto in qualità di campione uscente della manifestazione, e il Cus Torino orfano del marchio Robe di Kappa, campione d’Italia nella stagione precedente. La marcia dei torinesi si arresta però bruscamente agli ottavi di finale a Bucarest quando contro i rumeni della Dinamo subisce un brusco quanto inaspettato 3 a 0 dopo che nel match di andata i piemontesi l’avevano spuntata con un rassicurante 3 a 1. La differenza set purtroppo condanna il club del professor Prandi ad una cocente eliminazione lasciando al club emiliano l’onore e l’onere di portare aventi in solitudine i colori della bandiera italiana nella manifestazione continentale.  
In Europa la Santal gioca una pallavolo di maggior qualità ed efficienza rispetto a quella che mette in mostra in campionato. Negli ottavi di finale regola con un doppio 3 a 1 gli olandesi del Brothers Martinus, buona squadra nella quale spiccano i nomi del piccolo palleggiatore Avital Selinger, e di altri atleti di buon livello quali Browers, Boudrie, e soprattutto Ron Zwerver diciasettenne schiacciatore di grande talento che dal 1992 al 1998 sarà poi uno degli idoli della tifoseria della Sisley Treviso. La doccia gelata arriva pochi giorni dopo il passaggio ai quarti di finale quando nell’urna dei sorteggi la dea bendata abbina alla Santal niente po’ po’ di meno che temibilissimi sovietici del Radiotechnik Riga; tra tutti il peggior abbinamento possibile. La gara d’andata è prevista per il 9 gennaio 1985 a Riga, città situata sul Mar Baltico e capitale della Lettonia. In gennaio il clima a Riga è particolarmente freddo e umido, con temperature che arrivano a toccare anche i meno venti gradi centigradi nelle giornate più fredde. Ma in quel 1985 anche l’Italia non scherza con il freddo dal momento che quel gennaio verrà ricordato negli annali come la stagione della più grande nevicata in Italia del ventesimo secolo. Un’ondata di freddo anomalo aveva fatto il suo ingresso su tutto il territorio nazionale facendo registrare copiose nevicate con accumuli di neve tra i cinquanta e gli ottanta centimetri e temperature polari di oltre venti gradi sotto lo zero in tutta la pianura padana. All’alba del 6 gennaio la squadra parte alla volta di Riga da una Parma che ancora dorme sotto un’abbondantissima coltre di neve, e il viaggio non si rivela dei più agevoli. Una volti giunti a Mosca per il previsto scalo tecnico, i parmensi non trovano l’aereo che avrebbe dovuto portarli a Riga dal momento che le tempeste di neve che stanno flagellando il territorio Sovietico non consentono agli aerei di poter decollare. Dopo diverse ore di attesa all’aeroporto Šeremét'evo di Mosca i ducali decidono di trascorrere la notte in un albergo della capitale moscovita e attendere il giorno successivo per il trasferimento a Riga, confidando in un miglioramento della situazione metereologica. La mattina successiva alle prime luci dell’alba il team riesce finalmente a mettersi in viaggio per la Lettonia dove arriva soltanto ventiquattrore prima della gara.
Santal e Radiotechnik si sfidano la sera del 9 gennaio al “Palazzo del Ghiaccio” sul cui pavimento in occasione di questa partita, è stato posato un provvisorio pavimento di legno per consentire lo svolgimento della gara stessa. Il nome dell’impianto non è casuale dal momento che al suo interno la temperatura è di pochissimi gradi sopra lo zero. I favori dei pronostici sono tutti per i padroni di casa dal momento che nessuna squadra occidentale fino ad allora era riuscita ad uscire vittoriosa da un impianto Sovietico, così come nessun club italiano era mai riuscito a sconfiggere una squadra dell’ex grande impero, nemmeno tra le mura amiche.
In quell’epoca si conosce ben poco delle squadre straniere in generale ma ancor meno di quelle Sovietiche dal momento che la rigida “cortina di ferro”, la linea di confine che divide l’Europa in due zone di cui quella a Est sotto il completo controllo dell’Unione Sovietica, non consente di far giungere in occidente nulla di ciò che accade al di là del muro di Berlino. Le uniche informazioni a disposizione della Santal sono quelle portate in dote dai propri atleti che giocano le manifestazioni internazionali con la nazionale italiana e dal polacco Wojtowicz che contro i sovietici ha giocato svariate partite. Il giocatore più rappresentativo del Radiotechnik è il nazionale Pavel Selivanov, posto quattro di grande tecnica ed elevazione, difficilissimo da contenere a muro, ma ci sono anche Boris Kolchin altro schiacciatore di grande qualità, specialista dei fondamentali di seconda linea che sarà poi a Prato per due stagioni alla fine degli anni ’80 e Raimonds Vilde schiacciatore – centrale di oltre due metri, dalla grande abilità in attacco e muro, anch’esso in Italia, a Falconara, nella stagione 1998/99.
Durante il trasferimento dall’albergo al palazzo dello sport sul pullman che trasporta la squadra c’è un silenzio irreale, tale è la concentrazione alla gara da parte degli uomini di Claudio Piazza. Ma tra tutti ce ne è uno in particolare, Tomasz “Tomek” Wojtowicz, che ancor più dei suoi compagni sente particolarmente questa sfida contro i mai amati (per usare un eufemismo) sovietici. Tomek è un uomo dal carattere introverso, di poche parole, che ama parlare più con le sue schiacciate e con i suoi muri piuttosto che con le parole, ma quella serata per lui è speciale, e negli spogliatori prima della partita prende la parola promettendo ai compagni che ci avrebbe pensato lui a domare gli ostici avversari. E al termine della gara sarà proprio il campione polacco ad essere nominato Mvp della partita, grazie ad una prestazione maiuscola in tutti i fondamentali, sia di prima che di seconda linea. Attacca da ogni zona del campo con un’efficienza spaventosa, tocca tutti i palloni a muro, riceve come un orologio svizzero e anche in difesa, non certo il suo fondamentale prediletto, riesce a salvare palloni incredibili. Insieme a lui, Pier Paolo Lucchetta, il giovane opposto a cui Claudio Piazza ha dato fiducia schierandolo nel ruolo di attaccante a tutto campo, gioca la partita della vita, facendo il belo e il cattivo tempo contro il muro e la difesa dei Sovietici e con una prestazione “monstre” anche dalla linea dei nove metri imperversando con battute in salto potentissime e di grande efficacia. Tutta la squadra, nessuno escluso, gioca la classica partita perfetta, consentendo alla Santal di uscire dal campo vittoriosa per 3 a 1, conquistando i propri parziali a otto, a otto e a sei, a testimonianza del dominio con cui gli atleti ducali governano la scena nella gelida serata lettone.
L’impresa dei “Santalini” entra nella storia della pallavolo non solo italiana ma internazionale dal momento che fino a quel giorno nessuna squadra al mondo è riuscita a sconfiggere una squadra Sovietica sul suo territorio. Piazza e i suoi undici atleti fanno orgogliosamente ritorno a Parma dove vengono accolti dai propri tifosi come dei veri e propri eroi. Ma non c’è tempo per festeggiare dal momento che nella settimana successiva è programmata la gara di ritorno, match che si preannuncia come una vera e propria battaglia contro i feriti e mai domi sovietici. La vittoria in Lettonia ha però letteralmente galvanizzato la Santal che sette giorni dopo in un PalaRaschi gremito in ogni ordine di posto, bissa il successo della gara d’andata con una strepitosa vittoria al tiebreak che gli consente di agguantare con pieno merito uno dei quattro posti disponibili per giocarsi la Final Four prevista al Palasport Charles Van der Putten di Bruxelles dal 15 al 17 febbraio 1985.
C’è un mese di tempo per preparare la manifestazione. La squadra, anche grazie alla vera e propria boccata d’ossigeno e di autostima derivante dalla grande vittoria contro i sovietici, si allena con grande entusiasmo e fiducia. Per alzare il livello di allenamento viene aggregato alla squadra un atleta statunitense, Randy Stoklos. Teoricamente la Santal potrebbe tesserarlo dal momento che il posto del secondo straniero è rimasto ancora vuoto e le norme internazionali prevedono tale possibilità. Stoklos è un ventiquattrenne professionista di beach volley, fenomenale in spiaggia, ma un po’ meno efficiente nella pallavolo indoor. Claudio Piazza rimane fedele alla sua linea che prevede il possibile inserimento in squadra soltanto di un atleta in grado di fare la differenza, un giocatore capace di spostare gli equilibri, e Randy non è tra questi. Il suo tesseramento rischierebbe solo di destabilizzare il gruppo, elemento fondamentale nel credo pallavolistico del tecnico emiliano, e pertanto la decisione è presa: Piazza andrà a Bruxelles a giocarsi la finale con i suoi fedelissimi atleti. Allo yankee andrà meglio con la pallavolo sulla sabbia dal momento che al termine della sua luminosa carriera da “spiaggarolo” verrà ricordato come il terzo “beacher” di tutti i tempi per numero di vittorie.
La squadra parte per Bruxelles con grande fiducia accompagnata dal calore del tifo di quattrocento meravigliosi tifosi parmigiani. Le tre squadre che fanno compagnia alla Santal in terra belga provengono tutte dall’Est d’Europa, e sono la Stella Rossa Praga, il CSKA Sofia e il Mladost Zagabria. La gara d’esordio per i ducali è prevista contro il pericoloso Mladost Zagabria, del tremendo bombardiere Nurko Causevic, universale di duecentoun centimetri che sarà poi grande protagonista nel nostro campionato a Ravenna, Falconara e Ferrara. Gli slavi partono forte e si aggiudicano il primo set ma dopo la prima frazione di gioco la Santal riesce a scrollarsi dal groppone l’ansia dell’esordio e mettendo in mostra una caratura tecnica nettamente superiore, con tre parziali piuttosto netti, 15-10, 15-6, 15-8, riesce a portare a casa la vittoria.
La seconda giornata prevede come avversario dei parmensi la Stella Rossa Praga, l’avversario teoricamente più debole tra le altre tre compagini finaliste. E tutto va come da pronostico dal momento che al di la di un terzo set perso 16 a 18 in cui gli atleti di Claudio Piazza si concedono qualche distrazione di troppo, la partita si chiude con un netto 3 a 1 per la Santal. Ma è dall’altra partita che arriva il regalo più inatteso per i ducali: il CSKA di Sofia, la squadra guidata in panchina da Dimiter Zlatanov che la Santal teme più di ogni altra, subisce una tremenda battuta d’arresto perdendo 3 a 1 contro gli slavi del Mladost. Questo risultato, consentirebbe agli uomini di Piazza di conquistare la Coppa anche con un’eventuale sconfitta nella terza gara, partita nella quale sarebbe necessario vincere anche solo due soli set per laurearsi campioni d’Europa.
Una volta rientrati in albergo i “senatori” della squadra riuniscono il gruppo, e insieme si promettono che il giorno seguente la squadra scenderà in campo senza fare nessun calcolo e con una sola idea in testa, quella di battere i bulgari. D’altro canto, per campioni di tale caratura che non ci stanno a perdere nemmeno quando giocano a calciobalilla con gli amici, non è nemmeno ipotizzabile pensare di giocare una finale europea senza darsi la vittoria come unico obiettivo.
Domenica 17 febbraio è il grande giorno. Da una parte della rete la classe e l’esperienza dei campioni uscenti della Santal Parma e dall’altra la forza fisica di campioni affermati quali Kiossev, Guntchev, Petkov, Sokolov e di un di un giovanissimo Ljubomir Ganev, impressionante opposto di duecentodieci centimetri e centoventi chili di massa muscolare che dalla stagione 90/91 calcherà i nostri palasport dando spettacolo per quasi dieci anni con le sue formidabili schiacciate e i suoi urli a tutto petto ad accompagnare ogni suo punto.
Nell’entourage Santal c’è grande fiducia ed entusiasmo per l’esito finale del match. La squadra ha acquisito grande fiducia nei propri mezzi e piena consapevolezza del proprio potenziale. Il sestetto dei parmensi è un misto di classe, energia ed esperienza internazionale. Piero Rebaudengo è il palleggiatore titolare e la squadra pare aver finalmente assorbito il diverso stile di gioco tra l’alzatore piemontese e l’ex Kim Ho Chul. Il ventiduenne Pier Paolo Lucchetta è l’opposto di centonovantanove centimetri di grande potenza a cui Claudio Piazza ha destinato il ruolo bombardiere da prima, da seconda linea e dai nove metri. E’ il giocatore più giovane in campo in maglia Santal, un atleta in grande evoluzione e crescita sia tecnica che di personalità, che nel ruolo cucitogli addosso dal coach parmense sta trovando la sua vera dimensione apportando alla squadra energia e voglia di vincere oltre che notevoli quantità di punti. Gianni Errichiello e il mancino Marco Negri, vero e proprio professore del “mani e fuori”, sono due vere e proprie garanzie in posto quattro, così come Gianni Lanfranco e Tomasz Wojtowicz,  i due straordinari centrali di attacco e muro che completano il sestetto dei ducali. In panchina, oltre al secondo palleggiatore, l’affidabilissimo Giulio Belletti, Stefano Recine, Paolo Vecchi e Filippo Vagli sono pronti ad entrare in qualsiasi momento a dar man forte in caso di bisogno.
La posta in palio è altissima e forse anche per questo entrambe le squadre iniziano la gara piuttosto contratte. La Santal si porta prima in vantaggio per 10 a 9 e arriva ad avere un set-ball sul 14 a 13, ma complice un grossolano errore arbitrale che fischia un inesistente tocco a muro italiano su un attacco bulgaro finito fuori, la squadra si innervosisce e oltre a vanificare ben otto palle set, finisce per perdere il primo set per 18 a 16. Ma la Santal c’è, è viva, gli occhi sono quelli giusti, e desidera a tutti i costi riportare la grande Coppa a Parma. Nel cambio di campo capitan Lanfranco, che vuole la sua terza Coppa Campioni (oltre a quella dell’anno precedente se ne era aggiudicata una nel 1980 ad Ankara con la Klippan Torino) suona la carica ai suoi compagni di squadra. La squadra si libera dalla grande tensione di inizio gara e incomincia a macinare gioco e punti. Piero Rebaudengo orchestra da par suo il gioco d’attacco della squadra, dove un trascinante Gianni Errichiello e un immenso Marco Negri, che come si suol dire “lima” letteralmente le unghie alle mani degli altissimi muratori bulgari, prendono per mano i compagni e regalano punti fondamentali al proprio sestetto. Entra in partita anche il polacco Wojtowicz, fino ad allora un po’ in ombra, e insieme ad un generosissimo Gianni Lanfranco regala una serie di monumentali muri mettendo la museruola all’attacco bulgaro. Il secondo set si chiude con un netto 15 a 3 per i parmensi che rimette in pari la gara. Ora gli uomini di Piazza giocano a briglia sciolta e nel terzo set si portano immediatamente in vantaggio per 3 a 0. Rebaudengo prosegue senza sbavature la sua magistrale partita in cabina di regia, Errichiello continua implacabile il suo bombardamento da posto quattro mettendo a terra ogni tipo di alzata gli arrivi, Stefano Recine e Paolo Vecchi concedono un po’ di respiro a Marco Negri e a Pier Paolo Lucchetta e la squadra sul 14 a 9 ha a disposizione il primo pallone per chiudere set e Coppa. Punto che arriva immediatamente grazie al “regalo” dell’esperto Petkov che con un errore diretto condanna i propri compagni alla sconfitta.
La Santal ce l’ha fatta e sul parquet del Palasport belga la festa dei parmensi si scatena. Il resto ha ben poca storia. I bulgari, anche complice un più che comprensibile calo di adrenalina di Lanfranco e compagni si portano sul due pari ma i parmensi, che vogliono chiudere vittoriosi la gara, si riprendono e si aggiudicano con un netto 15 a 5 anche il quinto set in cui Claudio Piazza mette in campo anche il vice Rebaudengo, Giulio Belletti e il giovanissimo Vagli.
L’impresa è compiuta e in tribuna oltre ai quattrocento tifosi giunti da Parma e ai tecnici della nazionale italiana Silvano Prandi e Nerio Zanetti, fa festa anche il console italiano a Bruxelles Alberto Galluccio, che a fine partita scende in campo a complimentarsi personalmente con tutti gli atleti italiani.
La Coppa dei Campioni è di nuovo a Parma. Quella squadra, quella della stagione 1984/85, formata da grandi uomini ancora prima che grandi pallavolisti, sarà per sempre ricordata, sì come la squadra vincitrice della seconda Coppa dei Campioni del club ducale, ma anche e soprattutto come “la squadra che fece l’impresa”. La prima squadra italiana capace di vincere una Coppa dei Campioni con presente anche i campioni Sovietici, scrivendo una delle più belle e gloriose pagine della pallavolo italiana.



martedì 11 giugno 2019

LA STAGIONE 1984/1985: LO STORICO SCUDETTO DI BOLOGNA



Riportiamo l’articolo che il nostro blogger Filippo Vagli ha scritto per la rivista on-line di pallavolo Volleyball.it e pubblicato nella rubrica “A spasso nel tempo”

La stagione1984/85: lo storico scudetto di Bologna

Il 10 agosto di quel lontano 1984 la squadra nazionale italiana di pallavolo, battendo con un netto 3 a 1 la rocciosa nazionale canadese, conquista a Los Angeles la prima medaglia olimpica della sua storia; un bronzo storico per l’intero movimento pallavolistico italiano. Anche grazie all’eco di quella medaglia i nomi di giocatori quali Bertoli, Lanfranco, Errichiello, fino ad allora noti solo ai più stretti appassionati di volley, entrano nelle case di tutti gli italiani, e danno il via ad una nuova era per lo sport della pallavolo.
Il quarantesimo campionato di serie A1 maschile, quello della stagione 1984/85, si preannuncia quindi molto interessante e ricco di spunti. Si incomincia tardi, il 27 ottobre, in modo tale da lasciare smaltire ai dodici atleti che Silvano Prandi e il suo secondo Nerio Zanetti si erano portati nel corso dell’estate in terra statunitense, le scorie e i residui che la manifestazione olimpica aveva lasciato in loro. Ai blocchi di partenza della nuova stagione si presentano dodici squadre: Americanino Padova, Bistefani Asti, Codyeco Santa Croce, Cus Torino, Di Iorio Chieti, Enermix Milano, Kutiba Falconara, Lozza Belluno, Mapier Bologna, Panini Modena, Santal Parma e Virtus Sassuolo.
La squadra campione d’Italia uscente e grande favorita per la riconquista del titolo nazionale è il Cus Torino del commissario tecnico Silvano Prandi che grazie alla possibilità del doppio incarico concessogli dalla FIPAV può sedere sia sulla panchina torinese che su quella azzurra. La squadra del “professore” aveva dominato gli ultimi anni della pallavolo italiana, conquistando quattro degli ultimi sei campionati, lasciando alla Santal Parma del prestigiatore Kim o Chul gli scudetti 1981/82 e 1982/83. Torino può schierare un sestetto di grande qualità, con il talento di Fabio Vullo in palleggio, la potenza dello straordinario svedese Bengt Gustafson e la classe del genio e sregolatezza statunitense Tim Hovland impiegati come martelli di riferimento, i giovani Guido De Luigi e Andrea Gardini centrali, e Giorgio Salomone schiacciatore di duecentouno centimetri a chiudere il sestetto.
Un po’ tutti gli addetti ai lavori vedono nella Panini Modena la sfidante numero uno dell’armata piemontese. A Modena lo scudetto manca dalla stagione 1975/76, troppo tempo per una città come quella della Ghirlandina, che si nutre di pallavolo e che viene da tutti considerata come la culla del volley italiano. Modena deve quindi rincominciare a vincere e avvertendo questa necessità Benito e Giuseppe Panini, storici fondatori del Gruppo Sportivo Panini e padri della grande pallavolo modenese, affidano al tecnico Andrea Nannini un vero e proprio squadrone “ammazzatutti”. Richiamano a Modena Pupo Dall’Olio, il miglior palleggiatore italiano dell’epoca, che soltanto tre anni prima avevano lasciato partire alla volta prima di Milano (due stagioni) poi di Bologna e gli piazzano in diagonale uno straordinario martello argentino, quel Roul Quiroga che diventerà poi uno degli idoli del popolo gialloblu e che conquisterà con il connazionale Julio Velasco in panchina gli scudetti 1985/86 e 1987/88. Il bomber sudamericano si era messo in grande evidenza nella stagione precedente, impressionando tecnici e commentatori con un campionato di altissimo livello nell’Asti Riccadonna di Enrique Edelstein, tecnico argentino che conoscendo le sue doti lo aveva portato con sé in Italia. La strategia di Modena, prevedeva non solo di rinforzarsi, ma nello stesso tempo di indebolire gli avversari. Ecco che, dopo aver “scippato” a Torino, nell’anno precedente, il più forte schiacciatore italiano, “mano di pietra” Franco Bertoli prosegue nella sua razzia, acquistando dai piemontesi (che non navigavano in floride acque finanziarie) anche Giancarlo Dametto, centrale poco appariscente ma di grandissima sostanza e maestro nel fondamentale del muro grazie agli insegnamenti di Silvano Prandi. La Panini lo schiera in diagonale con uno degli astri nascenti della pallavolo italiana, il ventiduenne Andrea “Lucky” Lucchetta che sarà poi grande protagonista sia dei canarini emiliani che delle prime grandi vittorie europee e mondiali della nostra nazionale targata Velasco. Chiudono il sestetto il già nominato Franco Bertoli e l’esperto Mauro Di Bernardo, ventottenne di Grottammare, nazionale, universale di classe sopraffina e grande equilibratore di gioco. Mister Nannini ha tra le mani una vera e propria fuoriserie, allestita per far saltare il banco.
Nella griglia di partenza a ridosso di queste due corazzate tutti collocano la Santal Parma di Claudio Piazza. Il Club ducale aveva visto chiudersi dopo soli tre anni il ciclo Kim o Chul, il funambolico palleggiatore coreano, uno dei miti della pallavolo mondiale che aveva portato nella città di Maria Luigia spettacolo e grandissime vittorie. Anche Parma è andata far spesa in quel di Torino per il dopo Kim, acquistando il palleggiatore titolare della nazionale medaglia di bronzo a Los Angeles Piero Rebaudengo, a cui aveva affiancato il fortissimo ma un po’ logoro dalle mille battaglie Tomasz “Tomek” Wojtowicz in arrivo dall’Edilcuoghi Sassuolo e l’esperto universale Stefano Recine in uscita da Modena.
L’Enermix Milano di Nino Cuco e la Mapier Bologna di Nerio Zanetti, secondo di Prandi sulla panchina azzurra, si candidano come compagini in grado di dare fastidio un po’ a tutti, soprattutto nelle gare giocate nelle loro storiche “cattedrali”, il Palalido di Milano e il PalaDozza di Bologna più conosciuto come il “Madison”. Milano schiera l’esperto Lazzeroni in palleggio, il potente finlandese Mauri Lappanen in posto quattro e due giovani di grande prospettiva, il centrale Claudio Galli dotato di un muro invalicabile e Luca Milocco schiacciatore proveniente da Padova dotato di grande elevazione e potenza nei colpi d’attacco. Bologna dal canto suo, costruisce la squadra intorno al suo campione italo - canadese e idolo dei tifosi Stelio De Rocco, affiancandogli uno dei più geniali ed estrosi palleggiatori del panorama italiano, il talentuoso mancino Gianmarco Venturi di Ravenna, già di Sassuolo e Modena. Completa poi il sestetto con il centrale romano Angelo Squeo, ripudiato un paio di anni prima da Modena, con il centralone Leo Carretti, “scartato” da Sassuolo ed infine scommettendo sul romagnolo Antonio Babini, uno schiacciatore alto soltanto un metro e ottantasette ma dotato di un’elevazione che mette i brividi e di una grinta da gladiatore. Nerio Zanetti e il suo secondo Maurizio Menarini hanno quindi a disposizione un sestetto di grande esperienza, costituito mettendo insieme un puzzle fatto di atleti per lo più “tagliati” dalle loro ex società. 
Americanino Padova e Codyeco Santa Croce sono le due formazioni neopromosse, con l’unico e dichiarato obiettivo della salvezza. Completano il lotto la Bistefani Asti del talentuoso alzatore Pierpaolo Martino, la Di Iorio Chieti che schiera nel ruolo di schiacciatore un giovanissimo Alejandro Diz, il Kutiba Falconara di Marco Paolini, giovane tecnico che costruisce le proprie squadre con i giocatori provenienti dal vivaio, l’esperto Lozza Belluno del duo Uriarte – Parkkali e una Virtus Sassuolo in grave difficoltà economica.
Rispettando tutti i pronostici la Panini vola e chiude la stagione regolare al primo posto con quaranta punti, frutto di venti vittorie e di solo due sconfitte, lasciando la piazza d’onore ad una Mapier Bologna vera e propria rivelazione di questa prima fase di stagione. Cus Torino e Santal Parma si piazzano rispettivamente al terzo e al quarto posto. I quarti di finale dei play off vedono affrontarsi Modena – Asti, Parma – Falconara, Torino – Milano e Bologna Santa Croce, che pur da neopromossa centra una stagione superlativa e grazie ai canadesi Hoag e Jones, e ai due redivivi Nassi e Innocenti, veri e propri pilastri della pallavolo italiana negli anni ’70, si classifica al settimo posto. Questi quarti di finali non regalano nessuna sorpresa, e consentono a Modena, Parma, Torino e Bologna di accedere alle semifinali, che mettono di fronte Modena – Parma e Torino Bologna. Modena si sbarazza con due 3 a 2 della Santal Parma, sazia del titolo di Campione d’Europa conquistato pochi mesi prima a Bruxelles, ma la vera sorpresa arriva dalla seconda delle due semifinali dove la Mapier Bologna con una terza grandissima partita (le semifinali si giocano con la formula delle due partite su tre) espugna con un netto 3 a 1 il PalaRuffini di Torino eliminando dalla corsa scudetto i campioni d’Italia uscenti.
Si va quindi ad una finale tra Modena e Bologna con i modenesi super accreditati per la vittoria finale da tutti i pronostici. E tutto sembra andare in quella direzione, dal momento che gara uno a Modena si chiude con un 3 a 1 in favore della Panini che sembra indirizzare questo finale di stagione ad un copione già scritto. Ma la squadra del commendator Panini non si aspetta minimamente ciò che invece accadrà in gara due. Qualcosa di assolutamente inaspettato, una di quelle favole che solo lo sport può regalare. Una super Bologna infatti davanti a oltre settemila bolognesi deliranti di tifo ribalta tutti i pronostici schiantando con un altrettanto netto 3 a 1 Modena, rimettendo tutto in gioco e costringendo i gialloblu alla bella di gara tre. E pensare che in casa felsinea la viglia di gara due non era nata sotto i migliori auspici dal momento che l’infortunio dello schiacciatore Fanton aveva costretto il tecnico Nerio Zanetti ad inventarsi Scarioli, secondo alzatore e vice di Venturi, come schiacciatore di posto quattro.

Nonostante questa sconfitta per i modenesi lo scudetto sembra però soltanto rimandato di pochi giorni e la sera del 21 maggio 1985 il PalaPanini gremito all’inverosimile si prepara a festeggiare il ritorno dello scudetto a Modena dopo ben nove anni di attesa. Modena si presenta in campo con il giovane Luca Cantagalli in sestetto al posto dell’infortunato Di Bernardo, e subito dai primi scambi si capisce che i bolognesi non hanno per nulla voglia di vestire i panni degli agnelli sacrificali. Più passano i minuti di gioco e più gli uomini di Nannini sembrano scarichi, svuotati, con le due principali bocche da fuoco Bertoli e Quiroga che faticano terribilmente a mettere palla a terra. La sconfitta in gara due, così sottovalutata in casa Panini aveva evidentemente lasciato più di una scoria nel sangue degli atleti modenesi minando alle fondamenta quelle le certezze acquisite in un anno di lavoro. Nell’altra metà campo si scorgono invece nitidamente quelli che il grande Julio Velasco definirà qualche anno dopo come gli “occhi della tigre”. Venturi stravince la gara a distanza con l’altro palleggiatore, il ben più quotato Pupo Dall’Olio. Squeo e Carretti sovrastano al centro della rete Dametto e Lucchetta e il duo De Rocco - Babini si incarica di sorreggere la ricezione e soprattutto di bombardare con attacchi imprendibili il muro e la difesa modenese. E questa fiaba a lieto fine termina con la vittoria della Mapier Bologna per 3 a 1, che incorona i bolognesi del duo Zanetti - Menarini campioni d’Italia, regalando alla città felsinea il suo terzo scudetto, dopo quelli conquistati dall’allora Virtus Pallavolo Bologna nelle stagioni 1965/66 e 1966/67 con in panchina Odone Federzoni, uno dei totem della pallavolo italiana.

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