Riportiamo l’articolo che il nostro blogger Filippo Vagli ha scritto per la rivista on-line di pallavolo Volleyball.it e pubblicato nella rubrica “A spasso nel tempo”
Parma, la squadra che fece l’impresa. La prima volta
di un ko sovietico
Alle ore
diciassette di un bollente ventisette agosto 1984 alla palestra Melloni di
Parma, deliziosa cittadina dell’Emila occidentale già capitale del ducato di
Parma e Piacenza tra il 1500 e il 1800, cinque atleti della Santal Parma, Giulio
Belletti, Stefano Recine, Tomasz Wojtowicz e i giovani Michele Ghiretti e
Filippo Vagli, agli ordini di mister Claudio Piazza e del suo vice Franco
Salvini stanno iniziando a sudare nel primo allenamento della nuova stagione
agonistica. E lo stano facendo ignari del fatto che quell’annata e quella
squadra sarà per sempre ricordata come “la squadra che fece l’impresa”, una
delle favole più belle della pallavolo italiana.
Sono solo in
cinque perché quel 1984 è stato l’anno delle Olimpiadi di Los Angeles, torneo
che ha consegnato alla pallavolo italiana la sua prima medaglia olimpica. Un
bronzo piuttosto inatteso ma di grande importanza dal momento che il suo
formidabile eco diede visibilità e lustro all’intero movimento pallavolistico
nazionale. Gianni Lanfranco, Marco Negri, Paolo Vecchi, Pierpaolo Lucchetta, Giovanni
Errichiello, e il neoacquisto Piero Rebaudengo, i sei atleti della Santal che hanno
fatto parte della spedizione italiana in terra statunitense, si stanno godendo gli
ultimi giorni di vacanza post olimpica, in attesa del quattro settembre, giorno
in cui si ricongiungeranno con il resto della truppa.
Cinque più sei
fa undici, ma le squadre di pallavolo sono composte da dodici atleti. Ne manca
quindi uno, e precisamente il secondo straniero, che la società ducale ha
individuato nel fenomenale martello brasiliano Mario Xandò de Oliveira Neto più
noto come Xandò. Ma di questo parleremo più avanti.
Quella del 1984
non è un’estate come tutte le altre per il club di Via Silvio Pellico. Kim Ho
Chul, il palleggiatore coreano arrivato a Parma tre anni prima con un contratto
di sessanta milioni di lire annuo, ingaggio da top player per la pallavolo dei
primi anni ’80, ha appena lasciato Parma, richiamato dalla federazione coreana verso
un forzato ritorno in patria. E ha lasciato la città ducale dopo aver vinto in
tre stagioni la bellezza di due scudetti, due coppe Italia e una Coppa dei
campioni, quest’ultima soltanto pochi mesi prima.
Parma, dopo l’arrivo
del grande sponsor Santal (orbita Parmalat del Cavalier Callisto Tanzi) è al
top del volley nazionale. Nell’estate del 1980 acquista Gianni Lanfranco, il
più forte pallavolista italiano di quegli anni, grazie ad una grande operazione
di mercato condotta dal Direttore Sportivo Aristo Isola. L’arrivo a Parma di Lanfranco,
che nei piani dell’ambiziosa dirigenza locale doveva rendere la squadra
competitiva per lo scudetto, non è stato però sufficiente per portare i
risultati sperati dal momento che la stagione 80/81 la Santal chiude la
stagione con un appena sufficiente quarto posto. Ci vuole qualcos’altro per
scalfire l’egemonia piemontese della Robe di Kappa Torino, club del professor
Silvano Prandi, che dal 1978 sta dominando il campionato italiano.
L’illuminazione arriva durante l’estate del 1981 quando durante un torneo
internazionale Aristo Isola
e Claudio Piazza, tecnico che da diversi anni siede sulla panchina degli
emiliani, si innamorano di un piccolo ma straordinario regista coreano, Kim Ho
Chul, che guida la nazionale del suo paese proponendo un gioco fatto di
tecnica, velocità e schemi d’attacco innovativi che coinvolgono più giocatori,
cosa che in quel momento non aveva uguali al mondo. Piazza, da grande
conoscitore di pallavolo, non impiega molto ad informare il suo Direttore
Sportivo che è proprio quel piccolo funambolo asiatico ciò che manca alla sua
squadra per fare il definitivo salto di qualità. Isola, cha ha grande fiducia
nel proprio tecnico, annuisce ma sa benissimo che non sarà un’impresa per nulla
facile quella di portare il coreano a Parma. Nel 1981 il mondo è ancora diviso
in due, e la Corea al termine del secondo conflitto mondiale è stata divisa dalla
due all’altezza del 38° parallelo da statunitensi e sovietici, dando vita a due
stati, la Corea del Sud e la Corea del Nord. Da quel momento in poi la penisola
coreana non avrà più pace tra guerre e colpi di stato militari, l’ultimo in
ordine cronologico quello del 1980 a opera del generale Chun Doo-hwan, leader
di un regime totalitario nel quale gli atleti sportivi non sono liberi di poter
scegliere il proprio futuro ma vincolati ai voleri dello stato centrale. Ecco
che il buon Aristo deve mettere in campo tutta la sua abilità diplomatica, che
lo consacrerà poi negli anni successivi come uno dei manager più abili e capaci
della pallavolo italiana, per riuscire ad accontentare il proprio allenatore. E
navigando attraverso grandi difficoltà e complicate negoziazioni con la
federazione coreana alla fine riesce nell’impresa e consegna al proprio tecnico
il tassello mancante per costruire quella perfetta macchina da volley che il
“baffone” emiliano ha ben impressa nella sua mente.
Una volta arrivato
a Parma Kim, si confronta a lungo con Claudio Piazza, spiegandogli i suoi
celeberrimi trentatrè schemi d’attacco e portando in dote la sua visione del
gioco della pallavolo. Il tecnico ascolta, elabora, e con grande umiltà,
sensibilità e intelligenza decide di affidare al registra asiatico le chiavi
della squadra, nominandolo vero e proprio “allenatore in campo”, consentendogli
di organizzare il gioco secondo gli schemi a lui più famigliari. E con Kim Ho
Chul non solo arrivano grandi risultati di squadra, ma anche una crescita
esponenziale di giocatori che, anche grazie al gioco del regista coreano,
riescono a dare il loro meglio, esaltando le proprie caratteristiche tecniche, e
raggiungendo l’apice massimo delle rispettive carriere. Questa grande squadra
non solo vincerà tanto, sia in Italia che in Europa, ma lo farà giocando una
pallavolo spettacolare, spumeggiante, bellissima quanto efficiente, mai vista e
forse nemmeno mai pensata prima, indirizzando la pallavolo italiana e
internazionale verso una vera e propria rivoluzione copernicana. Le squadre
avversarie infatti, non solo tentano di emulare il gioco tutto schemi e
velocità del piccolo coreano, ma per contrastare l’estroso gioco della Santal sono
obbligati a studiare nuovi schemi di muro, di difesa, e di correlazione fra
questi due fondamentali facendo compiere a l’intero movimento pallavolistico un
importante balzo in avanti e un vero e proprio cambiamento di stato a livello
qualitativo da ogni punto di vista, fisico, tecnico e tattico.
Nel corso
dell’estate del 1984 Parma non ha perso soltanto il piccolo coreano ma ha
operato una mezza rivoluzione nel proprio organico. Ha infatti lasciato libero
l’argentino Hugo Conte, che nella stagione precedente non aveva convinto
appieno la dirigenza e lo staff tecnico ducale, così come due pedine importanti
della Santal degli anni precedenti quali l’universale Alberto “Lillo Angelelli”,
e l’opposto Maurizio Ninfa, che avevano vestito la casacca bianco-azzurro-verde
negli ultimi campionati. Anche l’assetto societario si è nel frattempo
modificato dal momento che alla Direzione sportiva del club al posto di Aristo
Isola è arrivato un giovane dirigente sportivo parmigiano, quel Roberto Ghiretti
che ricoprirà negli anni successivi importanti incarichi manageriali di
prestigio nel mondo sportivo e sarà per tutti gli anni ’90 Direttore Generale
della Lega Pallavolo serie “A” maschile.
Ghiretti acquista da Torino Piero Rebaudengo per coprire la casella del
palleggiatore lasciata libera dall’addio di Kim Ho Chul, Stefano Recine esperto
universale romagnolo proveniente da Modena e il polacco Wojtowicz
dall’Edilcuoghi Sassuolo. Il fuoriclasse dell’est, classe 1953, giunge a Parma
con le credenziali di campione del mondo (Messico 1974) e olimpico (Montreal
1976). Nato schiacciatore e precursore dei tempi come formidabile attaccante
dalla seconda linea, in un’epoca in cui quasi nessun atleta si cimentava con
continuità ed efficienza in questo tipo di attacco, a Parma si accomoda al
centro della rete costituendo una stratosferica coppia di centrali con Gianni
Lanfranco. E pur con qualche acciacco alla schiena e alle ginocchia, figli di centinaia
di gare nonché di migliaia di allenamenti svolti con i durissimi metodi
polacchi che prevedevano sedute al limite della sopportazione umana, si rivela un
centrale di grande sostanza. Fortissimo a muro e in attacco e dotato di una tecnica
individuale sopraffina che lo rende efficientissimo in tutti i fondamentali ed
in ogni zona del parquet. Parma completa il roster con due giovani emergenti
della propria “cantera”, Ghiretti e Vagli, che pochi mesi prima si sono laureati
campioni d’Italia nella categoria ragazzi (under 17) guidati in panchina da
Gian Paolo Montali che negli anni successivi si rivelerà uno dei più grandi
allenatori della storia pallavolistica italiana.
Nell’organico
dei ducali c’è ancora un posto libero per uno straniero e la Santal è convinta
di riuscire a tesserare il campione brasiliano Xandò. Claudio Piazza si è
innamorato della potenza in attacco e in battuta di questo colosso sudamericano
a Los Angeles, durante le Olimpiadi, assistendo agli incontri della nazionale
brasiliana medaglia d’argento della competizione a cinque cerchi. Xandò è un
atleta di potenza e classe superiore alla media, non a caso eletto come miglior
schiacciatore della manifestazione olimpica. C’è l’accordo con il giocatore ma
la Federazione Brasiliana guidata dall’avvocato Carlos Nuzman nega il
trasferimento in Italia del bomber paulista (e degli altri campioni della
propria squadra nazionale) al fine di mantenere ai massimi livelli il
campionato brasiliano che rischiava di essere “scippato” dei suoi miglior
giocatori. La Santal cerca di arrivare ad un accordo con la Federazione
brasiliana mettendo in campo tutti i suoi buoni uffici per riuscire a far
vestire la divisa dei ducali al Xandò, ma la trattativa fatica a decollare. Vengono
quindi vagliate altre candidature di atleti statunitensi, canadesi, olandesi
coreani, ma nessuno convince appieno lo staff tecnico parmense. L’idea di
mister Piazza è chiara: o Xandò, campione in grado di fare la differenza e di
spostare gli equilibri, oppure la squadra farà a meno del secondo straniero.
La trattativa
non andrà a buon fine e al termine dell’estenuante tira e molla il giocatore
non arriverà mai in Italia, costringendo la Santal ad iniziare la stagione con il
solo Wojtowicz ad occupare una delle due caselle riservate agli atleti stranieri
lasciandosi però aperta la porta per un ulteriore tesseramento di un atleta
proveniente da altra federazione a stagione in corso.
Il campionato
1984/85 per capitan Lanfranco e compagni inizia con qualche su e giù. Dopo il
vittorioso esordio alla prima di campionato con il debole Sassuolo, il 3
novembre nella seconda gara di campionato arriva il primo scivolone stagionale con
una brutta sconfitta per 3 a 1 in casa dalla terribile matricola S. Croce dei
canadesi Hoag e Jones, nonché dei veterani Nassi e Innocenti, autori di una
gara superlativa. Arriva poi la sconfitta casalinga per 3 a 1 alla quinta
giornata con Torino così sette giorni più tardi un’altra brutta sconfitta per 3
a 2 al Palalido di Milano contro l’Enermix degli scatenati Milocco e Galli.
Piero Rebaudengo
è un grande palleggiatore, il titolare della nazionale azzurra medaglia di
bronzo a Los Angeles, e il suo valore non si discute. La squadra però fatica a
ritrovarsi con i nuovi schemi di gioco e pare in difficoltà a metabolizzare il
cambio di organizzazione tecnico tattica che il cambio in cabina di regia ha
inevitabilmente portato. Seguono altre due sconfitte, quella interna con
Falconara e quella esterna del 15 dicembre in quel di Modena che sembra
decretare lo stato di crisi in casa parmense. La pausa natalizia arriva quindi coma
manna dal cielo per gli uomini di Piazza che nelle tre settimane di sosta si allenano
duramente e riescono a ritrovarsi tornando alla vittoria in campionato il
cinque gennaio 1985 nella gara interna con il Lozza Belluno.
A campionato in corso,
ha avuto inizio l’altra grande manifestazione a cui la Santal è iscritta,
quella Coppa dei Campioni che il club ducale si è aggiudicata l’anno
precedente. L’edizione 1983/84 della massima competizione europea era stata leggermente
“facilitata” dall’assenza delle squadre dell’ex Unione Sovietica dal momento
che nelle stagioni preolimpiche, al fine di preparare al meglio tali
manifestazioni, le squadre di club dell’URSS non partecipavano ai tornei
continentali. La Santal, grazie sia alla propria forza che all’assenza dei
mostri sacri sovietici, era riuscita a conquistare per la prima volta nella sua
storia la massima competizione continentale in quel di Basilea dove, nella Final
Four giocata dal 17 al 19 febbraio 1984, aveva liquidato il Cannes del
fuoriclasse Alain Fabiani (palleggiatore che in seguito vestirà proprio la
maglia dei ducali anche se per una sola stagione, 1986/87), i cecoslovacchi del
Dukla Liberec e i sempre temibili jugoslavi del
Mladost Zagabria.
La
ventisettesima edizione della massima competizione europea, quella dell’annata
1984/85, vede invece ai nastri di partenza venti squadre, questa volta senza
alcun tipo di defezione, e quindi con la squadra dell’ex URSS presente. I
sovietici schierano come propri portacolori (e come squadra da battere) il
fortissimo Radiotechnik Riga, fresco campione del titolo nazionale dopo che per
quattordici anni consecutivi ad aggiudicarsi il titolo Sovietico era stata
quella macchina da guerra chiamata CSKA di Mosca, la squadra dell’esercito, che
negli anni del regime era sotto la diretta competenza del ministero della
Difesa dell’URSS, e quindi dell’Armata Rossa. L’Italia si presenta al via con
due club, la Santal, avente diritto in qualità di campione uscente della
manifestazione, e il Cus Torino orfano del marchio Robe di Kappa, campione
d’Italia nella stagione precedente. La marcia dei torinesi si arresta però bruscamente
agli ottavi di finale a Bucarest quando contro i rumeni della Dinamo subisce un
brusco quanto inaspettato 3 a 0 dopo che nel match di andata i piemontesi l’avevano
spuntata con un rassicurante 3 a 1. La differenza set purtroppo condanna il
club del professor Prandi ad una cocente eliminazione lasciando al club
emiliano l’onore e l’onere di portare aventi in solitudine i colori della
bandiera italiana nella manifestazione continentale.
In Europa la Santal
gioca una pallavolo di maggior qualità ed efficienza rispetto a quella che
mette in mostra in campionato. Negli ottavi di finale regola con un doppio 3 a
1 gli olandesi del Brothers Martinus, buona squadra nella quale spiccano i nomi
del piccolo palleggiatore Avital Selinger, e di altri atleti di buon livello
quali Browers, Boudrie, e soprattutto Ron Zwerver diciasettenne schiacciatore
di grande talento che dal 1992 al 1998 sarà poi uno degli idoli della tifoseria
della Sisley Treviso. La doccia gelata arriva pochi giorni dopo il passaggio ai
quarti di finale quando nell’urna dei sorteggi la dea bendata abbina alla
Santal niente po’ po’ di meno che temibilissimi sovietici del Radiotechnik Riga; tra
tutti il peggior abbinamento possibile. La gara d’andata è prevista per il 9
gennaio 1985 a Riga, città situata sul Mar Baltico e capitale della Lettonia.
In gennaio il clima a Riga è particolarmente freddo e umido, con temperature
che arrivano a toccare anche i meno venti gradi centigradi nelle giornate più
fredde. Ma in quel 1985 anche l’Italia non scherza con il freddo dal momento
che quel gennaio verrà ricordato negli annali come la stagione della più grande
nevicata in Italia del ventesimo secolo. Un’ondata di freddo anomalo aveva
fatto il suo ingresso su tutto il territorio nazionale facendo registrare
copiose nevicate con accumuli di neve tra i cinquanta e gli ottanta centimetri
e temperature polari di oltre venti gradi sotto lo zero in tutta la pianura
padana. All’alba del 6 gennaio la squadra parte alla volta di Riga da una Parma
che ancora dorme sotto un’abbondantissima coltre di neve, e il viaggio non si
rivela dei più agevoli. Una volti giunti a Mosca per il previsto scalo tecnico,
i parmensi non trovano l’aereo che avrebbe dovuto portarli a Riga dal momento
che le tempeste di neve che stanno flagellando il territorio Sovietico non
consentono agli aerei di poter decollare. Dopo diverse ore di attesa
all’aeroporto Šeremét'evo di Mosca i ducali decidono di trascorrere la notte in
un albergo della capitale moscovita e attendere il giorno successivo per il
trasferimento a Riga, confidando in un miglioramento della situazione
metereologica. La mattina successiva alle prime luci dell’alba il team riesce finalmente
a mettersi in viaggio per la Lettonia dove arriva soltanto ventiquattrore prima
della gara.
Santal e Radiotechnik si sfidano la sera del 9 gennaio al “Palazzo del
Ghiaccio” sul cui pavimento in occasione di questa partita, è stato posato un
provvisorio pavimento di legno per consentire lo svolgimento della gara stessa. Il nome dell’impianto non è casuale dal momento che
al suo interno la temperatura è di pochissimi gradi sopra lo zero. I favori dei
pronostici sono tutti per i padroni di casa dal momento che nessuna squadra
occidentale fino ad allora era riuscita ad uscire vittoriosa da un impianto
Sovietico, così come nessun club italiano era mai riuscito a sconfiggere una
squadra dell’ex grande impero, nemmeno tra le mura amiche.
In quell’epoca
si conosce ben poco delle squadre straniere in generale ma ancor meno di quelle
Sovietiche dal momento che la rigida “cortina di ferro”, la linea di confine
che divide l’Europa in due zone di cui quella a Est sotto il completo controllo
dell’Unione Sovietica, non consente di far giungere in occidente nulla di ciò
che accade al di là del muro di Berlino. Le uniche informazioni a disposizione
della Santal sono quelle portate in dote dai propri atleti che giocano le
manifestazioni internazionali con la nazionale italiana e dal polacco Wojtowicz
che contro i sovietici ha giocato svariate partite. Il giocatore più
rappresentativo del Radiotechnik è il nazionale Pavel Selivanov, posto quattro
di grande tecnica ed elevazione, difficilissimo da contenere a muro, ma ci sono
anche Boris Kolchin altro schiacciatore di grande qualità, specialista dei
fondamentali di seconda linea che sarà poi a Prato per due stagioni alla fine
degli anni ’80 e Raimonds Vilde schiacciatore –
centrale di oltre due metri, dalla grande abilità in attacco e muro, anch’esso
in Italia, a Falconara, nella stagione 1998/99.
Durante il
trasferimento dall’albergo al palazzo dello sport sul pullman che trasporta la
squadra c’è un silenzio irreale, tale è la concentrazione alla gara da parte degli
uomini di Claudio Piazza. Ma tra tutti ce ne è uno in particolare, Tomasz “Tomek”
Wojtowicz, che ancor più dei suoi compagni sente particolarmente questa sfida contro
i mai amati (per usare un eufemismo) sovietici. Tomek è un uomo dal carattere
introverso, di poche parole, che ama parlare più con le sue schiacciate e con i
suoi muri piuttosto che con le parole, ma quella serata per lui è speciale, e
negli spogliatori prima della partita prende la parola promettendo ai compagni che
ci avrebbe pensato lui a domare gli ostici avversari. E al termine della gara sarà
proprio il campione polacco ad essere nominato Mvp della partita, grazie ad una
prestazione maiuscola in tutti i fondamentali, sia di prima che di seconda
linea. Attacca da ogni zona del campo con un’efficienza spaventosa, tocca tutti
i palloni a muro, riceve come un orologio svizzero e anche in difesa, non certo
il suo fondamentale prediletto, riesce a salvare palloni incredibili. Insieme a
lui, Pier Paolo Lucchetta, il giovane opposto a cui Claudio Piazza ha dato
fiducia schierandolo nel ruolo di attaccante a tutto campo, gioca la partita
della vita, facendo il belo e il cattivo tempo contro il muro e la difesa dei
Sovietici e con una prestazione “monstre” anche dalla linea dei nove metri
imperversando con battute in salto potentissime e di grande efficacia. Tutta la
squadra, nessuno escluso, gioca la classica partita perfetta, consentendo alla Santal
di uscire dal campo vittoriosa per 3 a 1, conquistando i propri parziali a
otto, a otto e a sei, a testimonianza del dominio con cui gli atleti ducali governano
la scena nella gelida serata lettone.
L’impresa dei
“Santalini” entra nella storia della pallavolo non solo italiana ma
internazionale dal momento che fino a quel giorno nessuna squadra al mondo è
riuscita a sconfiggere una squadra Sovietica sul suo territorio. Piazza e i
suoi undici atleti fanno orgogliosamente ritorno a Parma dove vengono accolti
dai propri tifosi come dei veri e propri eroi. Ma non c’è tempo per festeggiare
dal momento che nella settimana successiva è programmata la gara di ritorno, match
che si preannuncia come una vera e propria battaglia contro i feriti e mai domi
sovietici. La vittoria in Lettonia ha però letteralmente galvanizzato la Santal
che sette giorni dopo in un PalaRaschi gremito in ogni ordine di posto, bissa
il successo della gara d’andata con una strepitosa vittoria al tiebreak che gli
consente di agguantare con pieno merito uno dei quattro posti disponibili per giocarsi
la Final Four prevista al Palasport Charles Van der Putten di Bruxelles dal 15
al 17 febbraio 1985.
C’è un mese di
tempo per preparare la manifestazione. La squadra, anche grazie alla vera e
propria boccata d’ossigeno e di autostima derivante dalla grande vittoria
contro i sovietici, si allena con grande entusiasmo e fiducia. Per alzare il
livello di allenamento viene aggregato alla squadra un atleta statunitense,
Randy Stoklos. Teoricamente la Santal potrebbe tesserarlo dal momento che il
posto del secondo straniero è rimasto ancora vuoto e le norme internazionali
prevedono tale possibilità. Stoklos è un ventiquattrenne professionista di
beach volley, fenomenale in spiaggia, ma un po’ meno efficiente nella pallavolo
indoor. Claudio Piazza rimane fedele alla sua linea che prevede il possibile
inserimento in squadra soltanto di un atleta in grado di fare la differenza, un
giocatore capace di spostare gli equilibri, e Randy non è tra questi. Il suo
tesseramento rischierebbe solo di destabilizzare il gruppo, elemento
fondamentale nel credo pallavolistico del tecnico emiliano, e pertanto la
decisione è presa: Piazza andrà a Bruxelles a giocarsi la finale con i suoi
fedelissimi atleti. Allo yankee andrà meglio con la pallavolo sulla sabbia dal
momento che al termine della sua luminosa carriera da “spiaggarolo” verrà
ricordato come il terzo “beacher” di tutti i tempi per numero di vittorie.
La squadra parte
per Bruxelles con grande fiducia accompagnata dal calore del tifo di
quattrocento meravigliosi tifosi parmigiani. Le tre squadre che fanno compagnia
alla Santal in terra belga provengono tutte dall’Est d’Europa, e sono la Stella
Rossa Praga, il CSKA Sofia e il Mladost Zagabria. La gara d’esordio per i
ducali è prevista contro il pericoloso Mladost Zagabria, del tremendo bombardiere
Nurko Causevic, universale di duecentoun centimetri che sarà poi grande
protagonista nel nostro campionato a Ravenna, Falconara e Ferrara. Gli slavi
partono forte e si aggiudicano il primo set ma dopo la prima frazione di gioco
la Santal riesce a scrollarsi dal groppone l’ansia dell’esordio e mettendo in
mostra una caratura tecnica nettamente superiore, con tre parziali piuttosto
netti, 15-10, 15-6, 15-8, riesce a portare a
casa la vittoria.
La seconda
giornata prevede come avversario dei parmensi la Stella Rossa Praga,
l’avversario teoricamente più debole tra le altre tre compagini finaliste. E
tutto va come da pronostico dal momento che al di la di un terzo set perso 16 a
18 in cui gli atleti di Claudio Piazza si concedono qualche distrazione di
troppo, la partita si chiude con un netto 3 a 1 per la Santal. Ma è dall’altra
partita che arriva il regalo più inatteso per i ducali: il CSKA di Sofia, la
squadra guidata in panchina da Dimiter Zlatanov che la Santal teme più di ogni
altra, subisce una tremenda battuta d’arresto perdendo 3 a 1 contro gli slavi
del Mladost. Questo risultato, consentirebbe agli uomini di Piazza di
conquistare la Coppa anche con un’eventuale sconfitta nella terza gara, partita
nella quale sarebbe necessario vincere anche solo due soli set per laurearsi
campioni d’Europa.
Una volta
rientrati in albergo i “senatori” della squadra riuniscono il gruppo, e insieme
si promettono che il giorno seguente la squadra scenderà in campo senza fare
nessun calcolo e con una sola idea in testa, quella di battere i bulgari. D’altro
canto, per campioni di tale caratura che non ci stanno a perdere nemmeno quando
giocano a calciobalilla con gli amici, non è nemmeno ipotizzabile pensare di
giocare una finale europea senza darsi la vittoria come unico obiettivo.
Domenica 17
febbraio è il grande giorno. Da una parte della rete la classe e l’esperienza
dei campioni uscenti della Santal Parma e dall’altra la forza fisica di
campioni affermati quali Kiossev, Guntchev, Petkov, Sokolov e di un di un giovanissimo
Ljubomir Ganev, impressionante opposto di duecentodieci centimetri e centoventi
chili di massa muscolare che dalla stagione 90/91 calcherà i nostri palasport
dando spettacolo per quasi dieci anni con le sue formidabili schiacciate e i
suoi urli a tutto petto ad accompagnare ogni suo punto.
Nell’entourage Santal
c’è grande fiducia ed entusiasmo per l’esito finale del match. La squadra ha
acquisito grande fiducia nei propri mezzi e piena consapevolezza del proprio
potenziale. Il sestetto dei parmensi è un misto di classe, energia ed esperienza
internazionale. Piero Rebaudengo è il palleggiatore titolare e la squadra pare
aver finalmente assorbito il diverso stile di gioco tra l’alzatore piemontese e
l’ex Kim Ho Chul. Il ventiduenne Pier Paolo Lucchetta è l’opposto di
centonovantanove centimetri di grande potenza a cui Claudio Piazza ha destinato
il ruolo bombardiere da prima, da seconda linea e dai nove metri. E’ il
giocatore più giovane in campo in maglia Santal, un atleta in grande evoluzione
e crescita sia tecnica che di personalità, che nel ruolo cucitogli addosso dal coach
parmense sta trovando la sua vera dimensione apportando alla squadra energia e
voglia di vincere oltre che notevoli quantità di punti. Gianni Errichiello e il
mancino Marco Negri, vero e proprio professore del “mani e fuori”, sono due
vere e proprie garanzie in posto quattro, così come Gianni Lanfranco e Tomasz Wojtowicz, i due straordinari centrali di attacco e muro
che completano il sestetto dei ducali. In panchina, oltre al secondo
palleggiatore, l’affidabilissimo Giulio Belletti, Stefano Recine, Paolo Vecchi
e Filippo Vagli sono pronti ad entrare in qualsiasi momento a dar man forte in
caso di bisogno.
La posta in
palio è altissima e forse anche per questo entrambe le squadre iniziano la gara
piuttosto contratte. La Santal si porta prima in vantaggio per 10 a 9 e arriva
ad avere un set-ball sul 14 a 13, ma complice un grossolano errore arbitrale
che fischia un inesistente tocco a muro italiano su un attacco bulgaro finito
fuori, la squadra si innervosisce e oltre a vanificare ben otto palle set,
finisce per perdere il primo set per 18 a 16. Ma la Santal c’è, è viva, gli
occhi sono quelli giusti, e desidera a tutti i costi riportare la grande Coppa
a Parma. Nel cambio di campo capitan Lanfranco, che vuole la sua terza Coppa
Campioni (oltre a quella dell’anno precedente se ne era aggiudicata una nel 1980
ad Ankara con la Klippan Torino) suona la carica ai suoi compagni di squadra.
La squadra si libera dalla grande tensione di inizio gara e incomincia a
macinare gioco e punti. Piero Rebaudengo orchestra da par suo il gioco
d’attacco della squadra, dove un trascinante Gianni Errichiello e un immenso
Marco Negri, che come si suol dire “lima” letteralmente le unghie alle mani
degli altissimi muratori bulgari, prendono per mano i compagni e regalano punti
fondamentali al proprio sestetto. Entra in partita anche il polacco Wojtowicz,
fino ad allora un po’ in ombra, e insieme ad un generosissimo Gianni Lanfranco regala
una serie di monumentali muri mettendo la museruola all’attacco bulgaro. Il
secondo set si chiude con un netto 15 a 3 per i parmensi che rimette in pari la
gara. Ora gli uomini di Piazza giocano a briglia sciolta e nel terzo set si
portano immediatamente in vantaggio per 3 a 0. Rebaudengo prosegue senza
sbavature la sua magistrale partita in cabina di regia, Errichiello continua
implacabile il suo bombardamento da posto quattro mettendo a terra ogni tipo di
alzata gli arrivi, Stefano Recine e Paolo Vecchi concedono un po’ di respiro a
Marco Negri e a Pier Paolo Lucchetta e la squadra sul 14 a 9 ha a disposizione
il primo pallone per chiudere set e Coppa. Punto che arriva immediatamente
grazie al “regalo” dell’esperto Petkov che con un errore diretto condanna i
propri compagni alla sconfitta.
La Santal ce
l’ha fatta e sul parquet del Palasport belga la festa dei parmensi si scatena.
Il resto ha ben poca storia. I bulgari, anche complice un più che comprensibile
calo di adrenalina di Lanfranco e compagni si portano sul due pari ma i
parmensi, che vogliono chiudere vittoriosi la gara, si riprendono e si
aggiudicano con un netto 15 a 5 anche il quinto set in cui Claudio Piazza mette
in campo anche il vice Rebaudengo, Giulio Belletti e il giovanissimo Vagli.
L’impresa è
compiuta e in tribuna oltre ai quattrocento tifosi giunti da Parma e ai tecnici
della nazionale italiana Silvano Prandi e Nerio Zanetti, fa festa anche il
console italiano a Bruxelles Alberto Galluccio, che a fine partita scende in
campo a complimentarsi personalmente con tutti gli atleti italiani.
La Coppa dei
Campioni è di nuovo a Parma. Quella squadra, quella della stagione 1984/85,
formata da grandi uomini ancora prima che grandi pallavolisti, sarà per sempre
ricordata, sì come la squadra vincitrice della seconda Coppa dei Campioni del club
ducale, ma anche e soprattutto come “la squadra che fece
l’impresa”. La prima squadra italiana capace di vincere una Coppa dei Campioni
con presente anche i campioni Sovietici, scrivendo una delle più belle e gloriose
pagine della pallavolo italiana.
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