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giovedì 13 giugno 2019

PARMA, LA SQUADRA CHE FECE L'IMPRESA. LA PRIMA VOLTA DI UN KO SOVIETICO


Riportiamo l’articolo che il nostro blogger Filippo Vagli ha scritto per la rivista on-line di pallavolo Volleyball.it e pubblicato nella rubrica “A spasso nel tempo”


Parma, la squadra che fece l’impresa. La prima volta di un ko sovietico

Alle ore diciassette di un bollente ventisette agosto 1984 alla palestra Melloni di Parma, deliziosa cittadina dell’Emila occidentale già capitale del ducato di Parma e Piacenza tra il 1500 e il 1800, cinque atleti della Santal Parma, Giulio Belletti, Stefano Recine, Tomasz Wojtowicz e i giovani Michele Ghiretti e Filippo Vagli, agli ordini di mister Claudio Piazza e del suo vice Franco Salvini stanno iniziando a sudare nel primo allenamento della nuova stagione agonistica. E lo stano facendo ignari del fatto che quell’annata e quella squadra sarà per sempre ricordata come “la squadra che fece l’impresa”, una delle favole più belle della pallavolo italiana.
Sono solo in cinque perché quel 1984 è stato l’anno delle Olimpiadi di Los Angeles, torneo che ha consegnato alla pallavolo italiana la sua prima medaglia olimpica. Un bronzo piuttosto inatteso ma di grande importanza dal momento che il suo formidabile eco diede visibilità e lustro all’intero movimento pallavolistico nazionale. Gianni Lanfranco, Marco Negri, Paolo Vecchi, Pierpaolo Lucchetta, Giovanni Errichiello, e il neoacquisto Piero Rebaudengo, i sei atleti della Santal che hanno fatto parte della spedizione italiana in terra statunitense, si stanno godendo gli ultimi giorni di vacanza post olimpica, in attesa del quattro settembre, giorno in cui si ricongiungeranno con il resto della truppa.
Cinque più sei fa undici, ma le squadre di pallavolo sono composte da dodici atleti. Ne manca quindi uno, e precisamente il secondo straniero, che la società ducale ha individuato nel fenomenale martello brasiliano Mario Xandò de Oliveira Neto più noto come Xandò. Ma di questo parleremo più avanti.
Quella del 1984 non è un’estate come tutte le altre per il club di Via Silvio Pellico. Kim Ho Chul, il palleggiatore coreano arrivato a Parma tre anni prima con un contratto di sessanta milioni di lire annuo, ingaggio da top player per la pallavolo dei primi anni ’80, ha appena lasciato Parma, richiamato dalla federazione coreana verso un forzato ritorno in patria. E ha lasciato la città ducale dopo aver vinto in tre stagioni la bellezza di due scudetti, due coppe Italia e una Coppa dei campioni, quest’ultima soltanto pochi mesi prima.
Parma, dopo l’arrivo del grande sponsor Santal (orbita Parmalat del Cavalier Callisto Tanzi) è al top del volley nazionale. Nell’estate del 1980 acquista Gianni Lanfranco, il più forte pallavolista italiano di quegli anni, grazie ad una grande operazione di mercato condotta dal Direttore Sportivo Aristo Isola. L’arrivo a Parma di Lanfranco, che nei piani dell’ambiziosa dirigenza locale doveva rendere la squadra competitiva per lo scudetto, non è stato però sufficiente per portare i risultati sperati dal momento che la stagione 80/81 la Santal chiude la stagione con un appena sufficiente quarto posto. Ci vuole qualcos’altro per scalfire l’egemonia piemontese della Robe di Kappa Torino, club del professor Silvano Prandi, che dal 1978 sta dominando il campionato italiano. L’illuminazione arriva durante l’estate del 1981 quando durante un torneo internazionale Aristo Isola e Claudio Piazza, tecnico che da diversi anni siede sulla panchina degli emiliani, si innamorano di un piccolo ma straordinario regista coreano, Kim Ho Chul, che guida la nazionale del suo paese proponendo un gioco fatto di tecnica, velocità e schemi d’attacco innovativi che coinvolgono più giocatori, cosa che in quel momento non aveva uguali al mondo. Piazza, da grande conoscitore di pallavolo, non impiega molto ad informare il suo Direttore Sportivo che è proprio quel piccolo funambolo asiatico ciò che manca alla sua squadra per fare il definitivo salto di qualità. Isola, cha ha grande fiducia nel proprio tecnico, annuisce ma sa benissimo che non sarà un’impresa per nulla facile quella di portare il coreano a Parma. Nel 1981 il mondo è ancora diviso in due, e la Corea al termine del secondo conflitto mondiale è stata divisa dalla due all’altezza del 38° parallelo da statunitensi e sovietici, dando vita a due stati, la Corea del Sud e la Corea del Nord. Da quel momento in poi la penisola coreana non avrà più pace tra guerre e colpi di stato militari, l’ultimo in ordine cronologico quello del 1980 a opera del generale Chun Doo-hwan, leader di un regime totalitario nel quale gli atleti sportivi non sono liberi di poter scegliere il proprio futuro ma vincolati ai voleri dello stato centrale. Ecco che il buon Aristo deve mettere in campo tutta la sua abilità diplomatica, che lo consacrerà poi negli anni successivi come uno dei manager più abili e capaci della pallavolo italiana, per riuscire ad accontentare il proprio allenatore. E navigando attraverso grandi difficoltà e complicate negoziazioni con la federazione coreana alla fine riesce nell’impresa e consegna al proprio tecnico il tassello mancante per costruire quella perfetta macchina da volley che il “baffone” emiliano ha ben impressa nella sua mente.
Una volta arrivato a Parma Kim, si confronta a lungo con Claudio Piazza, spiegandogli i suoi celeberrimi trentatrè schemi d’attacco e portando in dote la sua visione del gioco della pallavolo. Il tecnico ascolta, elabora, e con grande umiltà, sensibilità e intelligenza decide di affidare al registra asiatico le chiavi della squadra, nominandolo vero e proprio “allenatore in campo”, consentendogli di organizzare il gioco secondo gli schemi a lui più famigliari. E con Kim Ho Chul non solo arrivano grandi risultati di squadra, ma anche una crescita esponenziale di giocatori che, anche grazie al gioco del regista coreano, riescono a dare il loro meglio, esaltando le proprie caratteristiche tecniche, e raggiungendo l’apice massimo delle rispettive carriere. Questa grande squadra non solo vincerà tanto, sia in Italia che in Europa, ma lo farà giocando una pallavolo spettacolare, spumeggiante, bellissima quanto efficiente, mai vista e forse nemmeno mai pensata prima, indirizzando la pallavolo italiana e internazionale verso una vera e propria rivoluzione copernicana. Le squadre avversarie infatti, non solo tentano di emulare il gioco tutto schemi e velocità del piccolo coreano, ma per contrastare l’estroso gioco della Santal sono obbligati a studiare nuovi schemi di muro, di difesa, e di correlazione fra questi due fondamentali facendo compiere a l’intero movimento pallavolistico un importante balzo in avanti e un vero e proprio cambiamento di stato a livello qualitativo da ogni punto di vista, fisico, tecnico e tattico. 
Nel corso dell’estate del 1984 Parma non ha perso soltanto il piccolo coreano ma ha operato una mezza rivoluzione nel proprio organico. Ha infatti lasciato libero l’argentino Hugo Conte, che nella stagione precedente non aveva convinto appieno la dirigenza e lo staff tecnico ducale, così come due pedine importanti della Santal degli anni precedenti quali l’universale Alberto “Lillo Angelelli”, e l’opposto Maurizio Ninfa, che avevano vestito la casacca bianco-azzurro-verde negli ultimi campionati. Anche l’assetto societario si è nel frattempo modificato dal momento che alla Direzione sportiva del club al posto di Aristo Isola è arrivato un giovane dirigente sportivo parmigiano, quel Roberto Ghiretti che ricoprirà negli anni successivi importanti incarichi manageriali di prestigio nel mondo sportivo e sarà per tutti gli anni ’90 Direttore Generale della Lega Pallavolo serie “A” maschile.  Ghiretti acquista da Torino Piero Rebaudengo per coprire la casella del palleggiatore lasciata libera dall’addio di Kim Ho Chul, Stefano Recine esperto universale romagnolo proveniente da Modena e il polacco Wojtowicz dall’Edilcuoghi Sassuolo. Il fuoriclasse dell’est, classe 1953, giunge a Parma con le credenziali di campione del mondo (Messico 1974) e olimpico (Montreal 1976). Nato schiacciatore e precursore dei tempi come formidabile attaccante dalla seconda linea, in un’epoca in cui quasi nessun atleta si cimentava con continuità ed efficienza in questo tipo di attacco, a Parma si accomoda al centro della rete costituendo una stratosferica coppia di centrali con Gianni Lanfranco. E pur con qualche acciacco alla schiena e alle ginocchia, figli di centinaia di gare nonché di migliaia di allenamenti svolti con i durissimi metodi polacchi che prevedevano sedute al limite della sopportazione umana, si rivela un centrale di grande sostanza. Fortissimo a muro e in attacco e dotato di una tecnica individuale sopraffina che lo rende efficientissimo in tutti i fondamentali ed in ogni zona del parquet. Parma completa il roster con due giovani emergenti della propria “cantera”, Ghiretti e Vagli, che pochi mesi prima si sono laureati campioni d’Italia nella categoria ragazzi (under 17) guidati in panchina da Gian Paolo Montali che negli anni successivi si rivelerà uno dei più grandi allenatori della storia pallavolistica italiana.
Nell’organico dei ducali c’è ancora un posto libero per uno straniero e la Santal è convinta di riuscire a tesserare il campione brasiliano Xandò. Claudio Piazza si è innamorato della potenza in attacco e in battuta di questo colosso sudamericano a Los Angeles, durante le Olimpiadi, assistendo agli incontri della nazionale brasiliana medaglia d’argento della competizione a cinque cerchi. Xandò è un atleta di potenza e classe superiore alla media, non a caso eletto come miglior schiacciatore della manifestazione olimpica. C’è l’accordo con il giocatore ma la Federazione Brasiliana guidata dall’avvocato Carlos Nuzman nega il trasferimento in Italia del bomber paulista (e degli altri campioni della propria squadra nazionale) al fine di mantenere ai massimi livelli il campionato brasiliano che rischiava di essere “scippato” dei suoi miglior giocatori. La Santal cerca di arrivare ad un accordo con la Federazione brasiliana mettendo in campo tutti i suoi buoni uffici per riuscire a far vestire la divisa dei ducali al Xandò, ma la trattativa fatica a decollare. Vengono quindi vagliate altre candidature di atleti statunitensi, canadesi, olandesi coreani, ma nessuno convince appieno lo staff tecnico parmense. L’idea di mister Piazza è chiara: o Xandò, campione in grado di fare la differenza e di spostare gli equilibri, oppure la squadra farà a meno del secondo straniero.
La trattativa non andrà a buon fine e al termine dell’estenuante tira e molla il giocatore non arriverà mai in Italia, costringendo la Santal ad iniziare la stagione con il solo Wojtowicz ad occupare una delle due caselle riservate agli atleti stranieri lasciandosi però aperta la porta per un ulteriore tesseramento di un atleta proveniente da altra federazione a stagione in corso.
Il campionato 1984/85 per capitan Lanfranco e compagni inizia con qualche su e giù. Dopo il vittorioso esordio alla prima di campionato con il debole Sassuolo, il 3 novembre nella seconda gara di campionato arriva il primo scivolone stagionale con una brutta sconfitta per 3 a 1 in casa dalla terribile matricola S. Croce dei canadesi Hoag e Jones, nonché dei veterani Nassi e Innocenti, autori di una gara superlativa. Arriva poi la sconfitta casalinga per 3 a 1 alla quinta giornata con Torino così sette giorni più tardi un’altra brutta sconfitta per 3 a 2 al Palalido di Milano contro l’Enermix degli scatenati Milocco e Galli.
Piero Rebaudengo è un grande palleggiatore, il titolare della nazionale azzurra medaglia di bronzo a Los Angeles, e il suo valore non si discute. La squadra però fatica a ritrovarsi con i nuovi schemi di gioco e pare in difficoltà a metabolizzare il cambio di organizzazione tecnico tattica che il cambio in cabina di regia ha inevitabilmente portato. Seguono altre due sconfitte, quella interna con Falconara e quella esterna del 15 dicembre in quel di Modena che sembra decretare lo stato di crisi in casa parmense. La pausa natalizia arriva quindi coma manna dal cielo per gli uomini di Piazza che nelle tre settimane di sosta si allenano duramente e riescono a ritrovarsi tornando alla vittoria in campionato il cinque gennaio 1985 nella gara interna con il Lozza Belluno.
A campionato in corso, ha avuto inizio l’altra grande manifestazione a cui la Santal è iscritta, quella Coppa dei Campioni che il club ducale si è aggiudicata l’anno precedente. L’edizione 1983/84 della massima competizione europea era stata leggermente “facilitata” dall’assenza delle squadre dell’ex Unione Sovietica dal momento che nelle stagioni preolimpiche, al fine di preparare al meglio tali manifestazioni, le squadre di club dell’URSS non partecipavano ai tornei continentali. La Santal, grazie sia alla propria forza che all’assenza dei mostri sacri sovietici, era riuscita a conquistare per la prima volta nella sua storia la massima competizione continentale in quel di Basilea dove, nella Final Four giocata dal 17 al 19 febbraio 1984, aveva liquidato il Cannes del fuoriclasse Alain Fabiani (palleggiatore che in seguito vestirà proprio la maglia dei ducali anche se per una sola stagione, 1986/87), i cecoslovacchi del Dukla Liberec e i sempre temibili jugoslavi del Mladost Zagabria.
La ventisettesima edizione della massima competizione europea, quella dell’annata 1984/85, vede invece ai nastri di partenza venti squadre, questa volta senza alcun tipo di defezione, e quindi con la squadra dell’ex URSS presente. I sovietici schierano come propri portacolori (e come squadra da battere) il fortissimo Radiotechnik Riga, fresco campione del titolo nazionale dopo che per quattordici anni consecutivi ad aggiudicarsi il titolo Sovietico era stata quella macchina da guerra chiamata CSKA di Mosca, la squadra dell’esercito, che negli anni del regime era sotto la diretta competenza del ministero della Difesa dell’URSS, e quindi dell’Armata Rossa. L’Italia si presenta al via con due club, la Santal, avente diritto in qualità di campione uscente della manifestazione, e il Cus Torino orfano del marchio Robe di Kappa, campione d’Italia nella stagione precedente. La marcia dei torinesi si arresta però bruscamente agli ottavi di finale a Bucarest quando contro i rumeni della Dinamo subisce un brusco quanto inaspettato 3 a 0 dopo che nel match di andata i piemontesi l’avevano spuntata con un rassicurante 3 a 1. La differenza set purtroppo condanna il club del professor Prandi ad una cocente eliminazione lasciando al club emiliano l’onore e l’onere di portare aventi in solitudine i colori della bandiera italiana nella manifestazione continentale.  
In Europa la Santal gioca una pallavolo di maggior qualità ed efficienza rispetto a quella che mette in mostra in campionato. Negli ottavi di finale regola con un doppio 3 a 1 gli olandesi del Brothers Martinus, buona squadra nella quale spiccano i nomi del piccolo palleggiatore Avital Selinger, e di altri atleti di buon livello quali Browers, Boudrie, e soprattutto Ron Zwerver diciasettenne schiacciatore di grande talento che dal 1992 al 1998 sarà poi uno degli idoli della tifoseria della Sisley Treviso. La doccia gelata arriva pochi giorni dopo il passaggio ai quarti di finale quando nell’urna dei sorteggi la dea bendata abbina alla Santal niente po’ po’ di meno che temibilissimi sovietici del Radiotechnik Riga; tra tutti il peggior abbinamento possibile. La gara d’andata è prevista per il 9 gennaio 1985 a Riga, città situata sul Mar Baltico e capitale della Lettonia. In gennaio il clima a Riga è particolarmente freddo e umido, con temperature che arrivano a toccare anche i meno venti gradi centigradi nelle giornate più fredde. Ma in quel 1985 anche l’Italia non scherza con il freddo dal momento che quel gennaio verrà ricordato negli annali come la stagione della più grande nevicata in Italia del ventesimo secolo. Un’ondata di freddo anomalo aveva fatto il suo ingresso su tutto il territorio nazionale facendo registrare copiose nevicate con accumuli di neve tra i cinquanta e gli ottanta centimetri e temperature polari di oltre venti gradi sotto lo zero in tutta la pianura padana. All’alba del 6 gennaio la squadra parte alla volta di Riga da una Parma che ancora dorme sotto un’abbondantissima coltre di neve, e il viaggio non si rivela dei più agevoli. Una volti giunti a Mosca per il previsto scalo tecnico, i parmensi non trovano l’aereo che avrebbe dovuto portarli a Riga dal momento che le tempeste di neve che stanno flagellando il territorio Sovietico non consentono agli aerei di poter decollare. Dopo diverse ore di attesa all’aeroporto Šeremét'evo di Mosca i ducali decidono di trascorrere la notte in un albergo della capitale moscovita e attendere il giorno successivo per il trasferimento a Riga, confidando in un miglioramento della situazione metereologica. La mattina successiva alle prime luci dell’alba il team riesce finalmente a mettersi in viaggio per la Lettonia dove arriva soltanto ventiquattrore prima della gara.
Santal e Radiotechnik si sfidano la sera del 9 gennaio al “Palazzo del Ghiaccio” sul cui pavimento in occasione di questa partita, è stato posato un provvisorio pavimento di legno per consentire lo svolgimento della gara stessa. Il nome dell’impianto non è casuale dal momento che al suo interno la temperatura è di pochissimi gradi sopra lo zero. I favori dei pronostici sono tutti per i padroni di casa dal momento che nessuna squadra occidentale fino ad allora era riuscita ad uscire vittoriosa da un impianto Sovietico, così come nessun club italiano era mai riuscito a sconfiggere una squadra dell’ex grande impero, nemmeno tra le mura amiche.
In quell’epoca si conosce ben poco delle squadre straniere in generale ma ancor meno di quelle Sovietiche dal momento che la rigida “cortina di ferro”, la linea di confine che divide l’Europa in due zone di cui quella a Est sotto il completo controllo dell’Unione Sovietica, non consente di far giungere in occidente nulla di ciò che accade al di là del muro di Berlino. Le uniche informazioni a disposizione della Santal sono quelle portate in dote dai propri atleti che giocano le manifestazioni internazionali con la nazionale italiana e dal polacco Wojtowicz che contro i sovietici ha giocato svariate partite. Il giocatore più rappresentativo del Radiotechnik è il nazionale Pavel Selivanov, posto quattro di grande tecnica ed elevazione, difficilissimo da contenere a muro, ma ci sono anche Boris Kolchin altro schiacciatore di grande qualità, specialista dei fondamentali di seconda linea che sarà poi a Prato per due stagioni alla fine degli anni ’80 e Raimonds Vilde schiacciatore – centrale di oltre due metri, dalla grande abilità in attacco e muro, anch’esso in Italia, a Falconara, nella stagione 1998/99.
Durante il trasferimento dall’albergo al palazzo dello sport sul pullman che trasporta la squadra c’è un silenzio irreale, tale è la concentrazione alla gara da parte degli uomini di Claudio Piazza. Ma tra tutti ce ne è uno in particolare, Tomasz “Tomek” Wojtowicz, che ancor più dei suoi compagni sente particolarmente questa sfida contro i mai amati (per usare un eufemismo) sovietici. Tomek è un uomo dal carattere introverso, di poche parole, che ama parlare più con le sue schiacciate e con i suoi muri piuttosto che con le parole, ma quella serata per lui è speciale, e negli spogliatori prima della partita prende la parola promettendo ai compagni che ci avrebbe pensato lui a domare gli ostici avversari. E al termine della gara sarà proprio il campione polacco ad essere nominato Mvp della partita, grazie ad una prestazione maiuscola in tutti i fondamentali, sia di prima che di seconda linea. Attacca da ogni zona del campo con un’efficienza spaventosa, tocca tutti i palloni a muro, riceve come un orologio svizzero e anche in difesa, non certo il suo fondamentale prediletto, riesce a salvare palloni incredibili. Insieme a lui, Pier Paolo Lucchetta, il giovane opposto a cui Claudio Piazza ha dato fiducia schierandolo nel ruolo di attaccante a tutto campo, gioca la partita della vita, facendo il belo e il cattivo tempo contro il muro e la difesa dei Sovietici e con una prestazione “monstre” anche dalla linea dei nove metri imperversando con battute in salto potentissime e di grande efficacia. Tutta la squadra, nessuno escluso, gioca la classica partita perfetta, consentendo alla Santal di uscire dal campo vittoriosa per 3 a 1, conquistando i propri parziali a otto, a otto e a sei, a testimonianza del dominio con cui gli atleti ducali governano la scena nella gelida serata lettone.
L’impresa dei “Santalini” entra nella storia della pallavolo non solo italiana ma internazionale dal momento che fino a quel giorno nessuna squadra al mondo è riuscita a sconfiggere una squadra Sovietica sul suo territorio. Piazza e i suoi undici atleti fanno orgogliosamente ritorno a Parma dove vengono accolti dai propri tifosi come dei veri e propri eroi. Ma non c’è tempo per festeggiare dal momento che nella settimana successiva è programmata la gara di ritorno, match che si preannuncia come una vera e propria battaglia contro i feriti e mai domi sovietici. La vittoria in Lettonia ha però letteralmente galvanizzato la Santal che sette giorni dopo in un PalaRaschi gremito in ogni ordine di posto, bissa il successo della gara d’andata con una strepitosa vittoria al tiebreak che gli consente di agguantare con pieno merito uno dei quattro posti disponibili per giocarsi la Final Four prevista al Palasport Charles Van der Putten di Bruxelles dal 15 al 17 febbraio 1985.
C’è un mese di tempo per preparare la manifestazione. La squadra, anche grazie alla vera e propria boccata d’ossigeno e di autostima derivante dalla grande vittoria contro i sovietici, si allena con grande entusiasmo e fiducia. Per alzare il livello di allenamento viene aggregato alla squadra un atleta statunitense, Randy Stoklos. Teoricamente la Santal potrebbe tesserarlo dal momento che il posto del secondo straniero è rimasto ancora vuoto e le norme internazionali prevedono tale possibilità. Stoklos è un ventiquattrenne professionista di beach volley, fenomenale in spiaggia, ma un po’ meno efficiente nella pallavolo indoor. Claudio Piazza rimane fedele alla sua linea che prevede il possibile inserimento in squadra soltanto di un atleta in grado di fare la differenza, un giocatore capace di spostare gli equilibri, e Randy non è tra questi. Il suo tesseramento rischierebbe solo di destabilizzare il gruppo, elemento fondamentale nel credo pallavolistico del tecnico emiliano, e pertanto la decisione è presa: Piazza andrà a Bruxelles a giocarsi la finale con i suoi fedelissimi atleti. Allo yankee andrà meglio con la pallavolo sulla sabbia dal momento che al termine della sua luminosa carriera da “spiaggarolo” verrà ricordato come il terzo “beacher” di tutti i tempi per numero di vittorie.
La squadra parte per Bruxelles con grande fiducia accompagnata dal calore del tifo di quattrocento meravigliosi tifosi parmigiani. Le tre squadre che fanno compagnia alla Santal in terra belga provengono tutte dall’Est d’Europa, e sono la Stella Rossa Praga, il CSKA Sofia e il Mladost Zagabria. La gara d’esordio per i ducali è prevista contro il pericoloso Mladost Zagabria, del tremendo bombardiere Nurko Causevic, universale di duecentoun centimetri che sarà poi grande protagonista nel nostro campionato a Ravenna, Falconara e Ferrara. Gli slavi partono forte e si aggiudicano il primo set ma dopo la prima frazione di gioco la Santal riesce a scrollarsi dal groppone l’ansia dell’esordio e mettendo in mostra una caratura tecnica nettamente superiore, con tre parziali piuttosto netti, 15-10, 15-6, 15-8, riesce a portare a casa la vittoria.
La seconda giornata prevede come avversario dei parmensi la Stella Rossa Praga, l’avversario teoricamente più debole tra le altre tre compagini finaliste. E tutto va come da pronostico dal momento che al di la di un terzo set perso 16 a 18 in cui gli atleti di Claudio Piazza si concedono qualche distrazione di troppo, la partita si chiude con un netto 3 a 1 per la Santal. Ma è dall’altra partita che arriva il regalo più inatteso per i ducali: il CSKA di Sofia, la squadra guidata in panchina da Dimiter Zlatanov che la Santal teme più di ogni altra, subisce una tremenda battuta d’arresto perdendo 3 a 1 contro gli slavi del Mladost. Questo risultato, consentirebbe agli uomini di Piazza di conquistare la Coppa anche con un’eventuale sconfitta nella terza gara, partita nella quale sarebbe necessario vincere anche solo due soli set per laurearsi campioni d’Europa.
Una volta rientrati in albergo i “senatori” della squadra riuniscono il gruppo, e insieme si promettono che il giorno seguente la squadra scenderà in campo senza fare nessun calcolo e con una sola idea in testa, quella di battere i bulgari. D’altro canto, per campioni di tale caratura che non ci stanno a perdere nemmeno quando giocano a calciobalilla con gli amici, non è nemmeno ipotizzabile pensare di giocare una finale europea senza darsi la vittoria come unico obiettivo.
Domenica 17 febbraio è il grande giorno. Da una parte della rete la classe e l’esperienza dei campioni uscenti della Santal Parma e dall’altra la forza fisica di campioni affermati quali Kiossev, Guntchev, Petkov, Sokolov e di un di un giovanissimo Ljubomir Ganev, impressionante opposto di duecentodieci centimetri e centoventi chili di massa muscolare che dalla stagione 90/91 calcherà i nostri palasport dando spettacolo per quasi dieci anni con le sue formidabili schiacciate e i suoi urli a tutto petto ad accompagnare ogni suo punto.
Nell’entourage Santal c’è grande fiducia ed entusiasmo per l’esito finale del match. La squadra ha acquisito grande fiducia nei propri mezzi e piena consapevolezza del proprio potenziale. Il sestetto dei parmensi è un misto di classe, energia ed esperienza internazionale. Piero Rebaudengo è il palleggiatore titolare e la squadra pare aver finalmente assorbito il diverso stile di gioco tra l’alzatore piemontese e l’ex Kim Ho Chul. Il ventiduenne Pier Paolo Lucchetta è l’opposto di centonovantanove centimetri di grande potenza a cui Claudio Piazza ha destinato il ruolo bombardiere da prima, da seconda linea e dai nove metri. E’ il giocatore più giovane in campo in maglia Santal, un atleta in grande evoluzione e crescita sia tecnica che di personalità, che nel ruolo cucitogli addosso dal coach parmense sta trovando la sua vera dimensione apportando alla squadra energia e voglia di vincere oltre che notevoli quantità di punti. Gianni Errichiello e il mancino Marco Negri, vero e proprio professore del “mani e fuori”, sono due vere e proprie garanzie in posto quattro, così come Gianni Lanfranco e Tomasz Wojtowicz,  i due straordinari centrali di attacco e muro che completano il sestetto dei ducali. In panchina, oltre al secondo palleggiatore, l’affidabilissimo Giulio Belletti, Stefano Recine, Paolo Vecchi e Filippo Vagli sono pronti ad entrare in qualsiasi momento a dar man forte in caso di bisogno.
La posta in palio è altissima e forse anche per questo entrambe le squadre iniziano la gara piuttosto contratte. La Santal si porta prima in vantaggio per 10 a 9 e arriva ad avere un set-ball sul 14 a 13, ma complice un grossolano errore arbitrale che fischia un inesistente tocco a muro italiano su un attacco bulgaro finito fuori, la squadra si innervosisce e oltre a vanificare ben otto palle set, finisce per perdere il primo set per 18 a 16. Ma la Santal c’è, è viva, gli occhi sono quelli giusti, e desidera a tutti i costi riportare la grande Coppa a Parma. Nel cambio di campo capitan Lanfranco, che vuole la sua terza Coppa Campioni (oltre a quella dell’anno precedente se ne era aggiudicata una nel 1980 ad Ankara con la Klippan Torino) suona la carica ai suoi compagni di squadra. La squadra si libera dalla grande tensione di inizio gara e incomincia a macinare gioco e punti. Piero Rebaudengo orchestra da par suo il gioco d’attacco della squadra, dove un trascinante Gianni Errichiello e un immenso Marco Negri, che come si suol dire “lima” letteralmente le unghie alle mani degli altissimi muratori bulgari, prendono per mano i compagni e regalano punti fondamentali al proprio sestetto. Entra in partita anche il polacco Wojtowicz, fino ad allora un po’ in ombra, e insieme ad un generosissimo Gianni Lanfranco regala una serie di monumentali muri mettendo la museruola all’attacco bulgaro. Il secondo set si chiude con un netto 15 a 3 per i parmensi che rimette in pari la gara. Ora gli uomini di Piazza giocano a briglia sciolta e nel terzo set si portano immediatamente in vantaggio per 3 a 0. Rebaudengo prosegue senza sbavature la sua magistrale partita in cabina di regia, Errichiello continua implacabile il suo bombardamento da posto quattro mettendo a terra ogni tipo di alzata gli arrivi, Stefano Recine e Paolo Vecchi concedono un po’ di respiro a Marco Negri e a Pier Paolo Lucchetta e la squadra sul 14 a 9 ha a disposizione il primo pallone per chiudere set e Coppa. Punto che arriva immediatamente grazie al “regalo” dell’esperto Petkov che con un errore diretto condanna i propri compagni alla sconfitta.
La Santal ce l’ha fatta e sul parquet del Palasport belga la festa dei parmensi si scatena. Il resto ha ben poca storia. I bulgari, anche complice un più che comprensibile calo di adrenalina di Lanfranco e compagni si portano sul due pari ma i parmensi, che vogliono chiudere vittoriosi la gara, si riprendono e si aggiudicano con un netto 15 a 5 anche il quinto set in cui Claudio Piazza mette in campo anche il vice Rebaudengo, Giulio Belletti e il giovanissimo Vagli.
L’impresa è compiuta e in tribuna oltre ai quattrocento tifosi giunti da Parma e ai tecnici della nazionale italiana Silvano Prandi e Nerio Zanetti, fa festa anche il console italiano a Bruxelles Alberto Galluccio, che a fine partita scende in campo a complimentarsi personalmente con tutti gli atleti italiani.
La Coppa dei Campioni è di nuovo a Parma. Quella squadra, quella della stagione 1984/85, formata da grandi uomini ancora prima che grandi pallavolisti, sarà per sempre ricordata, sì come la squadra vincitrice della seconda Coppa dei Campioni del club ducale, ma anche e soprattutto come “la squadra che fece l’impresa”. La prima squadra italiana capace di vincere una Coppa dei Campioni con presente anche i campioni Sovietici, scrivendo una delle più belle e gloriose pagine della pallavolo italiana.



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