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venerdì 8 maggio 2020

I DODICI PALLEGGIATORI CHE HANNO SCRITTO LA STORIA DELLA PALLAVOLO MODERNA. Di Filippo Vagli




Chi è stato il più grande palleggiatore che la pallavolo ha espresso negli ultimi quarant’anni? E’ impossibile poterne individuare uno. Il titolo del più grande in assoluto non esiste. Analizzando lo sviluppo degli ultimi quarant’anni di pallavolo si può facilmente osservare una notevole evoluzione del gioco così come dei sistemi di allenamento. Sono state inoltre individuate nuove e sempre più dettagliate tecnologie riguardo lo studio degli avversari, così come sono completamente mutate le condizioni ambientali in cui vengono disputate le gare di oggi rispetto a quelle di qualche decennio fa. Una serie di considerazioni che ci restituiscono dati disomogenei fra di loro, che non consentono una valutazione oggettiva utile per poter individuare il migliore in assoluto. Possiamo però affermare che, una serie di palleggiatori, per tecnica, classe, stile di gioco, carisma, capacità di leadership e palmares, si sono nettamente distinti rispetto a tutti gli altri. Tra questi, immaginando un’ideale tavola rotonda del grande volley ne abbiamo individuati dodici, andando quindi alla ricerca degli alzatori che potrebbero avere titolo per sedersi attorno a tale tavolo esattamente come facevano i dodici cavalieri (condottieri di corte di rango elevato) e Re Artù quando riuniti attorno alla tavola rotonda del castello di Camelot, discutevano i temi chiave per il miglior funzionamento del regno.
Considerando che gli atleti tutt’ora in attività stanno ancora scrivendo importanti pagine di storia della pallavolo e pertanto solo al termine delle loro carriere si potrà arrivare a fornire una loro valutazione complessiva, nell’individuazione dei “dodici eletti” sono stati presi in considerazione soltanto i palleggiatori che, oltre ad aver giocato negli ultimi quarant’anni, hanno appeso le scarpette al chiodo. E visto che, come già detto, il migliore in assoluto non esiste, presentiamo i “magnifici dodici” in stretto ordine cronologico di apparizione sui parquet dei palasport di tutto il mondo.

KATSUTOSHI NEKODA
Nato ad Hiroshima il giorno 1 febbraio 1944 è stato il palleggiatore della squadra nazionale giapponese che tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 ha rivoluzionato lo sport della pallavolo. In quegli anni la pallavolo si gioca prevalentemente con alzate di palla alta in posto due e quattro e si basa sulla capacità degli schiacciatori, saltatori impressionanti e potentissimi nel colpo d’attacco, di passare sopra il muro avversario. E’ con questo tipo di gioco che la scuola dell’Unione Sovietica e dell’Est Europa in generale (Cecoslovacchia, Polonia, Bulgaria e Germanie Est)  domina la scena della pallavolo mondiale. Nekoda grazie alla sua abilità tecnica e alla sua fantasia, organizza attraverso le sue mani magiche un gioco fatto di movimento e di velocità di esecuzione delle azioni d’attacco in ogni zona della prima linea. Veloci anticipate al centro, secondi tempi davanti e dietro al centrale e palle rapide alle bande. Grazie a questo sistema di gioco pionieristico il Giappone conquista la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Monaco del 1972 dopo aver conquistato la medaglia di bronzo e d’argento nelle precedenti edizioni dei giochi olimpici del 1964 e del 1968 e quattro edizioni dei giochi asiatici, dal 1966 al 1978. Nekoda, dopo aver ricevuto il premio per il miglior palleggiatore in due edizioni della Coppa del Mondo (Germania Est 1969 e Giappone 1977) si spegne a causa di un male incurabile nel 1983, tre anni soltanto dopo essersi ritirato dalle competizioni agonistiche

VIACESLAV ZAYTSEV
Nato a Leningrado 12 novembre 1952, si fa conoscere dal pubblico italiano nel 1978 in occasione dei mondiali di pallavolo a Roma. Grandissimo palleggiatore di una della delle squadre più forti della storia del volley, caratterizzata da tecnica, forza fisica e un gioco che rasenta la perfezione. Zaytsev di quella squadra è il regista, il giocatore che in campo orchestra il gioco e smista palloni per quei grandissimi attaccanti che rispondono al nome di Loor, Tchernichov, Moliboga, Selivanov e soprattutto Alexander Savin. La precisione delle sue alzate, eseguite con i piedi a terra anziché in salto, è la caratteristica che più di ogni altra lo ha reso famoso, con traiettorie sempre uguali l’una con le altre. Tatticamente ineccepibile, sempre freddo e lucidissimo, assorbe dalla scuola sovietica il concetto di organizzare il gioco delle proprie squadre andando alla ricerca della massima concretezza ed efficienza più che dello spettacolo fine a sé stesso. Dopo aver giocato per tredici campionati nell’Automobilist Leningrado con cui conquista due Coppe delle Coppe, nel 1982 e nel 1983, fu il primo pallavolista sovietico a trasferirsi all’estero per giovare come professionista. Arriva in Italia nella stagione 1987/88, nella fase terminale della carriera, dove giocha per cinque stagioni vestendo le maglie di Spoleto, Agrigento e Città di Castello. Chiude la sua straordinaria carriera nella stagione 1992-1993 in Svizzera, nella Pallavolo Lugano, vestendo i panni di giocatore-allenatore. Con la maglia della nazionale dell’Unione Sovietica Zaytsev ha conquistato una medaglia d’oro olimpica e due d’argento, due Coppe del Mondo, due Campionati Mondiali e sette Campionati Europei. Nell’anno 2013 viene inserito nella Hall of Fame del volley mondiale come meritato riconoscimento alla carriera di questa icona della pallavolo mondiale.

KIM HO CHUL
Coreano nato a Seul nel 1955, durante il Mondiale del 1978 impressiona il pubblico romano mettendo in mostra una naturalezza fuori dal comune nel tocco di palla nonché una rapidità felina nel muoversi per il campo per eseguire i palleggi d’alzata. L’idea di pallavolo di Kim, molto influenzata dalla pallavolo giapponese di Nekoda, si basa sul concetto che il gioco d’attacco di una squadra nasce e si sviluppa intorno all’attacco di primo tempo. Per il funambolo coreano è da lì che si parte per costruire tutti i possibili schemi in grado di mettere il più possibile i propri schiacciatori di fronte a muri composti da solo un uomo. Il coreano propone quindi un gioco estroso e velocissimo, estremamente spettacolare da vedere, con una rapidità di uscita della palla dalle mani che lascia a bocca aperta. Quando la palla entra nelle sue mani ne esce dopo qualche nanosecondo con una tale velocità che l’occhio umano quasi non riesce a percepire. Parma nella stagione 81/82 riesce a portarlo in Italia offrendogli l’opportunità di sciorinare nei nostri palasport le sue mirabolanti alzate, espresse attraverso i suoi celeberrimi trentatré schemi d’attacco. Un modo di concepire il ruolo di palleggiatore che, oltre a renderlo famoso, regala alla pallavolo italiana e mondiale un gioco innovativo, spettacolare, e nello stesso tempo di grandissima efficienza. Con la Santal Parma, della cui tifoseria diventa l’idolo incontrastato, disputea tre stagioni conquistando due scudetti, due Coppe Italia e una Coppa dei Campioni prima di fare ritorno in Corea. Torna in Italia nella stagione 87/88 richiamato dalla Sisley Treviso dove disputa tre campionati prima di trasferirsi a Schio dove dopo cinque stagioni chiude la sua gloriosa carriera da atleta.

WILLIAM DA SILVA
William Carvalho da Silva, più conosciuto come Da Silva, nasce a San Paolo il 16 novembre 1954. Palleggiatore “fantasista”, caratterizzato da due folti baffi neri, è un atleta rapidissimo di piedi e dotato di grande temperamento. L’imprevedibilità delle sue alzate dipende dalla grande capacità dell’utilizzo dei centrali con diversi tipi di primo tempo e di smarcare gli attaccanti di secondo tempo, attraverso traiettorie rapidissime. Essendo altro solo 183 centimetri, Wiliam utilizza molto l’azione delle braccia nel palleggio impattando la palla piuttosto avanti al fine di poterla spingere velocemente e per far questo gioca una pallavolo spettacolare fatta di finte e controfinte volte ad ingannare il muro avversario e smarcare il più possibile i propri attaccanti. Famose per spettacolarità le sue alzate tese per l’universale Bernard Rajzman e per il gioco spintissimo in posto due a favore di Josè Montanaro l’opposto che sia in nazionale che nel Pirelli San Paolo viene schierato in diagonale con lui. A ventidue anni è già titolare della nazionale brasiliana con la quale nel 1976 gioca la sua prima Olimpiade a Montreal a cui ne seguiranno altre tre, Mosca 80, Los Angeles 84 (medaglia d’argento) e Seul 88. Con il proprio club, il Pirelli San Paolo, gioca per dieci stagioni consecutive dal 1980/81 al 1990/91, conquistando due Campionati sudamericani per club, due Campionati brasiliani e sei Coppe del Brasile. Nella stagione 1979/80 sbarca in Italia, per una breve parentesi di un solo anno, nella grande Paoletti Catania di Greco, Nassi, Concetti e Scilipoti guidata da Bruno Feltri in panchina, squadra che al termine di una grande stagione si classifica al secondo posto, staccata di sei punti dalla Klippan Torino campione d’Italia.

DUSTY DVORAK
Dusty Dvorak, detto anche il “ragioniere” per le sue capacità organizzative, strategiche e per precisione millimetrica delle sue alzate, nasce a San Diego, in California, il 29 luglio 1958. Come tutti i pallavolisti provenienti dalla California è il beach volley la disciplina con cui inizia ad approcciare il volley. A sedici anni inizia con l’indoor e l’anno successivo fa già parte della nazionale juniores a stelle e strisce guidata da quel Doug Beal che lo porterà poi con sé in nazionale maggiore. Dvorak dispone di un palleggio non brillantissimo dal punto di vista squisitamente tecnico e stilistico. Gomiti molto aperti, palla piuttosto trattenuta tra le mani e impattata più vicino al petto che sopra la testa, sopperisce a tutto ciò con una precisione millimetrica delle traiettorie d’alzata e con una straordinaria capacità tattica e strategica. Capace di sfruttare al massimo i punti di forza della propria squadra e i punti deboli dell’avversario attraverso una formidabile capacità di lettura del muro, eccelle nella pianificazione strategica della partita e quindi nell’utilizzo della tattica migliore da utilizzare nel corso della gara attraverso piani pianificati a tavolino con i propri tecnici. Con la nazionale a stelle e strisce conquista un oro olimpico, un campionato Panamericano, un Campionato del Mondo e una Coppa del Mondo. Nel 1984 sbarca in Italia e precisamente a Chieti dopo rimane per una sola stagione (84/85) così come a Fontanafredda (86/87). Il meglio di sé nel nostro campionato lo fa vedere a Parma, nella prima Maxicono di Gian Paolo Montali con cui conquista due Coppe delle Coppe, una Supercoppa Europea, e un Mondiale per Club. 

JEFF STORK
Nel 1989 Gian Paolo Montali, reduce da due secondi posti in campionato con la Maxicono Parma, vuole portare la sua squadra ad esprimere il gioco più veloce possibile per arrivare alla conquista del tanto agognato scudetto. Il palleggiatore che individua per raggiungere il suo obiettivo è Jeff Stork, nuovo palleggiatore della nazionale statunitense. Esattamente come accaduto nella propria nazionale Jeff anche a Parma riceve il testimone da Dusty Dvorak in cabina di regia del club biancoazzurro. Nato a Longview, nello stato di Washington l’otto luglio 1960, Stork è un palleggiatore mancino di 190 centimetri estremamente dotato sia nel fondamentale del palleggio che in quello dell’attacco. Alla velocità supersonica di uscita della palla dalle mani, imprevedibilità delle sue giocate grazie alla capacità di usare sia i centrali che di smarcare i secondi tempi attraverso traiettorie velocissime, abbina una straordinaria capacità di attacco di secondo tocco che lo rendono un vero e proprio schiacciatore aggiunto per la propria squadra. Queste caratteristiche fanno di lui uno degli alzatori più vincenti della storia della pallavolo mondiale. E’ Marv Dunphy, suo allenatore ai tempi in cui Jeff gioca nella Pepperdine University, che gli regala la maglia di palleggiatore titolare bella nazionale con cui conquista un campionato del mondo (1986) e una medaglia d’oro olimpica. Con la Maxicono Parma in due stagioni conquista uno scudetto, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, e un Mondiale per Club. Nella stagione 1991/92 Doug Beal lo vuole a Milano, dove disputa quattro campionati conquistando un Mondiale per Club, una Coppa delle Coppe e il titolo di MVP della nostra serie A nell’anno 1993.

FABIO VULLO
Toscano di Massa nato il 1 settembre 1964, inizia la sua grande carriera nella pallavolo di alto livello a Torino,  nella Kappa di Silvano Prandi conquistando il suo primo scudetto nella stagione 83/84. In quella stagione divide la cabina di regia con Piero Rebaudengo dal momento che in quell’epoca si gioca con il modulo 4-2, quello con il doppio palleggiatore. Con la cessione di Rebaudengo a Parma, Vullo diventa palleggiatore unico e nel 1986 viene acquistato dalla Panini Modena che gli consegna le chiavi della regia, appartenenti fino alla stagione precedente ad un’altra icona del volley italiano, Pupo Dall’Olio. Da molti considerato il miglior palleggiatore italiano di tutti i tempi, Fabio Vullo è un alzatore moderno di 198 centimetri di talento e naturalezza nel tocco di palla che, pur avendo lunghe leve, riesce ad avere grande mobilità e facilità di spostamento per eseguire i palleggi. Grande controllo emotivo della partita e ottima lucidità nei momenti decisivi della gara, sono alcune le caratteristiche che gli consentono di poter eseguire le migliori opzioni dal punto di vista tattico e strategico. Attraverso innate doti di leadership, riesce a trasmettere e far accettare alla squadra le proprie scelte e il proprio modo di giocare, infondendo grande fiducia ai propri attaccanti. Grandioso nei club in cui ha palleggiato, Torino, Modena, Ravenna, Treviso e Macerata, con un’impressionante serie di trofei conquistati: otto Scudetti, sette Coppe dei Campioni, sei Coppe Italia, due Coppe delle Coppe, un Campionato del Mondo per Club, tre Supercoppe Europee e una Supercoppa italiana. Molto più controverso il rapporto con la maglia della nazionale. Julio Velasco però gli preferisce Paolino Tofoli e Fefè De Giorgi come registi della “nazionale dei fenomeni”, e questo gli renderà decisamente più magro il palmares in azzurro con appena una vittoria in World League e una medaglia di bronzo olimpica a Los Angeles 1984. Molto, troppo poco, per un atleta del suo valore.

PAOLO TOFOLI
Nato nel 1966 a Fermo, nelle Marche, terra di grande tradizione pallavolistica, è il regista a cui Julio Velasco una volta nominato C.T. azzurro affida la regia della nazionale italiana. Scelta che più azzeccata non poteva essere dal momento che alle 226 presenze azzurre di Tofoli sono legati i più grandi successi internazionali della nazionale targata Velasco. Palleggiatore molto tecnico, preciso, veloce sia di piedi che di uscita della palla dalle mani, ha nella costanza di rendimento e nella gestione tattica delle partite i punti di forza che lo rendono atleta di estrema affidabilità. Bravo nel gioco in primo tempo anche con palloni ricevute fuori rete, è altrettanto abile nello smarcare i suoi attaccanti di secondo tempo quando ha a disposizione ricezioni perfette e il muro avversario si aspetta un primo tempo. Ottimo anche nei palleggi di contrattacco, situazioni in cui riesce ad alzare ai propri schiacciatori di posto quattro alzate di palla alta molto precise, mettendoli nelle migliori condizioni per poter attaccare contro muri alti e chiusi. Un leader silenzioso, correttissimo in campo e fuori, senza mai un atteggiamento fuori posto e con l’innata capacità di tramutare in giocate perfette la tattica di gioco studiata a tavolino dai suoi allenatori. Quattro i suoi principali club: Padova, Trento, Roma, con un anno solo in Umbria nel RPA Caffè Maxim Perugia, con i quali mette in bacheca complessivamente tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, due Coppe CEV, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea. In azzurro conquista invece due titoli mondiali, una medaglia d’argento olimpica, una Coppa del Mondo e quattro edizioni della World League.

PETER BLANGE’
Dall’altro dei suoi 205 centimetri è l’alzatore più alto della pallavolo mondiale. Nato a Voorburg, in Olanda il 9 dicembre 1964 cresce nel suo paese tra Starlift e Brother Martinus per approdare nel nostro campionato nella stagione 1990/91 nelle Terme Acireale Catania. A oltre mille chilometri di distanza da Catania c’è una squadra, la Maxicono Parma, che nell’estate del 1991 ha la necessità di rimpiazzare il palleggiatore titolare, Jeff Stork, allettato dal progetto e dai dollari della Mediolanum Milano di Silvio Berlusconi. In panchina a Parma siede un tecnico brasiliano, Paulo Roberto de Freitas più noto come Bebeto, che di pallavolo ne capisce come pochi. Il tecnico carioca dispone di un gruppo di atleti con un potenziale offensivo impressionante formato da Giani, Gravina, Bracci, Carlao e Renan Dal Zotto e per valorizzare al massimo questo straordinario patrimonio d’attacco ha bisogno è un palleggiatore che ne sappia esaltare al massimo le caratteristiche. Bebeto per la sua Maxicono ha in mente un gioco “brasiliano”, basato su schemi d’attacco che prevedono alzate molto spinte, con giocate a grande velocità. Intuisce che nessuno meglio che quello spilungone olandese che sta giocando a Catania può garantirglielo dal momento che Blangè, grazie alla possibilità di palleggiare ad altezze siderali riesce ad eseguire palleggi in salto senza flettere le braccia e con l’azione dei soli polsi, rendendo le sue difficilmente leggibili fino all’ultimo istante al muro avversario. Aggiungendo a ciò una grande velocità di uscita della palla dalle mani, questo grandissimo palleggiatore riesce a provocare al gioco un' incredibile accelerazione riducendo enormemente il tempo intercorso tra alzata e schiacciata creando così grossi grattacapi ai muri e alle difese avversarie. E infatti l’organizzazione di gioco di Peter Blangè sarà alla base dei successi della Maxicono 91/92 (Scudetto, Coppa Italia e Coppa CEV), squadra che verrà ricordata come una delle più spettacolari di tutti i tempi. A Parma il palleggiatore olandese rimane altre quattro stagioni conquistando complessivamente due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa CEV. Nella stagione 97/98 si trasferisce a Treviso, dove rimane per due stagioni, conquistando altri due scudetti, una Coppa Campioni, una Supercoppa Italiana e un’altra coppa CEV. Straordinario il suo palmares anche con la maglia degli “Orange” con la quale conquista una World League, una medagli d’argento alle Olimpiadi di Barcellona 1992 ma soprattutto l’oro olimpico ad Atlanta 1996, che rappresenterà la ciliegina sulla torta della sua straordinaria carriera.

LLOY BALL
Nel solco della tradizione dei grandi pallavolisti statunitensi Lloy James Ball, nato a Fort Wayne il 17 febbraio 1972, si inscrive a pieno titolo nel novero dei palleggiatori che hanno fatto la storia del volley moderno. Ball viene “scippato” al basket, sport per cui era stato selezionato del mitico Bobby Knight ai tempi dell’università e raccoglie il testimone in cabina di regia della propria nazionale dal grande Jeff Stork. 203 centimetri di altezza, palla precisa e velocissima, Lloy è un alzatore “moderno”. Oltre che nel fondamentale del palleggio, caratterizzato da velocità, imprevedibilità e precisione, con traiettorie sempre uguali rispetto a quelle stabilite con i sui attaccanti, eccelle in battuta, a muro e in difesa. A queste doti Lloy unisce una personalità molto forte e una notevole abilità tattica che lo rendono leader carismatico dei sestetti da lui guidati. Unico pallavolista statunitense ad aver partecipato a ben quattro Olimpiadi, dopo aver preso parte ai giochi olimpici nelle edizioni del 1996, 2000 e 2004, Ball ha messo il sigillo alla sua straordinaria carriera con la maglia a stelle e strisce vincendo la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Con i club gioca quattro straordinarie stagioni nella nostra serie A1 a Modena, vincendo uno scudetto e una Coppa Italia, due stagioni a Salonicco, in Grecia, dove conquista 1 scudetto e due Coppe di Grecia per concludere la sua grande carriera a Kazan, in Russia, dove vince uno scudetto e un titolo di miglior palleggiatore nella Champions League 2011.

NIKOLA GRBIC
Nasce a Zrenjanin, regione serba dell’ex Jugoslavia, il 6 settembre 1973. Inizia i primi palleggi nella pallavolo di altro livello nel Vojvodina di Novi Sad e il suo nome inizia fin da subito a circolare nell’ambiente come quello di un grande talento, una sorta di predestinato. Le principali squadre italiane gli mettono immediatamente gli occhi addosso e nella stagione 94/95 la Gabeca Galatron Montichiari riesce a strapparlo alla concorrenza dei club rivali. Nikola è un palleggiatore alto, poco leggibile dal muro avversario grazie alla capacità di impattare la palla in posizione neutra rispetto al corpo e ad un palleggio fatto quasi ed esclusivamente di azioni di polso anziché di braccia, nonché forte in battuta e a muro. Pur essendo dotato di una grande personalità a soli ventun’anni, complice anche qualche problema di natura fisica non convince fino in fondo il club monteclarense e non ottiene la conferma in cabina di regia per l’anno successivo. A Catania però allena un suo connazionale, Ljubomir Travica, che conoscendolo fin dall’epoca della juniores crede profondamente nelle doti di questo ragazzone di 195 centimetri e gli affida le redini della propria squadra. Nikola lo ripaga disputano in Sicilia una grande stagione che culmina con la promozione in serie A1, mettendo in mostra prestazioni che gli valgono il ritorno a Montichiari. Da li in avanti parte una lunga carriera che si sviluppa tra Cuneo, Treviso, Piacenza, Trento, nuovamente Cuneo e Zenit Kazan (Russia) con uno straordinario palmares costituito da due Supercoppe Europee, una Coppa delle Coppe, tre Coppe Italia, due Coppe Campioni, due scudetti Italiani, una Supercoppa Italiana, una Coppa CEV e uno scudetto russo. Anche con la propria nazionale Nikola ottiene grandi risultati tra cui spiccano la medaglia d’oro olimpica a Sidney 2000 e la vittoria di un Campionato Europeo in Repubblica Ceca nell’anno 2001 a fare da ciliegine sula torta della sua splendida carriera.

GARCIA RICARDO “RICARDINHO”
Ricardo Bermudez Garcia, più noto con lo pseudonimo di Ricardinho nasce in Brasile, a San Paolo, il 19 novembre 1975. Inizia a giocare a pallavolo nel settore giovanile del Banespa, gloriosa società brasiliana, ma fa il proprio esordio nella pallavolo professionistica nel 1995 nelle fila del Cocamar Maringá. Seguono poi sette stagioni in cui Ricardinho cambia squadra ogni anno fino ad arrivare alla stagione 2004/2005 nella quale approda al nostro campionato e precisamente alla Daytona Modena, con cui gioca quattro campionati conquistando una Challenge Cup nella stagione 2007-08. L’anno successivo si trasferisce alla Sisley Treviso dove rimane per sue stagioni, chiudendo la sua parentesi italiana nella stagione 2014/2015 nella Cucine Lube Banca Marche Treia. Palleggiatore dotato di una velocità di palla impressionante, riesce ad imprimere al gioco un ritmo vorticoso basato su schemi d’attacco in cui entrano sempre quattro attaccanti, caratteristica che lo rende pressoché immarcabile per i muri avversari. Il suo gioco super veloce per essere efficiente ha però bisogno di un particolare “timing” fatto di sincronismi perfetti, paragonabili a quelli di un orologio svizzero, e fatica ad essere metabolizzato dagli schiacciatori delle nostre squadre di club. La dimostrazione a tutto ciò è data dal fatto che nei suoi sette anni trascorsi a palleggiare nelle squadre di vertice della nostra serie A1 riesce a conquistare solo una Challenge Cup. Completamente diverso il suo percorso con la nazionale brasiliana dove il suo modo di alzare esalta le caratteristiche di attaccanti come Giba, Giovane, André Heller, André Nascimento, Anderson, Nalbert, Murillo, Gustavo Anders, Dante Amaral, Rodrigao, legando il suo nome ai più importanti risultati del Brasile di Bernardinho, squadra riconosciuta all’unanimità come una delle migliori e più spettacolari della storia della pallavolo mondiale. Impressionante il suo palmares con i verdeoro, con cui conquista un oro e un argento olimpico, due titoli Mondiali, due Campionati Sudamericani, cinque World League, una Coppa del Mondo e due Grand Champions Cup.

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