Chi è stato il
più grande palleggiatore che la pallavolo ha espresso negli ultimi
quarant’anni? E’ impossibile poterne individuare uno. Il titolo del più grande
in assoluto non esiste. Analizzando lo sviluppo degli ultimi quarant’anni di
pallavolo si può facilmente osservare una notevole evoluzione del gioco così
come dei sistemi di allenamento. Sono state inoltre individuate nuove e sempre più
dettagliate tecnologie riguardo lo studio degli avversari, così come sono
completamente mutate le condizioni ambientali in cui vengono disputate le gare di
oggi rispetto a quelle di qualche decennio fa. Una serie di considerazioni che
ci restituiscono dati disomogenei fra di loro, che non consentono una
valutazione oggettiva utile per poter individuare il migliore in assoluto. Possiamo
però affermare che, una serie di palleggiatori, per tecnica, classe, stile di
gioco, carisma, capacità di leadership e palmares, si sono nettamente distinti
rispetto a tutti gli altri. Tra questi, immaginando un’ideale tavola rotonda
del grande volley ne abbiamo individuati dodici, andando quindi alla ricerca degli
alzatori che potrebbero avere titolo per sedersi attorno a tale tavolo
esattamente come facevano i dodici cavalieri (condottieri di corte di rango
elevato) e Re Artù quando riuniti attorno alla tavola rotonda del castello di
Camelot, discutevano i temi chiave per il miglior funzionamento del regno.
Considerando che
gli atleti tutt’ora in attività stanno ancora scrivendo importanti pagine di
storia della pallavolo e pertanto solo al termine delle loro carriere si potrà
arrivare a fornire una loro valutazione complessiva, nell’individuazione dei “dodici
eletti” sono stati presi in considerazione soltanto i palleggiatori che, oltre
ad aver giocato negli ultimi quarant’anni, hanno appeso le scarpette al chiodo.
E visto che, come già detto, il migliore in assoluto non esiste, presentiamo i “magnifici
dodici” in stretto ordine cronologico di apparizione sui parquet dei palasport
di tutto il mondo.
KATSUTOSHI NEKODA
Nato ad Hiroshima
il giorno 1 febbraio 1944 è stato il palleggiatore della squadra nazionale
giapponese che tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 ha rivoluzionato lo
sport della pallavolo. In quegli anni la pallavolo si gioca prevalentemente con
alzate di palla alta in posto due e quattro e si basa sulla capacità degli
schiacciatori, saltatori impressionanti e potentissimi nel colpo d’attacco, di
passare sopra il muro avversario. E’ con questo tipo di gioco che la scuola
dell’Unione Sovietica e dell’Est Europa in generale (Cecoslovacchia, Polonia,
Bulgaria e Germanie Est) domina la scena
della pallavolo mondiale. Nekoda grazie alla sua abilità tecnica e alla sua
fantasia, organizza attraverso le sue mani magiche un gioco fatto di movimento
e di velocità di esecuzione delle azioni d’attacco in ogni zona della prima
linea. Veloci anticipate al centro, secondi tempi davanti e dietro al centrale
e palle rapide alle bande. Grazie a questo sistema di gioco pionieristico il
Giappone conquista la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Monaco del 1972 dopo
aver conquistato la medaglia di bronzo e d’argento nelle precedenti edizioni
dei giochi olimpici del 1964 e del 1968 e quattro edizioni dei giochi asiatici,
dal 1966 al 1978. Nekoda, dopo aver ricevuto il premio per il miglior
palleggiatore in due edizioni della Coppa del Mondo (Germania Est 1969 e
Giappone 1977) si spegne a causa di un male incurabile nel 1983, tre anni
soltanto dopo essersi ritirato dalle competizioni agonistiche
VIACESLAV ZAYTSEV
KIM HO CHUL
Coreano nato a
Seul nel 1955, durante il Mondiale del 1978 impressiona il pubblico romano mettendo
in mostra una naturalezza fuori dal comune nel
tocco di palla nonché una rapidità felina nel muoversi per il campo per eseguire
i palleggi d’alzata. L’idea di pallavolo di Kim, molto influenzata dalla
pallavolo giapponese di Nekoda, si basa sul concetto che il gioco d’attacco di
una squadra nasce e si sviluppa intorno all’attacco di primo tempo. Per il
funambolo coreano è da lì che si parte per costruire tutti i possibili schemi in
grado di mettere il più possibile i propri schiacciatori di fronte a muri
composti da solo un uomo. Il coreano propone quindi un gioco estroso e
velocissimo, estremamente spettacolare da vedere, con una rapidità di uscita
della palla dalle mani che lascia a bocca aperta. Quando la palla entra nelle
sue mani ne esce dopo qualche nanosecondo con una tale velocità che l’occhio
umano quasi non riesce a percepire. Parma nella stagione 81/82 riesce a
portarlo in Italia offrendogli l’opportunità di sciorinare nei nostri palasport
le sue mirabolanti alzate, espresse attraverso i suoi celeberrimi trentatré
schemi d’attacco. Un modo di concepire il ruolo di palleggiatore che, oltre a
renderlo famoso, regala alla pallavolo italiana e mondiale un gioco innovativo,
spettacolare, e nello stesso tempo di grandissima efficienza. Con la Santal
Parma, della cui tifoseria diventa l’idolo incontrastato, disputea tre stagioni
conquistando due scudetti, due Coppe Italia e una Coppa dei Campioni prima di
fare ritorno in Corea. Torna in Italia nella stagione 87/88 richiamato dalla
Sisley Treviso dove disputa tre campionati prima di trasferirsi a Schio dove
dopo cinque stagioni chiude la sua gloriosa carriera da atleta.
WILLIAM DA SILVA
William Carvalho
da Silva, più conosciuto come Da Silva, nasce a San Paolo il 16 novembre 1954. Palleggiatore
“fantasista”, caratterizzato da due folti baffi neri, è un atleta rapidissimo
di piedi e dotato di grande temperamento. L’imprevedibilità delle sue alzate
dipende dalla grande capacità dell’utilizzo dei centrali con diversi tipi di
primo tempo e di smarcare gli attaccanti di secondo tempo, attraverso
traiettorie rapidissime. Essendo altro solo 183 centimetri, Wiliam utilizza
molto l’azione delle braccia nel palleggio impattando la palla piuttosto avanti
al fine di poterla spingere velocemente e per far questo gioca una pallavolo
spettacolare fatta di finte e controfinte volte ad ingannare il muro avversario
e smarcare il più possibile i propri attaccanti. Famose per spettacolarità le
sue alzate tese per l’universale Bernard Rajzman e per il gioco spintissimo in
posto due a favore di Josè Montanaro l’opposto che sia in nazionale che nel
Pirelli San Paolo viene schierato in diagonale con lui. A ventidue anni è già
titolare della nazionale brasiliana con la quale nel 1976 gioca la sua prima
Olimpiade a Montreal a cui ne seguiranno altre tre, Mosca 80, Los Angeles 84
(medaglia d’argento) e Seul 88. Con il proprio club, il Pirelli San Paolo,
gioca per dieci stagioni consecutive dal 1980/81 al 1990/91, conquistando due Campionati sudamericani per club, due Campionati
brasiliani e sei Coppe del Brasile. Nella stagione 1979/80 sbarca in Italia,
per una breve parentesi di un solo anno, nella grande Paoletti Catania di
Greco, Nassi, Concetti e Scilipoti guidata da Bruno Feltri in panchina, squadra
che al termine di una grande stagione si classifica al secondo posto, staccata
di sei punti dalla Klippan Torino campione d’Italia.
DUSTY DVORAK
Dusty Dvorak,
detto anche il “ragioniere” per le sue capacità organizzative, strategiche e
per precisione millimetrica delle sue alzate, nasce a San Diego, in California,
il 29 luglio 1958. Come tutti i pallavolisti provenienti dalla California è il
beach volley la disciplina con cui inizia ad approcciare il volley. A sedici
anni inizia con l’indoor e l’anno successivo fa già parte della nazionale juniores
a stelle e strisce guidata da quel Doug Beal che lo porterà poi con sé in
nazionale maggiore. Dvorak dispone di un palleggio non brillantissimo dal punto
di vista squisitamente tecnico e stilistico. Gomiti molto aperti, palla piuttosto
trattenuta tra le mani e impattata più vicino al petto che sopra la testa,
sopperisce a tutto ciò con una precisione millimetrica delle traiettorie d’alzata
e con una straordinaria capacità tattica e strategica. Capace di sfruttare al
massimo i punti di forza della propria squadra e i punti deboli dell’avversario
attraverso una formidabile capacità di lettura del muro, eccelle nella
pianificazione strategica della partita e quindi nell’utilizzo della tattica
migliore da utilizzare nel corso della gara attraverso piani pianificati a
tavolino con i propri tecnici. Con la nazionale a stelle e strisce conquista un
oro olimpico, un campionato Panamericano, un Campionato del Mondo e una Coppa
del Mondo. Nel 1984 sbarca in Italia e precisamente a Chieti dopo rimane per
una sola stagione (84/85) così come a Fontanafredda (86/87). Il meglio di sé
nel nostro campionato lo fa vedere a Parma, nella prima Maxicono di Gian Paolo
Montali con cui conquista due Coppe delle Coppe, una Supercoppa Europea, e un
Mondiale per Club.
JEFF STORK
Nel 1989 Gian
Paolo Montali, reduce da due secondi posti in campionato con la Maxicono Parma,
vuole portare la sua squadra ad esprimere il gioco più veloce possibile per
arrivare alla conquista del tanto agognato scudetto. Il palleggiatore che
individua per raggiungere il suo obiettivo è Jeff Stork, nuovo palleggiatore
della nazionale statunitense. Esattamente come accaduto nella propria nazionale
Jeff anche a Parma riceve il testimone da Dusty Dvorak in cabina di regia del
club biancoazzurro. Nato a Longview, nello stato di Washington l’otto luglio
1960, Stork è un palleggiatore mancino di 190 centimetri estremamente dotato
sia nel fondamentale del palleggio che in quello dell’attacco. Alla velocità
supersonica di uscita della palla dalle mani, imprevedibilità delle sue giocate
grazie alla capacità di usare sia i centrali che di smarcare i secondi tempi
attraverso traiettorie velocissime, abbina una straordinaria capacità di attacco
di secondo tocco che lo rendono un vero e proprio schiacciatore aggiunto per la
propria squadra. Queste caratteristiche fanno di lui uno degli alzatori più
vincenti della storia della pallavolo mondiale. E’ Marv Dunphy, suo allenatore
ai tempi in cui Jeff gioca nella Pepperdine University, che gli regala la
maglia di palleggiatore titolare bella nazionale con cui conquista un
campionato del mondo (1986) e una medaglia d’oro olimpica. Con la Maxicono
Parma in due stagioni conquista uno scudetto, una Coppa Italia, una Coppa delle
Coppe, una Supercoppa Europea, e un Mondiale per Club. Nella stagione 1991/92
Doug Beal lo vuole a Milano, dove disputa quattro campionati conquistando un
Mondiale per Club, una Coppa delle Coppe e il titolo di MVP della nostra serie
A nell’anno 1993.
FABIO VULLO
Toscano di Massa
nato il 1 settembre 1964, inizia la sua grande carriera nella pallavolo di alto
livello a Torino, nella Kappa di Silvano
Prandi conquistando il suo primo scudetto nella stagione 83/84. In quella
stagione divide la cabina di regia con Piero Rebaudengo dal momento che in
quell’epoca si gioca con il modulo 4-2, quello con il doppio palleggiatore. Con
la cessione di Rebaudengo a Parma, Vullo diventa palleggiatore unico e nel 1986
viene acquistato dalla Panini Modena che gli consegna le chiavi della regia,
appartenenti fino alla stagione precedente ad un’altra icona del volley
italiano, Pupo Dall’Olio. Da molti considerato il miglior palleggiatore
italiano di tutti i tempi, Fabio Vullo è un alzatore moderno di 198 centimetri di
talento e naturalezza nel tocco di palla che, pur avendo lunghe leve, riesce ad
avere grande mobilità e facilità di spostamento per eseguire i palleggi. Grande
controllo emotivo della partita e ottima lucidità nei momenti decisivi della
gara, sono alcune le caratteristiche che gli consentono di poter eseguire le
migliori opzioni dal punto di vista tattico e strategico. Attraverso innate doti
di leadership, riesce a trasmettere e far accettare alla squadra le proprie
scelte e il proprio modo di giocare, infondendo grande fiducia ai propri
attaccanti. Grandioso nei club in cui ha
palleggiato, Torino, Modena, Ravenna, Treviso e Macerata, con un’impressionante
serie di trofei conquistati: otto Scudetti, sette Coppe dei Campioni, sei Coppe
Italia, due Coppe delle Coppe, un Campionato del Mondo per Club, tre Supercoppe
Europee e una Supercoppa italiana. Molto più controverso il rapporto con la
maglia della nazionale. Julio Velasco però gli preferisce Paolino Tofoli e Fefè
De Giorgi come registi della “nazionale dei fenomeni”, e questo gli renderà decisamente
più magro il palmares in azzurro con appena una vittoria in World League e una
medaglia di bronzo olimpica a Los Angeles 1984. Molto, troppo poco, per un
atleta del suo valore.
PAOLO TOFOLI
Nato nel 1966 a
Fermo, nelle Marche, terra di grande tradizione pallavolistica, è il regista a
cui Julio Velasco una volta nominato C.T. azzurro affida la regia della
nazionale italiana. Scelta che più azzeccata non poteva essere dal momento che alle
226 presenze azzurre di Tofoli sono legati i più grandi successi internazionali
della nazionale targata Velasco. Palleggiatore molto tecnico, preciso, veloce sia
di piedi che di uscita della palla dalle mani, ha nella costanza di rendimento
e nella gestione tattica delle partite i punti di forza che lo rendono atleta
di estrema affidabilità. Bravo nel gioco in primo tempo anche
con palloni ricevute fuori rete, è altrettanto abile nello smarcare i suoi attaccanti
di secondo tempo quando ha a disposizione ricezioni perfette e il muro
avversario si aspetta un primo tempo. Ottimo anche nei palleggi di contrattacco,
situazioni in cui riesce ad alzare ai propri schiacciatori di posto quattro
alzate di palla alta molto precise, mettendoli nelle migliori condizioni per poter
attaccare contro muri alti e chiusi. Un leader silenzioso, correttissimo in
campo e fuori, senza mai un atteggiamento fuori posto e con l’innata capacità
di tramutare in giocate perfette la tattica di gioco studiata a tavolino dai suoi
allenatori. Quattro i suoi principali club: Padova, Trento, Roma, con un anno
solo in Umbria nel RPA Caffè Maxim Perugia, con i quali mette in bacheca
complessivamente tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, due
Coppe CEV, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea. In azzurro conquista
invece due titoli mondiali, una medaglia d’argento olimpica, una Coppa del
Mondo e quattro edizioni della World League.
PETER BLANGE’
Dall’altro dei
suoi 205 centimetri è l’alzatore più alto della pallavolo mondiale. Nato a Voorburg,
in Olanda il 9 dicembre 1964 cresce nel suo paese tra Starlift e Brother
Martinus per approdare nel nostro campionato nella stagione 1990/91 nelle Terme
Acireale Catania. A oltre mille chilometri di distanza da Catania c’è una squadra,
la Maxicono Parma, che nell’estate del 1991 ha la necessità di rimpiazzare il
palleggiatore titolare, Jeff Stork, allettato dal progetto e dai dollari della
Mediolanum Milano di Silvio Berlusconi. In panchina a Parma siede un tecnico
brasiliano, Paulo Roberto de Freitas più noto come Bebeto, che di pallavolo ne
capisce come pochi. Il tecnico carioca dispone di un gruppo di atleti con un
potenziale offensivo impressionante formato da Giani, Gravina, Bracci, Carlao e
Renan Dal Zotto e per valorizzare al massimo questo straordinario patrimonio
d’attacco ha bisogno è un palleggiatore che ne sappia esaltare al massimo le
caratteristiche. Bebeto per la sua Maxicono ha in mente un gioco “brasiliano”, basato
su schemi d’attacco che prevedono alzate molto spinte, con giocate a grande
velocità. Intuisce che nessuno meglio che quello spilungone olandese che sta giocando
a Catania può garantirglielo dal momento che Blangè, grazie alla possibilità di
palleggiare ad altezze siderali riesce ad eseguire palleggi in salto senza
flettere le braccia e con l’azione dei soli polsi, rendendo le sue
difficilmente leggibili fino all’ultimo istante al muro avversario. Aggiungendo
a ciò una grande velocità di uscita della palla dalle mani, questo grandissimo
palleggiatore riesce a provocare al gioco un' incredibile accelerazione riducendo
enormemente il tempo intercorso tra alzata e schiacciata creando così grossi
grattacapi ai muri e alle difese avversarie. E infatti l’organizzazione di
gioco di Peter Blangè sarà alla base dei successi della Maxicono 91/92 (Scudetto,
Coppa Italia e Coppa CEV), squadra che verrà ricordata come una delle più
spettacolari di tutti i tempi. A Parma il palleggiatore olandese rimane altre quattro
stagioni conquistando complessivamente due scudetti, una Coppa Italia e una
Coppa CEV. Nella stagione 97/98 si trasferisce a Treviso, dove rimane per due
stagioni, conquistando altri due scudetti, una Coppa Campioni, una Supercoppa
Italiana e un’altra coppa CEV. Straordinario il suo palmares anche con la maglia
degli “Orange” con la quale conquista una World League, una medagli d’argento
alle Olimpiadi di Barcellona 1992 ma soprattutto l’oro olimpico ad Atlanta
1996, che rappresenterà la ciliegina sulla torta della sua straordinaria
carriera.
LLOY BALL
Nel solco della
tradizione dei grandi pallavolisti statunitensi Lloy James Ball, nato a Fort
Wayne il 17 febbraio 1972, si inscrive a pieno titolo nel novero dei palleggiatori
che hanno fatto la storia del volley moderno. Ball viene “scippato” al basket,
sport per cui era stato selezionato del mitico Bobby Knight ai tempi
dell’università e raccoglie il testimone in cabina di regia della propria
nazionale dal grande Jeff Stork. 203 centimetri di altezza, palla precisa e velocissima,
Lloy è un alzatore “moderno”. Oltre che nel fondamentale del palleggio, caratterizzato
da velocità, imprevedibilità e precisione, con traiettorie sempre uguali
rispetto a quelle stabilite con i sui attaccanti, eccelle in battuta, a muro e in
difesa. A queste doti Lloy unisce una personalità molto forte e una notevole abilità
tattica che lo rendono leader carismatico dei sestetti da lui guidati. Unico pallavolista
statunitense ad aver partecipato a ben quattro Olimpiadi, dopo aver preso parte
ai giochi olimpici nelle edizioni del 1996, 2000 e 2004, Ball ha messo il
sigillo alla sua straordinaria carriera con la maglia a stelle e strisce vincendo
la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Con i club gioca quattro
straordinarie stagioni nella nostra serie A1 a Modena, vincendo uno scudetto e
una Coppa Italia, due stagioni a Salonicco, in Grecia, dove conquista 1
scudetto e due Coppe di Grecia per concludere la sua grande carriera a Kazan, in
Russia, dove vince uno scudetto e un titolo di miglior palleggiatore nella
Champions League 2011.
NIKOLA GRBIC
Nasce a Zrenjanin,
regione serba dell’ex Jugoslavia, il 6 settembre 1973. Inizia i primi palleggi
nella pallavolo di altro livello nel Vojvodina di Novi Sad e il suo nome inizia
fin da subito a circolare nell’ambiente come quello di un grande talento, una
sorta di predestinato. Le principali squadre italiane gli mettono immediatamente
gli occhi addosso e nella stagione 94/95 la Gabeca Galatron Montichiari riesce
a strapparlo alla concorrenza dei club rivali. Nikola è un palleggiatore alto, poco
leggibile dal muro avversario grazie alla capacità di impattare la palla in
posizione neutra rispetto al corpo e ad un palleggio fatto quasi ed esclusivamente
di azioni di polso anziché di braccia, nonché forte in battuta e a muro. Pur essendo
dotato di una grande personalità a soli ventun’anni, complice anche qualche
problema di natura fisica non convince fino in fondo il club monteclarense e
non ottiene la conferma in cabina di regia per l’anno successivo. A Catania
però allena un suo connazionale, Ljubomir Travica, che conoscendolo fin
dall’epoca della juniores crede profondamente nelle doti di questo ragazzone di
195 centimetri e gli affida le redini della propria squadra. Nikola lo ripaga
disputano in Sicilia una grande stagione che culmina con la promozione in serie
A1, mettendo in mostra prestazioni che gli valgono il ritorno a Montichiari. Da
li in avanti parte una lunga carriera che si sviluppa tra Cuneo, Treviso,
Piacenza, Trento, nuovamente Cuneo e Zenit Kazan (Russia) con uno straordinario
palmares costituito da due Supercoppe Europee, una Coppa delle Coppe, tre Coppe
Italia, due Coppe Campioni, due scudetti Italiani, una Supercoppa Italiana, una
Coppa CEV e uno scudetto russo. Anche con la propria nazionale Nikola ottiene
grandi risultati tra cui spiccano la medaglia d’oro olimpica a Sidney 2000 e la
vittoria di un Campionato Europeo in Repubblica Ceca nell’anno 2001 a fare da
ciliegine sula torta della sua splendida carriera.
GARCIA RICARDO “RICARDINHO”
Ricardo Bermudez
Garcia, più noto con lo pseudonimo di Ricardinho nasce in Brasile, a San Paolo,
il 19 novembre 1975. Inizia a giocare a pallavolo nel settore giovanile del
Banespa, gloriosa società brasiliana, ma fa il proprio esordio nella pallavolo
professionistica nel 1995 nelle fila del Cocamar Maringá. Seguono poi sette
stagioni in cui Ricardinho cambia squadra ogni anno fino ad arrivare alla
stagione 2004/2005 nella quale approda al nostro campionato e precisamente alla
Daytona Modena, con cui gioca quattro campionati conquistando una Challenge Cup
nella stagione 2007-08. L’anno successivo si trasferisce alla Sisley Treviso
dove rimane per sue stagioni, chiudendo la sua parentesi italiana nella
stagione 2014/2015 nella Cucine Lube Banca Marche Treia. Palleggiatore dotato
di una velocità di palla impressionante, riesce ad imprimere al gioco un ritmo
vorticoso basato su schemi d’attacco in cui entrano sempre quattro attaccanti,
caratteristica che lo rende pressoché immarcabile per i muri avversari. Il suo
gioco super veloce per essere efficiente ha però bisogno di un particolare “timing”
fatto di sincronismi perfetti, paragonabili a quelli di un orologio svizzero, e
fatica ad essere metabolizzato dagli schiacciatori delle nostre squadre di club.
La dimostrazione a tutto ciò è data dal fatto che nei suoi sette anni trascorsi
a palleggiare nelle squadre di vertice della nostra serie A1 riesce a conquistare
solo una Challenge Cup. Completamente diverso il suo percorso con la nazionale
brasiliana dove il suo modo di alzare esalta le caratteristiche di attaccanti
come Giba, Giovane, André Heller, André Nascimento, Anderson, Nalbert, Murillo,
Gustavo Anders, Dante Amaral, Rodrigao, legando il suo nome ai più importanti
risultati del Brasile di Bernardinho, squadra riconosciuta all’unanimità come
una delle migliori e più spettacolari della storia della pallavolo mondiale.
Impressionante il suo palmares con i verdeoro, con cui conquista un oro e un
argento olimpico, due titoli Mondiali, due Campionati Sudamericani, cinque
World League, una Coppa del Mondo e due Grand Champions Cup.
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