lunedì 11 maggio 2020

LA PSICOLOGIA DEI GRUPPI. Di Filippo Vagli


Il gruppo sportivo si identifica nel termine “squadra” e può avere molte accezioni differenti, in base allo sport a cui si fa riferimento. Ogni allenatore dovrebbe avere una buona conoscenza delle principali teorie dei gruppi, visto che proprio a lui spetta la guida del gruppo “squadra”.
In questa breve relazione ne sintetizziamo alcune:

LA RELAZIONE INDIVIDUO GRUPPO
La nostra conoscenza del mondo è basata su schemi e categorie; noi tendiamo a categorizzare il mondo, e i gruppi sono gruppi di categorie. Un insieme sfuocato di persone organizzate attorno ad un prototipo.
Con il termine Entitatività indichiamo l’unità percepita di un gruppo cioè quanto un gruppo si riconosce come gruppo; in poche parole il grado di coesione che un gruppo possiede. Non tutti i gruppi infatti hanno lo stesso senso di appartenenza e di identità.  L’entitatività o “unità percepita” rappresenta il grado di coerenza, distintività e organizzazione di un gruppo.

Iniziamo con la preistoria dello studio dei gruppi. I primi studi (siamo a fine dell’800) riguardano che effetto fa la presenza degli altri alle persone. Uno dei primi esperimenti è di Norman Triplet, uno psicologo statunitense. Chiede a dei ragazzini di avvolgere una fune attorno ad un rocchetto e di farlo nel tempo più veloce possibile. Scopre che i ragazzini erano più veloci nello svolgere il compito se era presente qualcuno ad osservarli. Ma non solo. Si accorge che in un contesto competitivo le persone tendevano a dare il massimo, anche se non mancavano le eccezioni: qualcuno in presenza degli altri tendeva a fare peggio e a breve cercheremo di capire il perché.   

Lo stesso fenomeno viene indagato da Allport, uno dei padri della psicologia sociale e grande studioso della psicologia dei gruppi. A partire dagli anni ’20 del secolo scorso, Allport studia un fenomeno che chiama di facilitazione sociale, vale a dire il miglioramento nelle esecuzioni di compiti che avviane grazie alla presenza di qualcun altro. Allport a differenza di Triplet non crea un contesto competitivo, non c’è una gara, e vede che soltanto mettendo la presenza di qualcuno vicino a chi svolge il compito, tendenzialmente lo svolgimento di quel compito migliora. Allport riscontra  che questa regola vale solo se i compiti sono facili e quindi alcune persone che in presenza di altri non ottengono buone performance è perché trovano il compito difficile. Addirittura, per compiti particolarmente difficili, l’effetto può essere l’opposto e cioè un netto calo delle prestazioni (fenomeno dell’inibizione sociale).

La prima spiegazione del fatto che la presenza delle persone facilita i compiti risente delle teorie Freudiane e quindi fa ricorso al concetto di Pulsione. Le altre persone attivano in noi la motivazione all’azione in modo istintivo (per motivi adattivi) verso risposte “dominanti”. Questo significa che in presenza degli altri noi adottiamo il comportamento che valutiamo possa essere il migliore in quella situazione. Pulsione è un concetto complesso. Quale pulsione ci spinge, a causa della presenza degli altri, ad attivare questa risposta “dominante”? Perché dovremmo cercare di dare il meglio di noi se c’è qualcun altro? Una delle spiegazioni possibili è che ciò sia legato a qualche forma di paura e nella fattispecie alla paura del giudizio. Abbiamo il timore di essere mal giudicati e questo timore funziona come un facilitatore all’azione. Anche questo però è vero soltanto parzialmente perché sappiamo anche che a volte il timore del giudizio degli altri ci rende più timorosi, goffi.

Un’altra teoria interessante riguardo all’aumentare le nostre performance in presenza di altre persone è la teoria della discrepanza del sé (Higgins 1987). Quando c’è discrepanza tra quello che chiamiamo il Sé Reale (ciò che sono) e il Sé Ideale (come vorremmo apparire agli altri) tendo a peggiorare le mi performance. La presenza degli altri, aumenta l’autoconsapevolezza e quindi aumenta la consapevolezza a volte dolorosa e disagevole della distanza che c’è tra ciò che siamo e ciò che ci piacerebbe apparire agli occhi degli altri e per ridurre questa distanza cerchiamo di impegnarci di più. In poche parole, ci attiviamo per fare bella figura.

Avevamo accennato al fatto che un compito difficile potrebbe creare problemi di performance quando nello svolgerlo siamo osservati da altri. Fondamentalmente perché l’aspettativa di fallire e quindi di fare una brutta figura ci mette in imbarazzo, e quindi ci rende meno performanti. Inoltre, perché la presenza degli altri assorbe risorse attentive (noi abbiamo una disponibilità di risorse attentive che ci serve per eseguire i compiti  avere in mente la presenza di qualcun altro potrebbe ridurre queste importanti risorse).

Ora vediamo perché quando lavoriamo in gruppo le nostre prestazioni a volte possono diminuire. Una spiegazione  è che possa dipendere dalla perdita di coordinazione, vale a dire che le prestazioni in gruppo possono peggiorare perché non è semplice coordinarsi con il gruppo e allora ci può essere qualcuno che nel gruppo diventa silente. Un’altra spiegazione è che se lavoriamo in gruppo c’è una sorta di tendenza all’inerzia (inerzia sociale); se pensiamo che qualcuno oltre a noi stia lavorando ad un compito ci impegniamo di meno, diminuisce la nostra motivazione. Un piccolo esperimento: prendiamo una persona, la bendiamo e gli mettiamo i tappi alle orecchie; gli diciamo che si trova in un gruppo di due persone e deve applaudire ad uno spettacolo. Poi gli diciamo che le persone sono tre, poi quattro e così via. Più aumentiamo la dimensione del gruppo e più ci accorgiamo che le persone si risparmiano, applaudono di meno e questo anche se non hanno la percezione di quello che sta facendo il gruppo. Non sentono quanto battono forte le mani gli altri ma gli basta sapere che facciano parte di un gruppo discretamente numeroso per far si che il loro impegno si riduca. Come ci spieghiamo il fenomeno dell’inerzia sociale?
-          Equità del risultato: noi facciamo in modo di fare tanto quanto gli altri, non di più,
-          Paura del giudizio: se il nostro contributo è saliente, se ci impegniamo, potremmo dare nell’occhio, invece nei gruppi a volte noi preferiamo a rimanere nell’anonimato
-      Conformità allo standard: è come se ognuno sapesse che in gruppo si fa un pochino di meno e quindi ci adattiamo alla regola. E questo vale soprattutto quando ci troviamo in un gruppo che non sappiamo bene che regole abbia.  

Esiste poi una spiegazione basata sul gruppo sociale, quella della Compensazione Sociale. In pratica, se il compito è percepito come molto rilevante moltiplicheremo gli sforzi anche per i nostri compagni meno partecipativi o meno capaci. Pertanto, la regola che ci impegniamo di meno non è una regola assoluta, ma è legata a quella che chiamiamo identità sociale, cioè al modo in cui noi stiamo nel gruppo. E quindi se ad es. stiamo partecipando ad una competizione in gruppo e per noi quella competizione è molto importante noi faremo il contrario e quindi ci impegniamo di più. Immaginando che gli altri non daranno il massimo e quindi cercando di compensare dando noi il 110%.

Altri fattori che possono portare ad un aumento dell’impegno in gruppo:
-      Appartenere a culture collettivistiche. Es per la cultura asiatica più si sta in gruppo più ci si deve impegnare
-          Quando si hanno aspettative di successo elevato: più ci aspettiamo di poter vincere in gruppo e più ci impegniamo
-          Forte appartenenza e identificazione al gruppo
-          Forte solidarietà e coesione di gruppo

IL FUNZIONAMENTO DEI GRUPPI
La Coesione del gruppo è la sua tendenza a percepirsi e a mantenersi unito. Si basa su un legame affettivo e sul senso di unitarietà e sulla collaborazione e lo spirito di squadra. L’apprezzamento è fondamentale nella coesione di gruppo (quanto più apprezziamo il nostro gruppo quanto più saremo portati ad agire in maniera coesa con il gruppo). L’apprezzamento si basa su due variabili:
-         L’attrazione personale: in gruppi piccoli noi conosciamo le persone e le apprezziamo personalmente
-          L’attrazione sociale: vale soprattutto nei gruppi grandi e si basa sull’identificazione con quel gruppo (faccio parte di un grande gruppo e per questo attribuisco sia al gruppo che a me caratteristiche positive)

Socializzazione di gruppo: E’ un processo dinamico tra il gruppo e i suoi membri nel quale variano il coinvolgimento e il ruolo degli individui. E’ un processo dinamico perché noi non siamo fermi nel processo di socializzazione nel gruppo ma cambia nel tempo e questo si chiama processo di socializzazione che si svolge secondo tre fattori principali:
-          Valutazione: cosa ci ricaviamo ad impegnarci nel gruppo
-          Coinvolgimento: il livello di collaborazione e di voglia che il gruppo continui nel tempo
-          Transizione di ruolo: i cambiamenti di ruolo che nel corso del tempo ci accadono nel gruppo
Quindi nel tempo noi cambiamo il nostro modo di percepirci nel gruppo e anche il modo in cui il gruppo ci percepisce.

Le transizioni di ruolo sono frequentemente sancite da riti di iniziazione (procedure che rendono chiaro agli occhi di tutti il cambiamento di ruolo nel gruppo). Queste funzioni hanno:
-          Una funzione simbolica: riconoscimento pubblico del cambiamento di status (ecco perché facciamo la cerimonia della laurea con tutti gli invitati. Perché il gruppo ci riconosca che abbiamo cambiato status, eravamo studenti e adesso siamo dottori)
-          Una funzione di apprendistato: i cambiamenti di ruolo prevedono un periodo di adattamento e di apprendistato al nuovo ruolo
-          Una funzione di fidelizzazione: sono dei “premi” che aumentano il coinvolgimento nel gruppo

Alcuni riti di iniziazione sono spiacevoli perché se c’è un accesso difficile aumenta il valore di far parte di quel gruppo e in più la solita dissonanza cognitiva di cui abbiamo già parlato, cioè se abbiamo superato prove difficili per entrare poi tenderemo a dire: “Beh, se ho fatto prove così difficili vuole proprio dire che il gruppo lo meritava e che ne valeva la pena” e questo fa aumentare il valore percepito dell’appartenenza al gruppo.

Struttura del gruppo: All’interno di ciascun gruppo ci suono ruoli e relazioni fra i membri e status.
Ruoli:
-          Sono norme applicate a singoli membri (quello è il capo e fa quelle cose; quello è il gregario e ne fa altre)
-          Distinguono le attività dei membri in modo funzionale per il gruppo
-          Regolano le relazioni fra i sottogruppi
-          Delineano una suddivisione di compiti e funzioni
-          Possono essere espliciti o impliciti e informali (ci sono ruoli istituzionali e ruoli informali: “lui è quello che conosce le strade, seguiamo lui)
Status:
Non ci sono solo differenze orizzontali nei gruppi ma esiste anche lo status che è la dimensione verticale dei ruoli, cioè ruoli diversi hanno valutazioni diverse a livello di prestigio (il presidente avrà uno status più elevato degli altri). Lo status non ha un valore assoluto ma dipende dal contesto.  Se sono un  membro della squadra di pallavolo dell’università a cui sono iscritto, quando ci sono i campionati universitari di pallavolo avrò un altro status; ma quando vado male all’università perché ho voti bassi, quel mio status legato all’appartenenza alla squadra non vale niente.

La Teoria dell’aspettativa di Status ci dice che i ruoli si formano in base ad aspettative connesse allo status. Quindi noi abbiamo un’idea degli altri anche basata sullo status. Facciamo un esempio: negli USA esistono le giurie popolari. Queste giurie hanno un presidente che viene eletto dal gruppo e statisticamente è molto frequente che venga votato come presidente qualcuno che è un medico, un professore, un professionista affermato, piuttosto che qualcuno che fa il meccanico o l’operaio. Tendiamo quindi ad attribuire in base allo status delle capacità (che non è detto che ci siano, perché non è detto che perché è un medico sappia di diritto più di un operaio). E quindi diciamo che lo status generale tende a generare aspettative pervasive cioè non limitate ad un certo ambito e contesto.

Reti di comunicazione
Un’altra cosa che dobbiamo vedere nei gruppi è come circolano le informazioni all’interno del gruppo. Esistono due modi principali:
-          Reti centralizzate: tutta la comunicazione passa per un punto centrale (es. se lavorate con un gruppo di 5 persone e ognuno deve riferire quello che fa ad un capo del gruppo; i partecipanti non comunicano fra di loro ma riferiscono tutti al capo del gruppo). Le reti centralizzate funzionano meglio per compiti semplici ma hanno lo svantaggio che possono far sentire alcuni membri più “periferici”, meno coinvolti
-          Reti decentrate: Sono più adatte a compiti complessi, non sovraccaricano un’unica persona, e migliorano il senso di partecipazione.

Sottogruppi:
I gruppi si suddividono anche in sottogruppi che possono essere definiti Inglobati  cioè un gruppo più piccolo che fa parte di un gruppo più grande o Trasversali, sottogruppi che appartengono a gruppi diversi
Con i sottogruppi esiste la possibilità che possa nascere la competizione e conflitto tra i sottogruppi. Il tutto può essere entro certi limiti funzionale al cambiamento ma la competizione fra gruppi tendenzialmente sottrae risorse al gruppo e può quindi diventare dannosa.

Perché entriamo a far parte dei gruppi? Ci sono alcune spiegazioni storiche:
-          Negli anni 50 si diceva per semplice prossimità, e quindi visto che abbiamo la tendenza ad entrare in gruppo entriamo in quello che ci sta più vicino
-          Negli anno 60 si parlava di obiettivi comuni cioè: a volte ci sono cose che possiamo fare insieme e che da soli non riusciamo a fare e quindi collaborare con i nostri simili ci conviene
-          Negli anni 90 c’è stata una spiegazione evoluzionistica (in voga anche attualmente) è che esiste un bisogno di appartenenza cioè siamo una specie sociale a abbiamo una tendenza a costituirci in gruppo con gli altri perché questo è vantaggioso per la sopravvivenza sella specie. In natura, un animale isolato dal brando è destinato a campare poco
-          Anni 2000: motivazioni di tipo più esistenziale quale l’Incertezza sull’identità cioè il gruppo ci aiuta a sapere chi siamo e la famosa Gestione del terrore, cioè il gruppo ci difende rispetto alla sensazione di essere vulnerabili ed esposti al pericolo della morte. Il gruppo ci darebbe maggior solidità rispetto all’incertezza della vita.

Se è così importante essere inclusi in un gruppo è altrettanto vero che l’esclusione da un gruppo è un’esperienza dolorosa. Si parla ad esempio di ostracismo chiamato “cyberball” per indicare quel fenomeno di deliberata esclusione che un gruppo opera su uno dei suoi membri. Questa esperienza è fonte di disagio su 4 dimensioni:
-          Appartenenza: la persona esclusa di sente meno parte del genere umano
-          Controllo: gli sembra di non poter più poter decidere del mondo attorno a sè
-          Autostima: si abbassa l’autostima
-          Significato: significa che quando veniamo esclusi ci sembra che la vita abbia meno senso

L’esperimento famoso che viene citato è quello nel quale tre persone (Tizio, Caio e Sempronio) si devono passare la palla. Se Tizio e Caio incominciano a passarsi la palla solo tra di loro e non la passano mai a Caio, si genera l’oggetto dell’ostracismo.

In conclusione, possiamo affermare che è necessario che in ogni contesto sportivo venga curato nei minimi dettagli il “sistema gruppo” anche perché un gruppo ben strutturato ben gestito, con una buona qualità delle relazioni interne può mettere in campo risorse nettamente superiori rispetto al singolo individuo.  
Ecco perché ogni allenatore oltre alle conoscenze tecniche, tattiche, condizionali, ha il compito di conoscere le dinamiche di relazione dei gruppi, per mettere a proprio agio ogni atleta al fine di rendere il proprio gruppo sempre più efficace, efficiente e vincente.
Nei prossimi giorni vi parlerò di un altro argomento collegato alla psicologia dei gruppi vale a dire quello relativo alle principali teorie sulla Leadership. 



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