Il gruppo sportivo si identifica nel termine
“squadra” e può avere molte accezioni differenti, in base allo sport a cui si
fa riferimento. Ogni allenatore dovrebbe avere una buona conoscenza delle
principali teorie dei gruppi, visto che proprio a lui spetta la guida del
gruppo “squadra”.
In questa breve relazione ne sintetizziamo
alcune:
LA RELAZIONE INDIVIDUO GRUPPO
La nostra
conoscenza del mondo è basata su schemi e categorie; noi tendiamo a
categorizzare il mondo, e i gruppi sono gruppi
di categorie. Un insieme sfuocato di persone organizzate attorno ad un
prototipo.
Con il termine Entitatività indichiamo l’unità percepita di un gruppo cioè
quanto un gruppo si riconosce come gruppo; in poche parole il grado di coesione
che un gruppo possiede. Non tutti i gruppi infatti hanno lo stesso senso di
appartenenza e di identità. L’entitatività o “unità percepita”
rappresenta il grado di coerenza, distintività e organizzazione di un gruppo.
Iniziamo con la
preistoria dello studio dei gruppi. I primi studi (siamo a fine dell’800) riguardano
che effetto fa la presenza degli altri
alle persone. Uno dei primi esperimenti è di Norman Triplet, uno psicologo statunitense. Chiede a dei ragazzini di avvolgere
una fune attorno ad un rocchetto e di farlo nel tempo più veloce possibile.
Scopre che i ragazzini erano più veloci nello svolgere il compito se era presente
qualcuno ad osservarli. Ma non solo. Si accorge che in un contesto competitivo
le persone tendevano a dare il massimo, anche se non mancavano le eccezioni: qualcuno
in presenza degli altri tendeva a fare peggio e a breve cercheremo di capire il
perché.
Lo stesso
fenomeno viene indagato da Allport,
uno dei padri della psicologia sociale e grande studioso della psicologia dei
gruppi. A partire dagli anni ’20 del secolo scorso, Allport studia un fenomeno
che chiama di facilitazione sociale,
vale a dire il miglioramento nelle esecuzioni di compiti che avviane grazie
alla presenza di qualcun altro. Allport a differenza di Triplet non crea un
contesto competitivo, non c’è una gara, e vede che soltanto mettendo la
presenza di qualcuno vicino a chi svolge il compito, tendenzialmente lo
svolgimento di quel compito migliora. Allport riscontra che questa regola vale solo se i compiti sono facili e quindi alcune
persone che in presenza di altri non ottengono buone performance è perché
trovano il compito difficile. Addirittura, per compiti particolarmente difficili,
l’effetto può essere l’opposto e cioè un netto calo delle prestazioni (fenomeno dell’inibizione sociale).
La prima
spiegazione del fatto che la presenza delle persone facilita i compiti risente
delle teorie Freudiane e quindi fa
ricorso al concetto di Pulsione. Le altre persone attivano in noi la motivazione all’azione in modo
istintivo (per motivi adattivi) verso risposte “dominanti”. Questo
significa che in presenza degli altri noi adottiamo il comportamento che
valutiamo possa essere il migliore in quella situazione. Pulsione è un concetto
complesso. Quale pulsione ci spinge, a causa della presenza degli altri, ad
attivare questa risposta “dominante”? Perché dovremmo cercare di dare il meglio
di noi se c’è qualcun altro? Una delle spiegazioni possibili è che ciò sia
legato a qualche forma di paura e
nella fattispecie alla paura del
giudizio. Abbiamo il timore di essere mal giudicati e questo timore
funziona come un facilitatore
all’azione. Anche questo però è vero soltanto parzialmente perché sappiamo
anche che a volte il timore del giudizio degli altri ci rende più timorosi,
goffi.
Un’altra teoria
interessante riguardo all’aumentare le nostre performance in presenza di altre
persone è la teoria della discrepanza
del sé (Higgins 1987). Quando c’è
discrepanza tra quello che chiamiamo il Sé
Reale (ciò che sono) e il Sé Ideale (come vorremmo apparire agli altri) tendo a peggiorare le mi performance.
La presenza degli altri, aumenta
l’autoconsapevolezza e quindi aumenta la consapevolezza a volte dolorosa e
disagevole della distanza che c’è tra ciò che siamo e ciò che ci piacerebbe apparire
agli occhi degli altri e per ridurre questa distanza cerchiamo di impegnarci di
più. In poche parole, ci attiviamo per fare bella figura.
Avevamo
accennato al fatto che un compito
difficile potrebbe creare problemi di performance quando nello svolgerlo
siamo osservati da altri. Fondamentalmente perché l’aspettativa di fallire e
quindi di fare una brutta figura ci
mette in imbarazzo, e quindi ci rende meno performanti. Inoltre, perché la presenza degli
altri assorbe risorse attentive (noi
abbiamo una disponibilità di risorse attentive che ci serve per eseguire i
compiti avere in mente la presenza di
qualcun altro potrebbe ridurre queste importanti risorse).
Ora vediamo perché
quando lavoriamo in gruppo le nostre
prestazioni a volte possono diminuire. Una spiegazione è
che possa dipendere dalla perdita di coordinazione, vale a dire
che le prestazioni in gruppo possono peggiorare perché non è semplice coordinarsi con il gruppo e allora ci
può essere qualcuno che nel gruppo diventa silente. Un’altra spiegazione è che
se lavoriamo in gruppo c’è una sorta di tendenza
all’inerzia (inerzia sociale); se pensiamo che qualcuno oltre a noi stia
lavorando ad un compito ci impegniamo di meno, diminuisce la nostra
motivazione. Un piccolo esperimento: prendiamo una persona, la bendiamo e gli
mettiamo i tappi alle orecchie; gli diciamo che si trova in un gruppo di due
persone e deve applaudire ad uno spettacolo. Poi gli diciamo che le persone
sono tre, poi quattro e così via. Più aumentiamo la dimensione del gruppo e più
ci accorgiamo che le persone si risparmiano, applaudono di meno e questo anche
se non hanno la percezione di quello che sta facendo il gruppo. Non sentono
quanto battono forte le mani gli altri ma gli basta sapere che facciano parte
di un gruppo discretamente numeroso per far si che il loro impegno si riduca. Come
ci spieghiamo il fenomeno dell’inerzia
sociale?
-
Equità
del risultato: noi facciamo in modo di fare tanto quanto gli altri, non di
più,
-
Paura del
giudizio: se il nostro contributo è saliente, se ci impegniamo, potremmo
dare nell’occhio, invece nei gruppi a volte noi preferiamo a rimanere
nell’anonimato
- Conformità
allo standard: è come se ognuno sapesse che in gruppo si fa un pochino di
meno e quindi ci adattiamo alla regola. E questo vale soprattutto quando ci
troviamo in un gruppo che non sappiamo bene che regole abbia.
Esiste poi una
spiegazione basata sul gruppo sociale, quella della Compensazione Sociale. In pratica,
se il compito è percepito come molto
rilevante moltiplicheremo gli sforzi anche per i nostri compagni meno
partecipativi o meno capaci. Pertanto, la regola che ci impegniamo di meno non
è una regola assoluta, ma è legata a quella che chiamiamo identità sociale, cioè al modo in cui noi stiamo nel gruppo. E
quindi se ad es. stiamo partecipando ad una competizione in gruppo e per noi
quella competizione è molto importante noi faremo il contrario e quindi ci
impegniamo di più. Immaginando che gli altri non daranno il massimo e quindi cercando
di compensare dando noi il 110%.
Altri fattori che possono portare ad un
aumento dell’impegno in gruppo:
- Appartenere a culture collettivistiche. Es per
la cultura asiatica più si sta in gruppo più ci si deve impegnare
-
Quando si hanno aspettative di successo elevato:
più ci aspettiamo di poter vincere in gruppo e più ci impegniamo
-
Forte appartenenza e identificazione al gruppo
-
Forte solidarietà e coesione di gruppo
IL FUNZIONAMENTO DEI GRUPPI
La Coesione del gruppo è la sua tendenza a
percepirsi e a mantenersi unito. Si basa su un legame affettivo e sul senso di
unitarietà e sulla collaborazione e lo spirito di squadra. L’apprezzamento è fondamentale nella coesione di gruppo (quanto più
apprezziamo il nostro gruppo quanto più saremo portati ad agire in maniera
coesa con il gruppo). L’apprezzamento si basa su due variabili:
- L’attrazione
personale: in gruppi piccoli noi conosciamo le persone e le apprezziamo
personalmente
-
L’attrazione
sociale: vale soprattutto nei gruppi grandi e si basa sull’identificazione
con quel gruppo (faccio parte di un grande gruppo e per questo attribuisco sia
al gruppo che a me caratteristiche positive)
Socializzazione di gruppo: E’ un
processo dinamico tra il gruppo e i suoi membri nel quale variano il
coinvolgimento e il ruolo degli individui. E’ un processo dinamico perché noi non siamo fermi nel processo di
socializzazione nel gruppo ma cambia nel tempo e questo si chiama processo di socializzazione che si
svolge secondo tre fattori principali:
-
Valutazione:
cosa ci ricaviamo ad impegnarci nel gruppo
-
Coinvolgimento:
il livello di collaborazione e di voglia che il gruppo continui nel tempo
-
Transizione
di ruolo: i cambiamenti di ruolo che nel corso del tempo ci accadono nel
gruppo
Quindi nel tempo
noi cambiamo il nostro modo di percepirci nel gruppo e anche il modo in cui il
gruppo ci percepisce.
Le transizioni di ruolo sono
frequentemente sancite da riti di iniziazione
(procedure che rendono chiaro agli occhi di tutti il cambiamento di ruolo
nel gruppo). Queste funzioni hanno:
-
Una
funzione simbolica: riconoscimento pubblico del cambiamento di status (ecco
perché facciamo la cerimonia della laurea con tutti gli invitati. Perché il
gruppo ci riconosca che abbiamo cambiato status, eravamo studenti e adesso
siamo dottori)
-
Una
funzione di apprendistato: i cambiamenti di ruolo prevedono un periodo di
adattamento e di apprendistato al nuovo ruolo
-
Una
funzione di fidelizzazione: sono dei “premi” che aumentano il
coinvolgimento nel gruppo
Alcuni riti di iniziazione sono spiacevoli perché
se c’è un accesso difficile aumenta il valore di far parte di quel gruppo e in
più la solita dissonanza cognitiva di cui abbiamo già parlato, cioè se abbiamo
superato prove difficili per entrare poi tenderemo a dire: “Beh, se ho fatto
prove così difficili vuole proprio dire che il gruppo lo meritava e che ne
valeva la pena” e questo fa aumentare il valore percepito dell’appartenenza al
gruppo.
Struttura del gruppo: All’interno di
ciascun gruppo ci suono ruoli e
relazioni fra i membri e status.
Ruoli:
-
Sono norme applicate a singoli membri (quello è
il capo e fa quelle cose; quello è il gregario e ne fa altre)
-
Distinguono le attività dei membri in modo
funzionale per il gruppo
-
Regolano le relazioni fra i sottogruppi
-
Delineano una suddivisione di compiti e funzioni
-
Possono essere espliciti o impliciti e informali
(ci sono ruoli istituzionali e ruoli informali: “lui è quello che conosce le
strade, seguiamo lui)
Status:
Non ci sono solo
differenze orizzontali nei gruppi ma esiste anche lo status che è la dimensione verticale dei ruoli, cioè
ruoli diversi hanno valutazioni diverse a livello di prestigio (il presidente
avrà uno status più elevato degli altri). Lo status non ha un valore assoluto ma dipende
dal contesto. Se sono un membro della squadra di pallavolo
dell’università a cui sono iscritto, quando ci sono i campionati universitari
di pallavolo avrò un altro status; ma quando vado male all’università perché ho
voti bassi, quel mio status legato all’appartenenza alla squadra non vale
niente.
La Teoria dell’aspettativa di Status ci
dice che i ruoli si formano in base ad aspettative
connesse allo status. Quindi noi abbiamo un’idea degli altri anche basata
sullo status. Facciamo un esempio: negli USA esistono le giurie popolari. Queste
giurie hanno un presidente che viene eletto dal gruppo e statisticamente è
molto frequente che venga votato come presidente qualcuno che è un medico, un
professore, un professionista affermato, piuttosto che qualcuno che fa il
meccanico o l’operaio. Tendiamo quindi ad attribuire in base allo status delle
capacità (che non è detto che ci siano, perché non è detto che perché è un
medico sappia di diritto più di un operaio). E quindi diciamo che lo status generale tende a generare
aspettative pervasive cioè non limitate ad un certo ambito e contesto.
Reti di comunicazione
Un’altra cosa
che dobbiamo vedere nei gruppi è come circolano
le informazioni all’interno del gruppo. Esistono due modi principali:
-
Reti
centralizzate: tutta la comunicazione passa per un punto centrale (es. se
lavorate con un gruppo di 5 persone e ognuno deve riferire quello che fa ad un
capo del gruppo; i partecipanti non comunicano fra di loro ma riferiscono tutti
al capo del gruppo). Le reti centralizzate funzionano meglio per compiti
semplici ma hanno lo svantaggio che possono far sentire alcuni membri più
“periferici”, meno coinvolti
-
Reti
decentrate: Sono più adatte a compiti complessi, non sovraccaricano
un’unica persona, e migliorano il senso di partecipazione.
Sottogruppi:
I gruppi si
suddividono anche in sottogruppi che
possono essere definiti Inglobati cioè un gruppo più piccolo che fa parte di un
gruppo più grande o Trasversali, sottogruppi
che appartengono a gruppi diversi
Con i
sottogruppi esiste la possibilità che possa nascere la competizione e conflitto tra i sottogruppi. Il tutto può essere
entro certi limiti funzionale al cambiamento ma la competizione fra gruppi
tendenzialmente sottrae risorse al gruppo e può quindi diventare dannosa.
Perché entriamo a far parte dei gruppi? Ci
sono alcune spiegazioni storiche:
-
Negli anni 50 si diceva per semplice prossimità, e quindi visto che abbiamo la tendenza ad
entrare in gruppo entriamo in quello che ci sta più vicino
-
Negli anno 60 si parlava di obiettivi comuni cioè: a volte ci sono cose che possiamo fare
insieme e che da soli non riusciamo a fare e quindi collaborare con i nostri
simili ci conviene
-
Negli anni 90 c’è stata una spiegazione
evoluzionistica (in voga anche attualmente) è che esiste un bisogno di appartenenza cioè siamo una
specie sociale a abbiamo una tendenza a costituirci in gruppo con gli altri
perché questo è vantaggioso per la sopravvivenza
sella specie. In natura, un animale isolato dal brando è destinato a campare
poco
- Anni 2000: motivazioni di tipo più esistenziale
quale l’Incertezza sull’identità cioè
il gruppo ci aiuta a sapere chi siamo e la famosa Gestione del terrore, cioè il gruppo ci difende rispetto alla
sensazione di essere vulnerabili ed esposti al pericolo della morte. Il gruppo
ci darebbe maggior solidità rispetto all’incertezza della vita.
Se è così
importante essere inclusi in un gruppo è altrettanto vero che l’esclusione da un gruppo è un’esperienza dolorosa. Si parla ad esempio
di ostracismo chiamato “cyberball”
per indicare quel fenomeno di deliberata esclusione che un gruppo opera su uno
dei suoi membri. Questa esperienza è fonte di disagio su 4 dimensioni:
-
Appartenenza: la persona esclusa di sente meno
parte del genere umano
-
Controllo: gli sembra di non poter più poter
decidere del mondo attorno a sè
-
Autostima: si abbassa l’autostima
-
Significato: significa che quando veniamo
esclusi ci sembra che la vita abbia meno senso
L’esperimento
famoso che viene citato è quello nel quale tre persone (Tizio, Caio e
Sempronio) si devono passare la palla. Se Tizio e Caio incominciano a passarsi
la palla solo tra di loro e non la passano mai a Caio, si genera l’oggetto
dell’ostracismo.
In conclusione, possiamo
affermare che è necessario che in ogni contesto sportivo venga curato nei
minimi dettagli il “sistema gruppo” anche perché un gruppo ben strutturato ben gestito,
con una buona qualità delle relazioni interne può mettere in campo risorse
nettamente superiori rispetto al singolo individuo.
Ecco perché ogni
allenatore oltre alle conoscenze tecniche, tattiche, condizionali, ha il
compito di conoscere le dinamiche di relazione dei gruppi, per mettere a
proprio agio ogni atleta al fine di rendere il proprio gruppo sempre più
efficace, efficiente e vincente.
Nei prossimi
giorni vi parlerò di un altro argomento collegato alla psicologia dei gruppi
vale a dire quello relativo alle principali teorie sulla Leadership.
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