lunedì 29 aprile 2019

Sondaggio di Trento per Stephane Boyer?


Da iVolleyMagazine.it


Sondaggio di Trento per Stephane Boyer?

A Verona quello che appariva come un futuro tranquillo, senza voli pindarici ma senza grandi stravolgimenti all’indomani della fine dei play off, si sta trasformando in una situazione abbastanza indecifrabile. Il mancato rinnovo di Matey Kaziyski ha aperto una pagina nuova. 
L’Arena a firma Marzio Perbellini scrive di un interessamento di Trento per Stephane Boyer: “Ha un altro anno di contratto con la Bluvolley ma non sono poche le società che gli hanno messo gli occhi addosso e Verona deve capire come muoversi. Andare avanti un’altra stagione con il talento transalpino o monetizzare? Pare, ma non c’è nessuna conferma in merito, che interessi molto a Trento e che la società di Diego Mosna stia sondando il terreno per portalo ai piedi delle Dolomiti. Ma è un giocatore che non si può lasciare andare se prima non c’è almeno più che una idea solida per sostituirlo”.

Verona dovrebbe confermare Spirito in regia, Solè e Birarelli al centro e finalmente schierare Jaeschke che si è ripreso dall’infortunio. Dati in partenza gli iraniani Manavi e Sharifi, in bilico Alletti e De Pandis.

mercoledì 24 aprile 2019

NAVIGANDO TRA GLI OPPOSTI. DAL 4-2 ALLA SPECIALIZZAZIONE. Di Filippo Vagli


Riportiamo l’articolo che Filippo Vagli ha scritto per la rivista on-line di pallavolo Volleyball.it
pubblicato nella rubrica denominata “A spasso nel tempo”

NAVIGANDO TRA GLI OPPOSTI. DAL 4-2 ALLA SPECIALIZZAZIONE. Di Filippo Vagli

Uno dei ruoli che più di ogni altro ha cambiato radicalmente aspetto tra la pallavolo dei primi anni ’80 e quella odierna è quello dell’opposto, quel giocatore che nella rotazione di partenza viene schierato in diagonale (da qui il termine “opposto”) rispetto al palleggiatore.
Fino alla fine degli anni ’70 la maggior parte delle squadre di pallavolo si schierava in campo con la formula del doppio palleggiatore e quindi il ruolo dell’opposto non esisteva. Ogni squadra aveva in campo non uno ma bensì due registi che, a turno, si occupavano di alzare i palloni per i propri attaccanti. Di norma, tra i due, era quello di seconda linea che fungeva da alzatore, in modo tale da avere sempre tre attaccanti da poter sfruttare in prima linea: lo schiacciatore di zona quattro, il centrale e il palleggiatore di prima linea.  Con questo tipo di schieramento, l’alzatore, nelle tre rotazioni in cui si trovava in prima linea, era un vero e proprio schiacciatore da posto due, zona che un tempo veniva denominata “fuori mano”.
In Italia, l’allora Cus Torino targato Robe di Kappa del Professor Silvano Prandi conquistò ben quattro scudetti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 (precisamente nella stagioni 78/79, 79/80, 80/81 e 83/84) sfruttando questo modulo grazie alla possibilità di poter schierare nel doppio ruolo di regista/attaccante campioni estremamente dotati sia nel fondamentale del palleggio che in quello dell’attacco, del calibro di Piero Rebaudengo, Gianni Lanfranco (che diventerà negli anni ’80 uno dei centrali più forte di tutti i tempi della pallavolo Italiana) e un giovanissimo talento di Massa, quel Fabio Vullo che nel ruolo di palleggiatore unico, diventerà negli anni successivi uno dei totem della pallavolo Italiana.
Furono però quelli gli ultimi squilli di tromba per il cosiddetto 4-2, il sistema di gioco che prevedeva la presenza in campo di quattro attaccanti e di due alzatori. I primi anni ’80 videro infatti privilegiare per la maggior parte delle squadre la soluzione con un solo alzatore in sestetto e la relativa sostituzione di uno dei due palleggiatori con un ruolo nuovo, quello dell’opposto. I primi opposti, negli almanacchi dell’epoca venivano denominati come “universali” e già da questa definizione si può intuire quali caratteristiche doveva possedere chi ricopriva tale ruolo. La principale tra queste era quella di possedere una buona tecnica in generale, attraverso la quale questo giocatore doveva riuscire a destreggiarsi bene in tutti i fondamentali, anche senza eccellere in qualcuno di questi, al fine di commettere il minor numero possibile di errori e dare equilibrio alla propria squadra. In primis gli veniva richiesta buona qualità nel fondamentale del palleggio, dal momento che quando l’attacco della squadra avversaria veniva difeso dal palleggiatore, era proprio l’opposto ad occuparsi di alzare e di organizzare quindi l’azione di rigiocata della propria squadra. Doveva poi possedere buone attitudini nel fondamentale della ricezione della battuta avversaria dal momento che di norma veniva impiegato nella linea di ricezione in tutte e tre le rotazioni in cui si trovava in seconda linea, così come doveva essere dotato di buona manualità nel fondamentale dell’attacco. Un attaccante tendenzialmente più tecnico che potente, dal momento che sferrava i suoi attacchi solo dalla prima linea e sempre con l’attacco a tre, e quindi insieme al centrale e allo schiacciatore di zona quattro. Anche a muro doveva garantire una buona capacità di tenuta, considerato che il giocatore che mura in posto 2 è chiamato a fronteggiare gli attacchi provenienti dal posto quattro avversario, zona in cui venivano concentrati la maggior parte degli attacchi nella pallavolo di quegli anni.  
La pallavolo italiana dei primi anni ’80, ha avuto grandi interpreti in questo tipo di ruolo, tra cui possiamo ricordare Giorgio Goldoni, universale della Panini Modena e della Veico Parma, Maurizio Ninfa catanese della Santal pluriscudettata di Kim o Chul, il modenese Rodolfo Giovenzana, l’ex di Sassuolo, Modena e Montichiari Mauro Di Bernardo, Ernesto Pilotti, vincitore di tre scudetti e una Coppa Campioni nella Torino di Silvano Prandi e molti altri ancora. Tutti atleti non particolarmente “fisicati” ma dotati principalmente di grande tecnica, intelligenza tattica e ottima efficienza, quell’indice così importante nell’economia di una squadra di volley, che rileva la capacità di un’atleta di mettere a segno punti per la propria squadra commettendo il minor numero di errori possibile.
Fu intorno alla metà degli anni ’80 che la figura dell’opposto incominciò ad evolvere verso soluzioni diverse. Tutto ciò avvenne quando alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, una grandissima nazionale fece irruzione sulla scena internazionale, non solo vincendo la medaglia d’oro olimpica, ma stravolgendo completamente quella che era stata la pallavolo fino a quel giorno. Stiamo parlando della grandissima nazionale statunitense guidata da Doug Beal, Coach che rivoluzionò la pallavolo mondiale introducendo un concetto fino ad allora mai utilizzato nella pallavolo, quello della specializzazione. La squadra a stelle e strisce era organizzata in campo con soli due uomini, Karch Kyraly e Aldis Berzins, gli schiacciatori di zona quattro (vere e proprie macchine in questo fondamentale), impegnati nella ricezione a tutto campo sei rotazioni su sei, con un terzo giocatore (il centrale di seconda linea) che entrava nella linea di ricezione soltanto in occasione di ricezione di una battuta in salto della squadra avversaria. L’opposto, l’ex universale, escluso da compiti di ricezione viene quindi trasformato in un attaccante puro, da prima e da seconda linea (da posto 1) sia in fase di cambio palla (allora si giocava ancora con quel tipo di sistema) che in fase di rigiocata/punto. La nazionale USA in quel ruolo schierava Pat Powers, straordinario attaccante di 195 centimetri che nella seconda metà degli anni ’80 deliziò anche le platee italiane esibendosi nell’allora Bistefani Torino. A Powers, Doug Beal, chiedeva due cose: attaccare (compreso quando era in battuta) e di murare. Due sole cose, ma eseguite in maniera perfetta, con percentuali nettamente superiori ai colleghi di ruolo delle altre squadre. Da quel momento, l’eventuale secondo tocco, in caso di difesa del palleggiatore, sarebbe diventato di competenza del centrale di prima linea.
Ecco che anche in Italia, osservando quello che stava accadendo oltreoceano, le cose iniziarono a muoversi in quella stessa direzione. Nella stagione 1983/84 il Kutiba Falconara “ammazza grandi” guidato da Marco Paolini schiera nel ruolo di opposto il compianto Gianfranco Badiali, atleta con caratteristiche fisico-tecniche che incominciano ad avvicinarsi a quelle degli opposti moderni. La Santal Campione d’Europa nella stagione 1984/85 utilizza nel ruolo di opposto Pier Paolo Lucchetta, atleta potente di 202 centimetri, con compiti di attaccante puro, da prima e da seconda linea. E nel 1988 la nazionale azzurra, che proprio in quell’anno diventerà per la prima volta nella sua storia campione d’Europa, schiererà nel ruolo di opposto Andrea Zorzi, 201 centimetri, grandissimo attaccante destinato a diventare uno dei più forti opposti della pallavolo internazionale. Quell’Andrea Zorzi che nel 1990, vincendo la gara a distanza con il campione cubano Joel Despaigne, uno dei più grandi opposti della pallavolo mondiale, diede un contributo di straordinaria importanza all’Italia nel riuscire a vincere il primo dei suoi tre titoli iridati consecutivi (1990 – 1994 – 1998), i primi due sotto la guida tecnica del grande argentino Julio Velasco e il terzo con in panchina un genio brasiliano, il compianto Paulo Roberto de Freitas, più noto al grande pubblico come Bebeto.
Da quegli anni, l’opposto è diventato sempre di più un atleta dal grande fisico, dotato di notevoli doti di salto (oggi i migliori colpiscono il pallone a 3,70 metri di altezza circa) e di potenza, a cui le proprie squadre fanno ricorso quando i palloni da attaccare scottano, così come quando sono obbligate a giocare in modo scontato, con palla alta contro muri composti da due o tre uomini. Atleti che hanno legato in modo indissolubile il proprio nome alle grandi vittorie delle proprie squadre. Come non ricordare, solo per citarne alcuni, Steve Timmons, prima grande centrale e poi formidabile opposto statunitense (così come il nostro Alessandro Fei) vincitore di due ori e un bronzo olimpico, Marcelo Negrao, brasiliano, medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1992 di Barcellona nonché vincitore di più Word League, Dimitrij Fomin, straordinario opposto nato a Sebastopoli e plurivincitore di titoli nazionali ed internazionali con Ravenna, Treviso e nazionale Russa, Ivan Miljković, serbo, 206 centimetri di muscoli, campione a Macerata. Fino ad arrivare ai giorni nostri dove campioni quali il russo Maksim Michajlov, lo statunitense Matthew Anderson, il serbo Aleksandar Atanasijević e il nostro Ivan Zaitsev, rappresentano i terminali offensivi più importanti per le proprie squadre. Veri e propri punti di riferimento in uno sport dove, per vincere le partite, mettere la palla per terra, rappresenta sempre più un elemento di fondamentale importanza.


martedì 23 aprile 2019

JULIO VELASCO: Voglio un tifo “pro”.


JULIO VELASCO: Voglio un tifo “pro”.

Queste le dichiarazioni di Julio Velasco in vista della gara 4 della semifinale scudetto tra Modena e Perugia in programma a Modena giovedì 25 aprile.
Parole mai banali le sue, che contengono la vera essenza dello sport.

“Vorrei dire due cose, la prima riguarda i nostri tifosi. Vorrei una curva sempre ‘pro’, una tifoseria che si caratterizzi per l’affetto verso la propria squadra, non contro l’avversario. Ci sono stati episodi – come gli insulti a Piano, altri a seguire, ora i fischi a Lorenzo. Quando li sento soffro, soffro tantissimo. Lui, Cantagalli, Lucky, Giangio… sono tutti i miei ragazzi… Voglio un pubblico caldo e che sostenga la squadra. Da magliette e quant’altro mi dissocio, voglio un bel pubblico, voglio che venga ricordato per la sua bellezza”.

“Su Lorenzo che dire… Io c’ero in quegli anni modenesi. Ricordo a tutti, anche a quei tifosi giovani che a quei tempi erano solo bambini, che Lorenzo non fu il primo a lasciare Modena e non fu il promotore dell’addio di tutti i campioni di allora. Lorenzo ha dato tantissimo a Modena, 4 scudetti, la coppa Campioni, in azzurro ha vinto tutto quello che l’Italia ha vinto. Il trattamento che gli viene riservato è ingiustificato. Mi fa male, lo ripeto. Mi fa male perdere, ma con lui, Giangio, Tofoli, De Giorgi, con tutti quei ragazzi mi fa anche male vincerci contro…  Lorenzo aveva 22 anni, aveva dato tutto a Modena, ricevette una offerta che era irrinunciabile, inutile imputargli colpe che non ha.  Accettò lui – e non poteva rinunciare – come tutti gli altri. Se poi come avversario appare antipatico, beh lui è così. Quando investe un ruolo, una maglia è una persona che da tutto. Ma lo faceva anche per Modena contro gli altri”.

lunedì 22 aprile 2019

MAURO BERRUTO: Il mio Volley


In questo bell'articolo l'ex C.T. della nostra nazionale, Mauro Berruto, ci offre la sua interpretazione sul perchè la pallavolo fra tutti gli sport di squadra è lo sport di squadra per eccellenza

MAURO BERRUTO: Il mio Volley

Il volley: il vero gioco di squadra

Il volley è lo sport più di squadra fra gli sport di squadra. Basta pensare ad alcune caratteristiche specifiche del gioco. Il volley, prima di tutto, è uno sport il cui regolamento impedisce agli atleti di bloccare la palla e di toccarla due volte consecutivamente. Questo fatto capovolge il concetto di “campione”: nel calcio il prototipo del campione proprio colui che è capace di  scartare la difesa avversaria al completo e segnare il goal. Nel basket il campione per eccellenza è l’atleta capace di catturare il rimbalzo in difesa e dopo un entusiasmante coast to coast andare a schiacciare nell’anello dalla parte opposta del campo. Nel rugby il campione è chi riesce a correre metri e metri con l’ovale in mano trascinando al traino difensori inutilmente aggrappanti alla sua maglietta e ai suoi pantaloncini. Le azioni che ho descritto sono quelle che strappano i più grandi applausi, che fanno sognare i tifosi. Nel volley  tutto ciò non solo è impossibile, ma impedito dal regolamento che impone, al contrario, il passaggio. E il passaggio coinvolge, in ogni azione, il 50% della squadra perché (anche se tutti si muovono funzionalmente alla costruzione dell’azione e alla realizzazione di un progetto offensivo o difensivo che sia) tre giocatori su sei sono sempre direttamente coinvolti nell’azione toccando fisicamente la palla.
La seconda caratteristica che connota il volley come gioco di squadra è legato alla “densità” di occupazione del territorio. Infatti sei giocatori in campo (sette in totale considerando il libero) si devono muovere in maniera freneticamente coordinata in uno spazio dalle dimensioni contenutissime: ottantuno metri quadrati all’interno dei quali sei atleti di due metri devono rincorrere uno strumento che viaggia più di cento chilometri orari, fondando i propri schemi difensivi su trenta centimetri di spazio lasciato più o meno libero agli attaccanti avversari, organizzando schemi offensivi dove l’attaccante e la palla devono trovarsi venti centimetri più in alto o più in basso o qualche spanna più vicino o lontano al palleggiatore. 

Egoismo di gruppo

Mi piace considerare la squadra, dunque, come la cosa più importante. Più importante dei singoli giocatori, più importante dell’allenatore. Mi piace quando i tabellini dei match che disputiamo ci mostrano grande democrazia nella realizzazione dei punti, mi piace quando il nostro palleggiatore riesce a mandare tutti i cinque attaccanti oltre i dieci punti. Mi piace considerare la squadra come un organismo, dove tutti gli organi sono vitali e in relazione diretta gli uni con gli altri. Sono in costante ricerca della realizzazione di una definizione: “egoismo di gruppo”.  Questo “egoismo di gruppo” lo rincorro non solo nella gestione degli atleti ma anche nell’organizzazione dello staff che è una vera squadra nella squadra. Sono felice quando tutti coloro che insieme a me lavorano al servizio della squadra sono convinti di aver fatto almeno una cosa utile per il match: un’indicazione tattica, un massaggio, una buona seduta di pesi e di lavoro fisico, la miglior terapia medica, la migliore organizzazione possibile della trasferta, un dato statistico che ci indica l’efficienza di un fondamentale. Questi sono banali esempi di come l’assistente allenatore, il fisioterapista, il preparatore atletico, il medico, il team manager o lo scoutman possano essere totalmente coinvolti nel progetto del match e sentirsi completamente partecipi della vittoria (come della sconfitta…) domenicale. Se ogni persona dello staff, come ogni giocatore, sa esattamente che cosa sta facendo e perché lo sta facendo i ruoli saranno chiari e ben definiti e il livello di maturitá del gruppo intero salirá vertiginosamente. Non atleti maturi, bensí un team maturo e consapevole é condizione necessaria per ottenere successi nel nostro sport.

Poche idee ma molto chiare

Credo che il più bravo degli allenatori sia quello che ha  poche idee ma molto chiare. E soprattutto colui che riesce a fare si che queste poche idee chiare siano trasmesse in modo altrettanto chiaro e siano poi messe in pratica in modo corretto. Il parametro per giudicare un allenatore (di pallavolo, ma non solo) non è quello di capire quante e quanto complicate sono le sue idee ma con quanta forza  riesce a trasmetterle  ai suoi atleti, quanto i suoi atleti credono e si riconoscono in quelle idee e con quale qualità le applicano sul campo da gioco. Le grandi squadre non fanno cose diverse, ma le fanno meglio. In particolare fanno molto meglio le cose semplici: un appoggio, un palleggio di secondo tocco, la gestione di un free-ball. Io ho qualche idea sull’organizzazione del gioco, sulla tecnica, sulla tattica, certo. Ma soprattutto ho un’idea che determina tutto ciò che faccio, che ossessivamente ripeto e nella quale credo fortissimamente: che la pallavolo sia uno sport in cui solo la squadra fa la differenza. La squadra è un valore “sacro” da inseguire e che si raggiunge solo attraverso il sacrificio individuale della propria voglia di protagonismo, solo mettendosi al suo servizio anche e soprattutto quando questo rappresenta un sacrificio dal punto di vista tecnico (per esempio attaccando meno palloni). Il lavoro di noi allenatori? Trovare il primo giorno della preparazione dodici atleti diversi per lingua, cultura, razza, religione, modo di allenarsi e di intendere la pallavolo e creare una squadra che parla la stessa lingua, nella quale l’altruismo sia forza trainante. Permettere ai giocatori di crescere come atleti e come individui nel momento in cui consapevolmente decidono di subordinare loro stessi allo sforzo di gruppo. Questo è il lavoro di un allenatore. Un lavoro privilegiato perché nella felicitá del successo come nel momento della delusione, permette il ripetersi di questo miracolo di stagione in stagione.   

                                                          
                                                                                               

giovedì 18 aprile 2019

Carl McGown: Biomeccanica della schiacciata



Carl McGown è un Hall of Famer di pallavolo. Laureato al Long Beach City College nel 1961, ha conseguito un master in educazione fisica nel 1964 presso la BYU. McGown ha allenato la squadra di pallavolo maschile della Brigham Young University per 13 stagioni. Per due volte, ha vinto gli onori dell'AVCA National Coach of the Year.

E’ stato allenatore della squadra nazionale di pallavolo maschile degli Stati Uniti dal 1973 al 1976 ed è diventato consigliere tecnico della squadra nazionale nel 1980. Ha allenato la squadra statunitense in sette giochi olimpici e sette campionati del mondo.

L'allenatore di pallavolo femminile della University of Washington, Jim McLaughlin, ha nominato la McGown per la American Hall of Fame dell'American Volleyball Coaches Association. Egli ha detto: “A causa dei suoi metodi di allenamento, dei sistemi e della preparazione delle partite, è il miglior allenatore di pallavolo negli Stati Uniti e, probabilmente, nel mondo di oggi."

È anche un autore affermato, avendo lavorato su sei libri e apparendo in numerose pubblicazioni e riviste accademiche e nel 1993 esce il suo libro: “Allenare la pallavolo scientificamente” di cui pubblichiamo un capitolo dedicato alla Biomeccanica della schiacciata.

Biomeccanica della schiacciata

Data la complessità dell’argomento, tralasciamo la parte generale e focalizziamo l’attenzione solo su un aspetto: la schiacciata. Anche qui gli aspetti sono numerosi, per questo è meglio scremare ulteriormente l’argomento considerando solo gli aspetti principali, in particolar modo sull’approccio all’attacco.
La velocità nei movimenti è l’elemento fondamentale nell’attacco. Ai massimi livelli i giocatori si scagliano sulla palla con velocità da sprinter usando delle tecniche nei loro movimenti. L’impulso prodotto dalla somma di queste tecniche si trasferisce alla palla ed appunto la velocità impartita alla palla deriva dai seguenti fattori:
- La velocità lineare dell’attaccante nella direzione d’attacco
- La rotazione del busto dell’attaccante
- La velocità del braccio
- La velocità di frustata del polso
- La velocità di caduta dell’attaccante (il carico di caduta prima che la palla sia toccata)
- La dimensione della mano
- La rigidità della mano
- La percentuale di forza applicata sul centro della palla

Nella tecnica tradizionale d’attacco, lo schiacciatore salta ed atterra quasi nello stesso punto del campo. Utilizzando questa tecnica l’attaccante avrà alcuni vantaggi (meno probabilità di mancare la palla, poche possibilità di saltare addosso alla rete) però non ha velocità lineare, infatti capita spesso di cadere o ruotare all’indietro appena toccata la palla.

Gli schiacciatori più forti al contrario eseguono una rincorsa molto veloce nella direzione dell’attacco e un salto molto ampio in avanti per poi colpire la palla ricadendo ad 1-2 metri di distanza. Una parte dell’impulso prodotto da questo tipo di rincorsa si trasforma anche in elevazione (contribuendo a migliorare l’altezza del salto), un’altra parte invece può essere trasferita alla palla se il corpo riesce a mantenere un po’ di spinta in avanti. Inoltre, il salto in lungo permette di colpire la palla in uno spazio più ampio in volo, a differenza dell’attacco sul posto. Se la rincorsa dell’attaccante è perpendicolare all’alzata un salto in avanti aumenta la profondità della zona dove si può colpire. In questo modo possono essere rimediate eventuali imprecisioni dell’alzata. Il salto in lungo esige anche che la palla sia più staccata da rete rispetto all’attacco sul posto, creando dei vantaggi come le maggiori possibilità di evitare il muro.

Un tipo di attacco tradizionale prevede una rincorsa quasi sempre perpendicolare sia alla rete che all’alzata e lo stacco a due piedi. Al momento dello stacco il braccio che colpisce deve essere più lontano dalla rete rispetto all’altro. Questo è un fatto relativamente naturale per un destro che attacca dalla sinistra del campo (e per un mancino che attacca da destra). I problemi arrivano quando un destro attacca da destra: spesso l’attaccante ruota girando le anche verso sinistra (per vedere meglio l’alzata) provocando una notevole perdita di spinta ed una situazione biomeccanica negativa. Questo è dato dal fatto che l’attaccante destro è abituato a fronteggiare l’alzatore che è verso il centro del campo. Attaccando da sinistra va bene, ma da destra l’anca e il braccio che deve colpire si ritrovano invertiti, cioè più vicini alla rete dell’altro, in una peggiore situazione biomeccanica. Attaccando da destra la soluzione è mantenere le anche parallele alla rete. In questo modo lo schiacciatore può produrre una spinta di rotazione considerevole che viene trasferita alla palla. Un trasferimento efficace avviene se il busto smette di ruotare mentre il braccio comincia il suo movimento in avanti ed un’azione a frusta coinvolge il braccio. Tutte queste considerazioni ovviamente restano intese valide per un destrorso e invertite per un mancino.

Lo schiacciatore comunque può scegliere di effettuare la rincorsa con angolazioni diverse. Ne è un esempio  la rincorsa a scivolo, usata spesso nel femminile (dalla zona 3 alla 2 con stacco a un piede), dove la rincorsa è quasi parallela sia alla rete che all’alzata. Gli angoli della rincorsa possono anche corrispondere ad un fatto personale, alle preferenze dell’allenatore con le esigenze della squadra. Di solito il giocatore destro esegue una rincorsa dalla parte sinistra del campo con un angolo di 45° rispetto alla rete, dal centro con un angolo di circa 90° e dalla destra del campo ancora con una rincorsa vicina ai 90° con una tendenza però a rientrare verso il centro del campo.
Per un giovane attaccante è importante anche imparare in modo corretto a utilizzare i passi della rincorsa. Il numero di passi può essere variabile dalla situazione e dalla distanza dalla rete. In genere solo gli ultimi due passi determinano la correttezza del modello di rincorsa. Di seguito verrà discusso il modo di utilizzare i piedi per l’attaccante destro (per l’attaccante mancino il modello è simile, ma invertito).

Poniamo un giocatore che arrivi, con più o meno passi, con il piede sinistro sulla linea dei 3 metri. Qui l’attaccante fa il passo lungo col piede destro, seguito dal passo di chiusura col sinistro, con quest’ultimo che si pone leggermente davanti all’altro. Il tutto con la posizione dei piedi rivolti nella stessa direzione della rincorsa. Poi c’è il salto (a circa 1,5 m. dalla rete), la schiacciata e la ricaduta (a circa 30-50 cm. dalla rete) che deve essere morbida, su due piedi, attutendo l’atterraggio piegando le ginocchia e mantenendo la schiena dritta. Questo è il modello universalmente conosciuto e più usato nella didattica della rincorsa della schiacciata, anche se esistono svariate concezioni e sfumature (soprattutto nella direzione dei piedi).

E’ interessante osservare lo schiacciatore da dietro. Immaginiamo di fotografare il giocatore nel momento in cui attacca: si dovrebbe vedere una linea di forze. La linea di forza per un attaccante destro dovrebbe partire dal punto di contatto tra la mano e la palla, attraversare il braccio d’attacco, il centro di gravità, la gamba sinistra dell’attaccante per finire nel piede sinistro. Questa linea per essere corretta deve essere verticale.  Un giocatore che schiaccia la palla in questo modo riesce a dare molta più velocità alla palla, controllarla e impattarla alla massima altezza. Di contro l’allontanarsi da questa linea può ridurre sia la potenza che il controllo, contribuendo inoltre all’insorgere di infortuni alla spalla. Per uno studio più approfondito esistono molti altri aspetti. Tuttavia, possono essere sufficienti gli elementi per una immediata analisi.

Perché la biomeccanica è importante?
Qualsiasi movimento può essere analizzato dalla biomeccanica, che è appunto lo studio della fisica del movimento. Gli atleti inconsapevolmente violano i principi per un movimento efficiente e gli allenatori cercano le soluzioni. I fondamentali della pallavolo, per esprimersi al meglio delle possibilità, quasi sempre devono seguire principi biomeccanici corretti. In tal modo non solo si hanno prestazioni di alto livello, ma si riducono anche gli infortuni. Lo studio della biomeccanica è complesso e le sue scoperte sono difficili da valutare ed utilizzare dai praticanti. Tuttavia, ci sono dei principi di base che si possono facilmente osservare come la posizione più efficace sul campo, la posizione iniziale del corpo e le meccaniche di movimento.

I problemi biomeccanici possono essere risolti in molti modi, ma i successivi tre passi dovrebbero essere presi in considerazione:
1) riconoscere che c’è un problema
2) identificare il difetto biomeccanico
3) allenare l’atleta ad eseguire la tecnica corretta secondo i principi biomeccanici.


venerdì 12 aprile 2019

Volley Story: “IO SENTO CIÒ CHE DEVO FARE”. Peter Blangè – Avital Selinger



Volley Story
Siamo alla fine anni ’80 e su un magazine di Volley internazionale viene pubblicata questa interessante conversazione con due grandi alzatori della squadra nazionale olandese. La traduzione non è perfetta ma è un ottimo spaccato della pallavolo dell’epoca.

“IO SENTO CIÒ CHE DEVO FARE”
Peter Blangè – Avital Selinger

Peter Blangè è l’alzatore più alto a livello mondiale, due metri e zero cinque. Gioca nel sestetto base della nazionale olandese. Il suo compagno, Avital Selinger, l’altro palleggiatore della squadra, è trenta centimetri più piccolo, buon tecnico, sovente caratterizzato tatticamente come testa pensante. Di Blangè si dice che non sia ancora un fine e tecnico ma che possiede ugualmente certi vantaggi su Selinger. Per il fatto che egli può facilmente toccare dei palloni molto alti egli provoca un'accelerazione incredibile al gioco. Il muro avversario deve costantemente e attentamente osservare questo alzatore olandese, per il pericolo che egli rappresenta quando gioca tatticamente il pallone. I due alzatori trovano le caratteristiche che gli sono attribuite piuttosto complementari.

Selinger. Blangè e là per fare delle alzate, egli e della squadra. Se un osservatore stima che egli è un buon alzatore perché egli ha potuto inviare cinque palloni del suolo, egli potrà così ben giocare attaccante a questo posto. Ma Peter non sarà alzatore se non possiederà le capacità di eseguire delle buone alzate. Forse per la sua taglia egli è meno forte in difesa che ho giocato alle più piccolo. Peter è talvolta più prestativo, talvolta più di me. Ciò dipende dall'avversario. Di fronte a certi avversari, un buon muro e una carta importante. Questa carta diventa meno importante di fronte ad altre squadre.
Blangè: Non è veramente importante sapere chi di noi due gioca nella squadra. Se una squadra gioca bene con un alzatore con dieci dita rigide, che distribuisce dei palloni alti all’ala, perché dunque porsi dei problemi? Certamente esiste un’immagine di alzatore ideale. Noi non possediamo questo giocatore e ciò significa che dobbiamo adattarci. Oggi noi giochiamo con una squadra che è ben riuscita ad adattarsi alle mie qualità. Chissà, forse con un'altra squadra forse ciò sarebbe un insuccesso. La cosa più importante e la maniera di integrarsi in una squadra .

Se lasciamo da parte queste caratteristiche, quali descrizioni date alle vostre competenze?

Blangè: E difficile da dire; io mi considero abbastanza indifferente nelle situazioni dove bisogna prendere delle decisioni. Per conto prendo sempre molti rischi. Talvolta ciò non riesce, ma se riesce, ciò è bello. Si è capaci di fare qualche cosa. Oggi il gioco semplice non cammina più.
Selinger: Io gioco un gioco. Esistono certi bersagli dove il pallone deve andare. Se il pallone non arriva, noi siamo inquieti. Certo, si può dire che un buon attaccante si suppone che sia capace di fare qualche cosa di buono con qualsiasi alzata ma si attende da me un'alzata perfetto.

Come trattate un attaccante della vostra squadra che non è in forma?

Blangè: Io gli do il più sovente possibile la sua alzata preferita. Se per esempio, non riesce con delle alzate alte all’ala ma se al centro egli riporta dei successi, io provo allora a lasciarlo giocare al centro.
Selinger: Io provo a dargli delle alzate ancora migliori. Io mi sento responsabile per l'attacco. Se qualcosa non va, sono io che devo risolvere il problema. Il mio compito è quello di far giocare i miei compagni. Devo agire in maniera che ciascun attaccante possa prendere fiducia. Se uno è in una cattiva giornata,  io devo dargli delle alzate facili. Io posso anche lasciargli bloccare il muro avversario, così l'attacco diventa più facile per un altro giocatore. Il giocatore che riesce a bloccare un avversario ha reso un servizio importante la sua squadra. Se questa soluzione non riesce più, l'allenatore deve cambiare questo giocatore. Se l'allenatore non lo fa, il resto della squadra deve lavorare ancora più duramente.

Durante le partite voi vi confrontate con situazioni sconosciute. Dovete allora prendere delle decisioni rapide. Come lo fate?

Blangè: Ciò può sembrare forte forse un po’ fuori posto, ma non mi sento preoccupato di dover prendere delle decisioni. Io le prendo automaticamente. E’ solamente dopo che posso valutare se ho scelto una buona o una cattiva soluzione. E’ un automatismo punto. Io sento ciò che la difesa avversaria va a fare a rete, anche se non la vedo. Io ho degli occhi nel dorso. Certo, bisogna avere molte conoscenze tattiche, bisogna conoscere i punti deboli dell'avversario e i punti forti della propria squadra. Ma penso sempre che fare delle alzate sia una questione di sensibilità.
Selinger: Io penso a ciò che devo. Fare delle alzate è una lotta tra l'alzatore e il muro avversario. Quest’idea è costantemente nella mia testa. Ciò che io penso, ciò che ho da fare, è sempre, in una maniera o in un'altra, la buona soluzione. Se non sarà così, l'allenatore mi sostituirà.

Voi vi allenate molto e parlate sovente di pallavolo. Potete sempre apprendere qualche cosa?

Selinger: Io spero di poter apprendere qualcosa ogni giorno della mia vita. All'inizio si apprende molto, in seguito si è apprende meno, ma l’importanza è la stessa. Se ho l'impressione di non apprendere più niente, io provo un trucco. Per esempio, in allenamento, metto talvolta i piedi in un'altra maniera di come lo faccio normalmente e ne ricerco l’effetto. E’ difficile dire in quale direzione io improvviso. Io non ho giocato molto in questi ultimi due anni. Ho giocato alcune partite contro gli Stati Uniti e la nostra squadra si è ben comportata. La prestazione individuale non è così importante. Ciò che è determinante e la prestazione della squadra. Se la squadra gioca bene, ciò significa che anche la mia prestazione è stata buona. Gli avversari sono diventati più competitivi. I muri sono più rapidi e più efficaci. Ciò mi obbliga a trovare delle soluzioni migliori. E’ necessario sviluppare delle nuove capacità che permettano di eseguire una buona tattica al fine di mettere fuori posto il muro avversario. La precisione è diventata molto importante. Una buona alzata rappresenta una questione di centimetri.
Blangè: Io ho appreso da Avital ciò che significa uno spostamento efficace. Io non sono mai stato un vero atleta. Mi sono allenato molto per padroneggiare gli spostamenti. Certo, dopo i Campionati d'Europa del 1987 io ho appreso molto. Noi abbiamo sovente incontrato dei buoni avversari. Ho progredito tatticamente. All'inizio ero molto più centrato su me stesso, adesso mi concentro molto più sul gioco dell'avversario e dei miei compagni.

Secondo voi qual è il compito più difficile della da realizzare per un alzatore?

Selinger: L'alzata alta perfetta all’ala. Essa sembra così facile, ed è per questa ragione che è veramente difficile da realizzare.
Blangè: Per me la cosa più difficile da accettare il fatto che non arrivo a da schiacciare molto forte. Ma in allenamento ogni volta l'occasione si presenta io ne approfitto con piacere

Quali sono i vostri alzatori preferiti?

Blangè: Anche se non gioca più nella squadra russa, ho molto ammirato il gioco di Losev. Egli mentre giocava dava l'impressione di essere molto rilassato, ma sapeva esattamente ciò che doveva fare, e non faceva errori. Io ho appreso enormemente osservando simili alzatori. Un altro alzatore attore preferito è Kantor. Della nazionale argentina. Egli è aggressivo, possiede il senso del gioco, e si rivela un ottimo alzatore. Possiede delle buone qualità in difesa, come Avital. E come alzatore è molto, molto rapido. Egli padroneggia inoltre una gamma molto variata di alzate.
Selinger: Io amo degli alzatori che hanno la volontà di mettersi interamente al servizio della loro squadra. Un buon alzatore innesca tutte le azioni della sua squadra. Io amo gli alzatori che lavorano duro nel momento in cui la loro squadra ha delle difficoltà durante una partita. E’ così piacevole osservare un alzatore che si sposta rapidamente verso il pallone. Dusty Dvorak, l'ex alzatore della squadra statunitense, era un vero lottatore. Dal punto di vista tecnico non era veramente spettacolare, ma era molto importante per la sua squadra.




domenica 7 aprile 2019

Play Off Scudetto: Quarti di Finale Gara 2




Risultati e tabellini dei match giocati

Vero Volley Monza-Sir Safety Conad Perugia 3-2 (25-17, 25-27, 25-20, 22-25, 15-12); Revivre Axopower Milano-Azimut Leo Shoes Modena 1-3 (25-17, 20-25, 21-25, 20-25) 06/04/2019 ore 18:00; Kioene Padova-Itas Trentino 3-0 (25-22, 26-24, 25-22); Calzedonia Verona-Cucine Lube Civitanova 1-3 (20-25, 23-25, 25-21, 17-25)

Revivre Axopower Milano - Azimut Leo Shoes Modena 1-3 (25-17, 20-25, 21-25, 20-25) - Revivre Axopower Milano: Sbertoli 1, Clevenot 13, Bossi 7, Abdel-Aziz 18, Maar 4, Kozamernik 7, Hoffer (L), Pesaresi (L), Hirsch 0, Izzo 0, Piano 4, Cebulj 4. N.E. Basic, Gironi. All. Giani. Azimut Leo Shoes Modena: Christenson 2, Urnaut 15, Mazzone 9, Zaytsev 19, Bednorz 12, Holt 2, Pierotti (L), Rossini (L), Tillie 2. N.E. Anzani, Van Der Ent, Kaliberda, Keemink, Pinali. All. Velasco. ARBITRI: Puecher, Cappello. NOTE - Spettatori 3.467, durata set: 25', 27', 32', 30'; tot: 114'. MVP: Christenson

Vero Volley Monza - Sir Safety Conad Perugia 3-2 (25-17, 25-27, 25-20, 22-25, 15-12) - Vero Volley Monza: Orduna 2, Plotnytskyi 29, Beretta 3, Ghafour 13, Dzavoronok 21, Yosifov 11, Rizzo (L), Galliani 0, Arasomwan 1. N.E. Calligaro, Botto, Buti, Buchegger. All. Soli. Sir Safety Conad Perugia: De Cecco 0, Lanza 13, Podrascanin 9, Atanasijevic 19, Leon Venero 23, Ricci 6, Della Lunga (L), Piccinelli (L), Colaci (L), Seif 0, Galassi 0, Hoag 0. N.E. Berger, Hoogendoorn. All. Bernardi. ARBITRI: Cesare, Simbari. NOTE – Spettatori: 2.575, durata set: 25', 35', 29', 29', 23'; tot: 141'. MVP: Plotnytskyi.

Kioene Padova - Itas Trentino 3-0 (25-22, 26-24, 25-22) - Kioene Padova: Travica 2, Louati 11, Polo 7, Torres 11, Barnes 9, Volpato 11, Bassanello (L), Lazzaretto 0, Danani La Fuente (L), Cottarelli 0. N.E. Premovic, Sperandio, Cirovic. All. Baldovin. Itas Trentino: Giannelli 3, Van Garderen 1, Candellaro 3, Vettori 12, Russell 12, Lisinac 6, De Angelis (L), Grebennikov (L), Codarin 1, Nelli 0, Cavuto 2. N.E. Kovacevic, Daldello. All. Lorenzetti. ARBITRI: Tanasi, Sobrero. NOTE – Spettatori: 3.251, incasso: 40,646 euro, durata set: 31', 34', 28'; tot: 93'. MVP: Travica.

Calzedonia Verona - Cucine Lube Civitanova 1-3 (20-25, 23-25, 25-21, 17-25) - Calzedonia Verona: Spirito 3, Manavinezhad 5, Solé 7, Boyer 20, Kaziyski 17, Alletti 4, Giuliani (L), Marretta 0, De Pandis (L), Sharifi 2. N.E. Magalini, Birarelli, Pinelli. All. Grbic. Cucine Lube Civitanova: Mossa De Rezende 2, Juantorena 16, Simon 15, Sokolov 15, Leal 14, Cester 4, Marchisio (L), Cantagalli 0, Balaso (L), Kovar 1, Massari 0. N.E. Stankovic, Diamantini, D'Hulst. All. De giorgi. ARBITRI: Boris, Florian. NOTE – Spettatori: 4.402, durata set: 27', 30', 27', 24'; tot: 108'. MVP: Simon.


venerdì 5 aprile 2019

La coppia Uros Kovacevic – Wilfredo Leon si aggiudica il Trofeo Gazzetta 2018/2019



L’ambito premio ideato nel 1973 dal quotidiano “La Gazzetta dello Sport” come premio per il miglior pallavolista della Regular Season, nella stagione in corso se lo sono aggiudicato non uno ma bensì due atleti: lo straripante cubano naturalizzato polacco Wilfredo Leon e lo schiacciatore del Trentino volley Uros Kovacevic.

Secondo e terzo posto per due bomber di nazionalità serba; la piazza d’onore è andata infatti all’opposto campione d’Italia Atanasijevic mentre sul terzo gradino del podio è salito Dusan Petkovic ventisettenne attaccante di Sora che con 508 punti era stato il miglior realizzatore della Regular Season 2017/2018.

Una conferma, qualora ve ne fosse ancora bisogno, della forza dell’ex schiacciatore dello Zenit Kazan e un ulteriore riconoscimento alla grande stagione del mancino di Lorenzetti che fa il bis di soddisfazioni dopo aver conquistato con i Trento il Mondiale per Club 2018, la Coppa CEV 2019 ed il premio come miglior giocatore di quest'ultima manifestazione internazionale. “Sto disputando la miglior stagione della mia carriera e questo riconoscimento offre ancora maggior valore a quello che sto vivendo ― ha affermato Kovacevic ―. Aver conquistato lo stesso numero di punti di Leon e condividere con lui il premio è un grande onore ma la stagione di Trentino Volley va ancora avanti e non voglio accontentarmi o fermarmi proprio ora”.

Questa la classifica finale del Trofeo Gazzetta 2018-2019: 122 punti Leon e Kovacevic, 101 Atanasijevic, 96 Petkovic, 83 Juantorena, 79 Abdel-Aziz, 78 Rychlichki, 75 Sokolov e Boyer, 73 Russell, 72 Clevenot, 70 Leal, 67 Zaytsev, 66 De Cecco e Hernandez, 65 Plotnitskiy e Al Hachdadi, 61 Dzavoronok, 60 Travica, 59 Christenson e Bruno, 58 Urnaut, 57 Podrascanin, 56 Torres e Joao Rafael, 54 Solè, 53 Maar, 52 Vettori, 50 Kaziyski, Lisinac e Giannelli. Altri giocatori di Trentino Volley: 19 punti Grebennikov, 14 Candellaro, 7 Codarin, 5 Nelli, 3 Van Garderen.

mercoledì 3 aprile 2019

SEMIFINALI CHAMPIONS LEAGUE: gara andata



SIR SICOMA COLUSSI PERUGIA – ZENIT KAZAN 2-3 (22-25, 26-24, 25-27, 25-20, 13-15)

KRA  BELCHATOW – CUCINE LUBE CIVITANOVA 0-3 (14-25 20-25 23-25)

Dopo quasi due ore e mezza di gioco sfuma il sogno della Sir Sicoma Colussi Perugia, davanti ai 4000 tifosi del PalaBarton, di avere la meglio sul fortissimo Zenit Kazan.
La gara, come dimostrano i parziali è stata combattutissima e anche il numero dei punti complessivi, 111 per entrambe le squadre, è significativo dell’equilibrio regnato tra le due formazioni.
Meglio Perugia in attacco (60% contro il 56% dei russi) ma notevole la differenza a favore dei russi sia nel fondamentale del muro e ancor di più del servizio, dove Leon, di solito devastante in questo fondamentale, non è riuscito ad incidere chiudendo la gara con zero battute vincente e ben otto errori. Saranno proprio questi due fondamentali a cui Lorenzo Bernardi dovrà riuscire a far cambiare marcia per riuscire ad invertire l’esito di questa semifinale nella gara della prossima settimana in terra ex sovietica.
A livello individuale, in casa italiana Leon miglior marcatore con 25 punti seguito da Atanasijevic con 24, mentre in casa russa il migliore è stato senza ombra di dubbio Ngapeth che ha inanellato una prestazione “monstre” figlia di 22 punti (57%, in attacco),  2 muri, 4 ace e un 31% di ricezione perfetta. Grande partita anche per lo yankee Anderson (20 punti, 4 muri, 83%) che ha dimostrato di sapersi destreggiare ottimamente anche da posto quattro oltreché nel ruolo di opposto mentre leggermente sottotono, in relazione al suo immenso valore, la prestazione dell’opposto Mikhailov (15 punti, 38%).
Mercoledì 10 aprile Perugia si recherà in terra Russa con la consapevolezza che, limando qualche errore e dando maggior qualità al proprio servizio, di poter ribaltare l’esito di questa semifinale, in cui i troppi errori degli umbri hanno spostato la lancetta della bilancia dalla parte degli uomini di Alenko.
Formazioni: Perugia: De Cecco – Atanasijevic, Ricci – Podrascanin, Leon – Lanza, e Colaci libero. Kazan: Butko – Mikhailov, Samoylenko -  Volvich, Anderson - Ngapeth e Verbov libero.

LODZ
Senza storia invece l’altra semifinale, quella disputata all’Atlas Arena di Lodz, dove Civitanova conquista un ottimo 3-0 che gli consente di vedere il traguardo della finale.   
Gli uomini di De Giorgi giocano una gara perfetta in ogni fondamentale, senza sbavatura alcuna, con squilli di tromba in particolare al servizio, dove con 10 ace complessivi di squadra creano voragini nella linea di ricezione dello Skra e a muro (9 i muri punto complessivi)
A livello individuale Bruno è il migliore in campo seguito da Juantorena, miglior marcatore dei marchigiani con 14 punti


martedì 2 aprile 2019

Play Off Scudetto: Quarti di Finale Gara 1: L’analisi



La prima giornata dei Play Off maschili (gara 1) va in archivio senza aver regalato grandi sorprese se non la difficoltà con cui la Cucine Lube Civitanova è riuscita a domare bellissima Verona che per quasi tre ore di gioco ha costretto i marchigiani a sudare le cosiddette sette camicie per avere la meglio davanti ai tremila spettatori dell’Eurosuole Forum di Civitanova Marche. I combattutissimi parziali (32-30, 25-20, 22-25, 23-25, 18-16) testimoniano quanto Verona sia andata vicina a compiere l’impresa che gli avrebbe consentito di portarsi sull’uno a zero nella serie con un Kaziyski monumentale nei momenti importanti della gara sostenuto da un Boyer che con 19 punti conquistati è stato ottima spalla per il fortissimo attaccante bulgaro. In casa Lube da incorniciare le prestazioni di Yoandy Leal, MVP della gara, autore di 28 punti col 60% in attacco del solito Sokolov (27 punti) e un’importante prestazione di personalità di squadra nei momenti più importanti della partita.
Perugia si impone piuttosto nettamente su Monza che inizialmente pare regge l’urto della potenza dell’armata di mister Bernardi giocando un ottimo primo set perso solo ai vantaggi (31-29). Alla distanza fatica però a tenere il ritmo dei perugini e crolla sotto le loro bordate sia in attacco (59% di squadra in attacco) che dalla linea dei nove metri degli (6 ace). Grande partita in difesa del libero Colaci (MVP del match) e sempre di alto livello la prova di Pippo Lanza, vero equilibratore del gioco degli uomini del presidente Sirci.
L’Itas Trentino pur reduce dalla Finale di Coppa CEV giocata solo pochi giorni prima, stende nettamente la Kioene Padova in soli tre set mettendo ancora una volta in evidenza un grandissimo Kovacevic, MVP del match e sempre più uomo squadra dei trentini, oltre che di un gioco d’insieme di altissimo livello sia nel cambio palla che nei fondamentali di battuta e muro. Per gli uomini di Baldovin positive le prove di Barnes e Torres, gli unici in grado di garantire punti con continuità ai patavini.
Modena infine, nella sfida di sabato che almeno sulla carta pareva essere quella più equilibrata tra le quattro, riesce a chiudere i conti con Milano con un bel 3-0 mettendo in mostra un grandissimo Ivan Zaytsev (MVP del match) e dando l’impressione che anche grazie al ritorno in regia dello statunitense Christenson la squadra possa recitare un ruolo da protagonista in questo finale di stagione. Un pochino sottotono gli uomini di mister Giani che in diversi momenti della gara non riescono a concretizzare alcuni palloni che avrebbero potuto dare al match un andamento diverso. Piuttosto opaca la prestazione di Cebulj, falloso e poco efficacie sia in ricezione che in attacco.



Play Off Scudetto: Quarti di Finale Gara 1



Sir Safety Conad Perugia - Vero Volley Monza 3-0 (31-29, 25-16, 25-11) - Sir Safety Conad Perugia: De Cecco 4, Lanza 8, Podrascanin 7, Atanasijevic 13, Leon Venero 15, Ricci 8, Della Lunga (L), Seif 1, Colaci (L), Hoag 0, Berger 0, Galassi 0, Hoogendoorn 0, Piccinelli 0. N.E. All. Bernardi. Vero Volley Monza: Orduna 1, Plotnytskyi 6, Beretta 2, Buchegger 7, Dzavoronok 8, Yosifov 5, Arasomwan (L), Giannotti 0, Rizzo (L), Galliani 0, Botto 0, Ghafour 1, Buti 2. N.E. Calligaro. All. Soli. ARBITRI: Gnani, Zanussi. NOTE - Spettatori 3.694, durata set: 36', 24', 22'; tot: 82'. MVP: Colaci.

Cucine Lube Civitanova - Calzedonia Verona 3-2 (32-30, 25-20, 22-25, 23-25, 18-16) - Cucine Lube Civitanova: Mossa De Rezende 4, Juantorena 19, Simon 12, Sokolov 27, Leal 28, Cester 4, Marchisio (L), D'Hulst 0, Cantagalli 0, Balaso (L), Kovar 0, Diamantini 1, Massari 0. N.E. Stankovic. All. De giorgi. Calzedonia Verona: Spirito 1, Manavinezhad 12, Solé 14, Boyer 19, Kaziyski 22, Alletti 9, Giuliani (L), Sharifi 1, Marretta 0, De Pandis (L). N.E. Magalini, Birarelli, Pinelli. All. Grbic. ARBITRI: Goitre, Piana. NOTE - Spettatori 3.030, incasso 29.499 euro, durata set: 41', 31', 29', 31', 17'; tot: 149'. MVP: Leal.

Itas Trentino - Kioene Padova 3-0 (25-21, 25-20, 25-23) - Itas Trentino: Giannelli 5, Kovacevic 13, Candellaro 6, Vettori 10, Russell 11, Codarin 4, De Angelis (L), Grebennikov (L), Van Garderen 0, Nelli 0, Lisinac 0. N.E. Daldello, Cavuto. All. Lorenzetti. Kioene Padova: Travica 2, Louati 8, Polo 6, Torres 10, Barnes 11, Volpato 4, Bassanello (L), Danani La Fuente (L), Cottarelli 0, Premovic 2. N.E. Lazzaretto, Sperandio, Cirovic. All. Baldovin. ARBITRI: Bartolini, Zavater. NOTE - Spettatori 3.014, incasso 24.814 euro, durata set: 28', 28', 29'; tot: 85'. MVP: Kovacevic.

Azimut Leo Shoes Modena - Revivre Axopower Milano 3-0 (25-20, 25-14, 27-25) - Azimut Leo Shoes Modena: Christenson 2, Urnaut 12, Mazzone 5, Zaytsev 16, Bednorz 10, Holt 7, Pierotti (L), Rossini (L), Tillie 0. N.E. Anzani, Van Der Ent, Kaliberda, Keemink, Pinali. All. Velasco. Revivre Axopower Milano: Sbertoli 0, Clevenot 11, Bossi 2, Abdel-Aziz 9, Cebulj 8, Kozamernik 3, Hoffer (L), Hirsch 2, Pesaresi (L), Izzo 0, Maar 1. N.E. Innocenzi, Piano, Basic. All. Giani. ARBITRI: La Micela, Santi. NOTE - Spettatori 4.480, incasso 47.724 euro, durata set: 28', 24', 34'; tot: 86'. MVP: Zaytsev.


Qualificazioni Olimpiche: De Giorgi analizza il cammino dell'Italia. "Siamo arrivati in riserva. Ora dovremo discutere di date con la Lega" 

Il commento di Ferdinando De Giorgi al termine del torneo di qualificazione olimpica. “L’obiettivo che ci eravamo prefissati non è stato rag...