Questa è la narrazione
di una delle più belle storie sportive italiane. Ha origini che si snodano fra Buenos
Aires, Jesi, Bologna e Modena, città apparentemente slegate tra loro ma in
realtà tenute insieme da unico filo conduttore: un pallone da pallavolo.
Siamo nell’estate
del 1985. In Italia fa caldo e la persone non vedono l’ora di andare al mare a
fare il bagno dopo un inverno che sarà ricordato come quello della terribile
ondata di gelo abbattutasi sull'Italia. Nel gennaio italiano si sono infatti toccate
punte di -24 gradi, con storiche nevicate che hanno depositato un manto nevoso alto
fino a 55 centimetri, toccando anche città come Cagliari che fino a quel giorno
avevano avuto ben poco a che fare con i fiocchi bianchi provenienti dal cielo.
E’ l’anno in cui
a Ovest Michael Jackson e la fondazione USA For Africa registrano il singolo We
Are the World, mentre ad Est Mosca elegge segretario del PCUS Michail Gorbačëv.
E’ anche l’anno
di alcune tragedie sportive. Quella di Bradford, dove l’undici maggio scoppia
un drammatico incendio nel settore G dello stadio Valley Parade durante una
gara tra i padroni di casa e il Lincoln City. Il tragico bilancio finale
reciterà 56 morti e 265 feriti. E quella di Bruxelles, dove il 29 maggio si
disputa la finale di Coppa dei Campioni, tra la Juventus di Platini e i
campioni inglesi del Liverpool. Prima dell'incontro, gravi tafferugli tra le
opposte tifoserie provocano la morte di 39 persone, di cui 32 italiane, e il
ferimento di altre 600. L'evento verrà ricordato come la strage dell'Heysel.
Due città
italiane invece, sportivamente parlando, sono al settimo cielo. Si tratta di
Verona che vince il suo primo e storico scudetto nel calcio e di Bologna che lo
scudetto lo vince sotto rete.
Ma facciamo un
passo indietro nel tempo e trasferiamoci dall’altra parte dell’Oceano, e
precisamente in Argentina dove, a 60 chilometri dalla capitale Buenos Aires,
c’è La Plata, città con ottocentomila abitanti circa, caratterizzata dalle
numerose "diagonali", strade ad intersezione diagonale su un
tracciato di vie che si intersecano ad angolo retto. E di “diagonali” pallavolistiche
diventerà esperto il protagonista di questa storia, che proprio a La Plata
nasce agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso.
Un giovanotto
che seguendo le orme della mamma insegnante sogna di fare il professore e
invece, un po’ per caso, diventa allenatore di pallavolo. Ma prima di diventare
allenatore, Julio, questo è il suo nome di battesimo, gioca a pallavolo.
E’ un buon
giocatore. Vince il premio di miglior pallavolista juniores argentino e con la
propria squadra di club arriva fino alla serie A. Diventa seniores, si iscrive
all’università, facoltà di filosofia, dove diventa attivista politico del
movimento studentesco. Gioca ancora per un anno e poi decide di dedicare tutto
il suo tempo allo studio della filosofia e alla passione politica.
Gli anni ’70 del
secolo scorso sono però anni duri nel paese sudamericano per chi non è
allineato alla politica del governo. Ma più che di governo, dobbiamo parlare di
un vero e proprio regime che, con il terribile colpo di stato militare messo in
atto la notte del 24 marzo 1976 destituisce la presidentessa Isabel Martínez de
Perón instaurando una ferrea dittatura che durerà ben sette anni. Jorge Rafael
Videla, generale dell’esercito, ne è a capo e verrà ricordato per una lunghissima
serie di gravissime violazioni dei diritti umani e per vari crimini contro
l'umanità, tra i quali l'assassinio e la tortura di 30.000 persone.
Il collante del
regime è l'avversione verso le forze democratiche della nazione, considerate
nemici del nuovo stato, che si esprime con una vera e propria caccia alle
streghe verso chiunque non manifesti appoggio alla dittatura. Per questo motivo
Julio, dopo cinque anni di studio e a pochi esami dal dalla laurea si vede
costretto, per motivi di sicurezza, ad abbandonare non solo l’università ma
anche la propria città. Scappa a Buenos Aires dove per mantenersi incomincia ad
allenare una squadra di pallavolo, oltrechè a svolgere altri lavori tra cui
quello di addetto in un’impresa di pulizie.
Muove i suoi
primi passi da Coach in una squadra di serie C per poi diventare allenatore del
settore giovanile di un importante club della capitale argentina. Allenare non
solo gli piace ma gli riesce particolarmente bene. Decide allora di dare una
svolta alla propria vita. Abbandona definitivamente gli studi in filosofia e si
butta anima e corpo sullo studio dell’Educazione Fisica. Si laurea e nello
stesso tempo cresce come allenatore. Con il Ferro Carril Oeste di Buenos Aires vince
quattro campionati argentini consecutivi tra il 1979 e il 1982, anno nel quale
è anche il vice allenatore della propria nazionale, terza classificata ai
campionati mondiali giocati in casa.
Ma torniamo in
Italia, e trasferiamoci a Jesi, la seconda tappa di questo nostro viaggio per il
mondo. Quarantamila abitanti in provincia di Ancona e un passato importante,
visto che nel XII secolo è la capitale della Respublica Aesina. Il presente è costituito
da un gradevolissimo centro storico circondato da una cinta muraria del XV
secolo pressoché intatta.
In questa
graziosa cittadina marchigiana il 12 aprile 1955 nasce un altro dei
protagonisti di questa storia. Si chiama Giuseppe Cormio e alla fine degli anni
’70 del secolo scorso svolge contemporaneamente tre professioni: agente di una multinazionale
assicurativa, giornalista ed esperto pubblicitario. Tutto questo mantenendo
viva la sua grande passione: la pallavolo.
Beppe è infatti un
buon palleggiatore. Con la squadra di Jesi parte dalla serie C, e nel giro di
qualche sale prima in serie B e poi in serie A2. Una volta approdato alla serie
A, Giuseppe interrompe l’attività agonistica e diventa direttore sportivo della
squadra stessa. Siamo negli anni ’80, e precisamente nel 1982.
Cormio deve
scegliere un paio di giocatori stranieri per potenziare la sua squadra. E’
appena terminato il mondiale in argentina, vetrina che ha messo in mostra un
buon numero di giovani talenti sudamericani, molti di cui diventeranno negli
anni a venire campioni straordinari come Daniel Castellani, Hugo Conte, Jon Uriarte,
Carlos Wagenpfeil e Waldo Kantor, solo per citarne alcuni. Cormio individua in Wagenpfeil,
universale d’attacco e Kantor, funambolico palleggiatore, i due acquisti per la
sua ambiziosa Jesi. Allestisce un sestetto di tutto rispetto a cui manca un
tassello fondamentale, quello dell’allenatore.
Cormio è
convinto che l’allenatore debba costituire la pietra angolare su cui costruire
una squadra, e che non sia per nulla conveniente allestire squadre con forti
giocatori e poi affidarle a tecnici dilettanti. Ma in Italia è uno dei pochi a
pensarla così. La realtà del bel paese di quegli anni evidenzia che l’unico
allenatore a tempo pieno è Silvano Prandi, tecnico della Kappa Torino, che può
dedicarsi a tempo pieno alla pallavolo grazie al distacco ottenuto dalla scuola
nella quale insegna Educazione Fisica. Lo stesso Claudio Piazza, bravissimo allenatore
della Santal Parma campione d’Italia svolge un'altra attività professionale
oltre che allenare il club ducale. Cormio cerca quindi sul mercato un
allenatore professionista. La cosa non è di semplice risoluzione considerato
che non dispone di un budget importante e quindi non può offrirgli un contratto
particolarmente allettante dal punto di vista economico.
I due nuovi
acquisiti argentini fanno il nome di un giovane loro connazionale, un tecnico emergente,
che hanno avuto come secondo allenatore in nazionale. Quell’allenatore è Julio,
l’ex studente di filosofia e attivista politico. Quello nato a La Plata, che di
cognome fa Velasco. Cormio riesce a convincerlo ad imbarcarsi sul primo aereo
in partenza per l’Italia e dopo avergli parlato lo ingaggia, con un contratto da
sei mila dollari all’anno. I soldi messi sul tavolo non rappresentano
certamente un piatto particolarmente prelibato ma Velasco ha voglia di fare
un’esperienza all’estero, convinto di tornare in patria qualche anno dopo
arricchito da un’ importante esperienza umana e professionale fatta all’estero.
Velasco ha un
buon impatto con la pallavolo italiana. La squadra ottiene buoni risultati che
gli consentono di rimanere sulla panchina di Jesi due stagioni. La società
marchigiana, pur contenta del suo operato, si vede però costretta a non
rinnovargli il contratto a causa abbandono della sponsorizzazione “Tre Valli”. Julio
non ha altre proposte di lavoro e pensa ad un ritorno anticipato in patria
quando inaspettatamente gli arriva la chiamata di un nostro club di serie A1.
La telefonata non giunge da un club qualsiasi, tutt’altro.
Ma non
anticipiamo troppo i tempi e trasferiamoci nella terza tappa della nostra storia.
Dalla piccola Jesi, risalendo lo stivale, giungiamo a Bologna, la Dotta. Siamo
nell’estate del 1985 e la bologna pallavolista è in festa per un finale di
stagione incredibile. I Playoff scudetto hanno decretato che a sfidarsi per la
conquista del tricolore saranno la super favorita Panini Modena e l’outsider Mapier
Bologna.
Modena, dove lo
scudetto manca dalla stagione 1975/76, ha affidato al tecnico Andrea Nannini una
vera e propria corazzata. Pupo Dall’Olio, il miglior palleggiatore italiano
dell’epoca, è in cabina di regia e opposto a lui, a randellare da ogni zona del
campo, c’è lo straordinario martello argentino, Raul Quiroga. Attaccanti di
posto quattro sono il più forte schiacciatore italiano, “mano di pietra” Franco
Bertoli e l’esperto Mauro Di Bernardo, nazionale italiano, e giocatore di grande
classe. Al centro della rete c’è l’esperto Giancarlo Dametto, fenomenale a muro,
affiancato dal golden boy della pallavolo italiana, Andrea “Lucky” Lucchetta. In
panchina, a scalpitare per trovare un posto da titolare, c’è un giovane schiacciatore
di Cavriago, quel Luca Cantagalli che diventerà un’icona della nostra
pallavolo. Un super sestetto allestito con un solo obiettivo: vincere.
A Bologna il
tecnico Nerio Zanetti ha fatto invece le cose in “economia”, costruendo il suo
gioiellino attorno al martello italo - canadese Stelio De Rocco e al geniale
palleggiatore Marco Venturi, estroso mancino dalle mani d’oro già a Sassuolo e a
Modena. Angelo Squeo, Leo Carretti e Antonio Babini sono gli altri punti di
forza del sestetto felsineo. Sulla carta non c’è partita ma, come si suol dire,
la palla è rotonda e alla fine sarà proprio la Mapier Bologna a prevalere. I bolognesi
sono campioni d’Italia per la terza volta, dopo i due precedenti titoli conquistati
dall’allora Virtus Pallavolo Bologna nelle stagioni 1965/66 e 1966/67.
E se Bologna
ride, Modena, la quarta e ultima tappa del nostro viaggio pallavolistico,
piange. La città della Ghirlandina, è famosa nel mondo per la Ferrari, la
Lamborghini, le tigelle e per la sua squadra di pallavolo che, grazie alla
passione dei fratelli Panini e alla competenza del Professor Anderlini, vero e
proprio pioniere di questa disciplina, hanno nel corso degli anni costruito un
impero nel mondo del Volley. La sconfitta con Bologna, assolutamente inattesa, è
una vera e propria mazzata sia per la società gialloblu che per l’intera città.
Ed è talmente dolorosa da costare la panchina al tecnico Andrea Nannini, una
bandiera della pallavolo italiana dell’epoca.
Gli emiliani si
buttano quindi alla ricerca di un nuovo tecnico. I nomi che si fanno sono quelli
dei più altisonanti allenatori italiani e stranieri. Ma come spesso accade in
questi casi, la scelta dei dirigenti modenesi stupisce tutti. Con una vera e
propria scommessa Modena decide di affidare la panchina ad un allenatore
proveniente dalla serie A2 e precisamente da Jesi: Julio Velasco.
Già la stagione
precedente i modenesi avevano tastato il polso al tecnico argentino per affidargli
il ruolo di vice Nannini, ottenendo dallo stesso un secco rifiuto. Rifiuto che
aveva in qualche modo colpito la dirigenza modenese dal momento che nessuno
prima di allora si era permesso di rifiutare la panchina di Modena, nemmeno
come secondo allenatore. E chissà se fu proprio quella dimostrazione di
carattere e di personalità a convincere la dirigenza modenese ad affidare la
panchina al giovane tecnico argentino. Questa volta però non più come vice
allenatore ma come Head Coach.
Velasco accetta
l’incarico. Si trasferisce in Emilia con un solo anno di contratto, insieme ad
un altro allenatore di Jesi, Paolo Giardinieri, che diventa non solo il suo
scoutman, ma uno dei suoi uomini di fiducia, che lo seguirà per buona parte
della sua lunga carriera.
A Velasco viene
consegnata la stessa squadra dell’anno precedente. Trova alcuni giocatori che
segneranno la storia del volley italiano e mondiale nel decennio seguente quali
Luca Cantagalli, Lorenzo Bernardi e Andrea Lucchetta, oltre agli esperti Pupo
Dall’Olio e Franco Bertoli considerato lo schiacciatore italiano più forte del
momento. L’organico comprende anche i due formidabili “gauchos” Esteban
Martinez e Raul Quiroga e ottimi giocatori quali il centralone Dametto, l’universale
Di Bernardo, il secondo palleggiatore Sacchetti e il giovane Andrea
Ghiretti.
IL tecnico
argentino arriva a Modena con la stessa forza con cui uno tsunami travolge e
distrugge tutto ciò che trova davanti a sé. Imposta una strategia di totale rottura
con il passato sia riguardo la gestione del gruppo squadra che i sistemi di
allenamento, imponendo sedute durissime sia dal punto di vista fisico che
mentale che portano la squadra allo sfinimento tutti i giorni. Le ore di
allenamento quotidiano vengono praticamente raddoppiate.
La squadra subisce
qualche inevitabile contraccolpo dal momento che si trova a dover metabolizzare
questo grande cambiamento metodologico e accusa pertanto qualche passo falso. Poi,
settimana per settimana, mese per mese, consapevolizzando i tangibili miglioramenti
che questo tipo di lavoro stava producendo sia a livello individuale che di
squadra, il gruppo accetta e accoglie le innovazioni del suo nuovo tecnico. Nella
seconda parte della stagione cambia marcia e torna a giocarsi lo scudetto
contro Bologna. Questa volta però con un risultato completamente diverso
rispetto a quello di dodici mesi precedenti, con i gialloblu che vinceranno lo
scudetto in sole tre, seppur combattute, partite.
Modena torna ad
essere campione d’Italia dopo ben dieci anni e Velasco diventa il re della città.
Nella stagione
seguente alla truppa si è aggiunto Fabio Vullo. Palleggiatore proveniente da
Torino che prende il posto di Pupo Dall’Olio. Modena ha deciso di sacrificare
il Pupo nazionale investendo su questo giovane alzatore toscano ritenuto da
tutti il prototipo del palleggiatore moderno: alto, forte a muro, dal palleggio
pulito e dall’ottima visione di gioco. Il tutto unito ad uno stile di leadership
piuttosto marcato.
Un innesto che pone
i modenesi come una vera e propria schiacciasassi. Ma la doccia fredda è dietro
l’angolo. A poche settimane dall’inizio della stagione la federazione argentina,
per rendere maggiormente competitivo il proprio campionato, decide di chiudere
le frontiere, impedendo ai giocatori di interesse nazionale di poter
espatriare. Esteban Martinez e Raul Quiroga, due importanti punti di forza del
sestetto gialloblu non potranno quindi essere della partita. A Modena vengono
offerti buoni giocatori ma nessun campione vero e a quel punto Velasco compie una scelta che
spiazza tutti: la Panini giocherà la stagione ‘86/’87 senza stranieri. Li sostituirà
con due giovani: Lorenzo Bernardi, diciottenne acquistato come palleggiatore
del futuro ma trasformato in schiacciatore ricevitore e Andrea Ghiretti, classe
1964, universale d’attacco.
La dirigenza
modenese appoggia la scelta del tecnico argentino e la squadra si presenta ai blocchi
di partenza con Vullo in palleggio e Bertoli opposto, Andrea Lucchetta e il
forte e giovane martello Luca Cantagalli al centro della rete, mentre a
ricevere e schiacciare da posto quattro saranno Lorenzo “Lollo” Bernardi e
Andrea Ghiretti. Al termine della regular season Modena è seconda con 17
vittorie e 5 sconfitte dietro alla Santal che nel frattempo ha fatto sedere in
panchina Gian Paolo Montali, subentrato a stagione in corso al Professor Alexander
Skiba.
I Play off per i
modenesi iniziano con lo scoglio Enermix Milano, una buona squadra guidata in
panchina dall’esperto Coach Edelstein che schiera atleti del calibro dello
statunitense Berzins, del nazionale italiano MIlocco, della giovane promessa
Claudio Galli, e dell’esperto Lazzeroni in palleggio. Solo con un tiratissimo
3-1 alla terza partita, gli uomini di Velasco eliminano i meneghini, accedendo
quindi alle semifinali dove li aspetta il Kutiba Falconara di Marco Paolini,
squadra rivelazione della regular season. Saranno necessarie cinque tiratissime
ai modenesi partite per eliminare i biancoverdi che, con Pippi Lombardi in
palleggio, il compianto Badiali opposto, Andrea Anastasi e Nilsson in banda e
Tillie e Masciarelli al centro, venderanno più che cara la pelle.
Ad attenderli in
finale c’è la Santal Parma che, partita dopo partita, è cresciuta sempre di più
ed ha eliminato la Tartarini Bologna in una semifinale di quattro partite.
Finale che si rivelerà combattutissima dal momento che ci vorranno cinque gare
per decretare la squadra campione d’Italia. Nella quinta sfida, quella decisiva
per l’assegnazione del titolo, i ducali devono fare a meno del palleggiatore
titolare, il transalpino Alain Fabiani, infortunatosi e sostituito per altro
più che egregiamente, dal vice Giulio Belletti.
Modena espugna
il PalaRaschi con un 3-0 frutto di una pallavolo praticamente perfetta.
Velasco vince
anche questa scommessa ed è nuovamente Campione d’Italia.
Le successive
due stagioni, 87/88 e 88/89 sanciranno l’egemonia di Modena e di Parma, dal
momento che saranno sempre queste due squadre a giocarsi il titolo.
Nell’estate del
1987 Modena recupera Raul Quiroga tornato dall’Argentina ma un tremendo
infortunio ad un occhio arresta definitivamente la carriera di Andrea Ghiretti,
il giovane attaccante parmigiano di nascita che l’anno precedente è stato una
delle rivelazioni più importanti della squadra modenese e di tutta la nostra
serie A1. Sarà un testa a testa tra Modena e Parma, che nel frattempo ha
acquistato il carismatico palleggiatore della nazionale USA, Dusty Dvorak. Alla
fine, saranno i gialloblu modenesi a spuntarla grazie ad un super sestetto composto
da Vullo e Quiroga opposti, Cantagalli e Lucchetta al centro, Bernardi e Franco
Bertoli schiacciatori.
La stagione
88/89 vede Parma sostituire lo svedese Gustafsson con lo spettacolare nazionale
brasiliano Renan Dal Zotto. Modena da par suo ingaggia il centrale USA Partie,
giocatore poco appariscente ma regolare in attacco e granitico nel fondamentale
del muro, consentendo così a Cantagalli di poter tornare a randellare dal posto
quattro, il suo ruolo naturale. Quiroga, nel frattempo si è trasferito a
Montichiari e Velasco lo ha sostituito con il poliedrico e talentuoso Lollo Bernardi,
sistemato nel ruolo di opposto a Vullo. L’assetto di squadra prevede inoltre Lucchetta
e Partie al centro con Cantagalli e l’esperto Bertoli, sempre più uomo d’ordine,
in posto quattro.
La finale è sempre
contro Parma, esattamente come nei due anni precedenti. Ma questa volta non è
necessario arrivare alla quinta partita dal momento che Modena la spunta in
sole quattro partite, con un netto 3-0 in gara 4 al PalaPanini che non ammette
repliche.
E’ il quarto
scudetto consecutivo dei Velasco sulla panchina modenese.
Al termine di
quella stagione, dopo i quattro scudetti vinti sotto la Ghirlandina Velasco
accetta la proposta della Federazione Italiana Pallavolo diventando allenatore
della nazionale italiana di pallavolo.
Per lui, che
viene da quattro titoli italiani consecutivi vinti il rischio di bruciarsi è notevole,
dal momento che in quegli anni la nazionale italiana di pallavolo si colloca
nella seconda fascia del ranking mondiale. Al mondiale del ‘86 siamo undicesimi
e alle Olimpiadi del 1988, a cui partecipiamo solo grazie al boicottaggio di
Cuba, siamo solo noni sulle dodici nazionali partecipanti.
Julio vuole
cambiare la storia pallavolistica del nostro paese ed è convinto che ci siano
le possibilità farlo. Il terreno su cui lavorare è fertile dal momento che a
livello individuale la qualità dei giocatori c’è. La conditio sine qua non è però legata
a quanto i giovani talenti di cui dispone la nostra pallavolo sono disposti a
dare per arrivare ad essere una grande squadra.
Per ottenere
queste risposte, ancor prima di diramare le prime convocazioni, chiede ai
dirigenti federali di sondare gli atleti da lui individuati, chiedendo loro disponibilità
incondizionata al suo progetto. Nessuno dovrà parlare di premi, di alberghi, di
vacanze, di titolari e riserve, ma soltanto offrire la propria adesione
incondizionata al progetto, dal momento che nessuno può permettersi di snobbare
la nazionale.
Chi è d’accordo
è dentro, chi non lo è resta fuori. Non verrà nemmeno convocato in modo tale da
non dover fornire alcun tipo di giustificazione alla sua rinuncia all’azzurro.
Sarà Velasco stesso ad assumersi la mancata convocazione di qualche “big”.
Cosa che
puntualmente avviene con la prima convocazione dove farà scalpore l’assenza di
Fabio Vullo, da tutti considerato il miglior palleggiatore italiano, e la contestuale
presenza di un giovane alzatore marchigiano, Paolo Tofoli, atleta di Padova con
cui non ha mai vinto nulla, a differenza di Vullo che scudetti ne ha vinti a
ripetizione. Ma per Velasco, in nazionale c’è posto solo per chi si rende
disponibile in maniera totale alla causa e per chi dimostra di essere il
migliore per l’impegno, il carattere, e per voler combattere su ogni pallone, e
non per il cognome che porta.
Al primo
incontro con la squadra Julio comunica le sue intenzioni, che risultano essere
di standard particolarmente elevato. La nazionale italiana dovrà infatti diventare
una tra le quattro squadre più forti del mondo nel giro di due anni e una tra
le migliori due in quattro anni. Per centrare questi obiettivi la sua strategia
è quella di disputare il maggior numero possibile di partite internazionali contro
squadre di primo livello. Questo per misurarsi costantemente con i migliori
giocatori del mondo. Atleti che dovranno diventare i modelli a cui i nostri
atleti dovranno tendere ed uniformarsi.
E’ finito il
tempo di spiegare le sconfitte con motivi esterni alla squadra. Se si perde è
perché si gioca peggio degli altri. Stop alla cultura degli alibi.
Infine, un
sostanziale stravolgimento dei premi. Nessun premio per piazzamenti fuori dalla
zona medaglie e un premio cospicuo solo in caso di vittoria.
Julio ripropone
in maglia azzurra quello che aveva già fatto a Modena, vale a dire un grande
cambiamento sia a livello di mentalità che riguardo al lavoro in palestra. Si passa
da un sistema di lavoro piuttosto generico, con allenamenti improntati alla
tecnica analitica, individuale, ad un sistema innovativo, globale, basato su situazioni
di gioco reali, esercitazioni a punteggio, continua richiesta di grande
agonismo e sistemi di gioco innovativi come quello dei due ricevitori, sulla
falsa riga del modello statunitense.
Ci sono alle
porte le qualificazioni per l’Europeo e il tempo per prepararle è pochissimo. Non
c’è tempo per fare esperimenti. Velasco, con scelte nette, decide allora quello
che sarà il suo sestetto base. Parla con chi titolare non sarà, prospettandogli
un’estate fatta di duro lavoro e di poco spazio in campo. Chi è d’accordo bene,
chi non lo è resta a casa ed entra un altro. Potrà anche trattarsi di un atleta
meno forte, ma soddisfatto del ruolo pensato per lui.
Quella del 1989 sarà
un’estate massacrante. Trasferimenti in ogni angolo del mondo per giocare il
maggior numero possibile di partite con grande valore tecnico e per forgiare un
gruppo fatto di atleti che, senza mai lamentarsi di nulla, dovevano essere
pronti a qualsiasi tipo di sacrificio pur di arrivare all’obiettivo che si sono
dati.
Si va
all’Europeo di Stoccolma con Tofoli titolare al palleggio e De Giorgi sua
riserva, Zorzi opposto, Bernardi e Cantagalli martelli titolari con Anastasi,
Bracci e Margutti riserve. Gardini e Andrea Lucchetta sono i due centrali e
Masciarelli è il loro primo cambio con Gilberto Passani jolly d’attacco pronto
a subentrare in qualsiasi momento sia al centro della rete che in zona due.
La nazionale
italiana arriva in semifinale vincendo il proprio girone davanti alla nazionale
svedese. Semifinale nella quale rifila un netto 3-0 all’Olanda, una delle
grandi favorite al titolo. In finale ritroverà i padroni di casa della Svezia
che, guidati da uno straripante Bengt Gustafsson, hanno eliminato a sorpresa la
grande nazionale sovietica. Nella finale in programma il 1° ottobre a Stoccolma
la nazionale di Velasco trionfa con un netto 3-1. E' il primo oro della
pallavolo italiana in una manifestazione internazionale di primo piano.
Da quel momento
inizia la grande epopea di questa straordinaria nazionale, che verrà denominata
la generazione di fenomeni. Squadra che con Velasco in panchina, tra il 1989 e
il 1996, conquisterà la bellezza di 2 Campionati mondiali, 3 Campionati
europei, 5 World League, 1 Grand Champions Cup, 1 World Top Four, 1 Coppa del
Mondo e 1 World Super Challenge
Rispetto alla squadra
campione d’Europa a Stoccolma nel corso degli anni entreranno a far parte del
gruppo altri grandissimi giocatori, che hanno fatto la storia della pallavolo
italiana, quali Andrea Giani, Samuele Papi, Claudio Galli, Pasquale Gravina, il
compianto Vigor Bovolenta, Marco Martinelli, Michele Pasinato e tanti altri
ancora.
La Plata, Jesi,
Bologna, Modena. Quattro città e quattro tappe senza le quali il destino della
pallavolo italiana probabilmente non sarebbe stato lo stesso.
Parlare di Julio
Velasco come un’icona della pallavolo riguardo ai suoi successi è infatti
qualcosa di assolutamente riduttivo. Julio ha fatto ben di più. Ha consacrato la
pallavolo come sport nazionale.
Prima di
Stoccolma, l’attenzione dei media italiani nei confronti della pallavolo non
era particolarmente elevata. Ma da quell’1 ottobre 1989, le schiacciate di
Zorzi, Bernardi e Cantagalli, i palleggi di Tofoli, i primi tempi di Gardini e
i muri di Lucchetta sono entrati prepotentemente nelle case di tutti gli
italiani avvicinando il grande pubblico alla pallavolo e trasformandola in
pochi anni in uno tra gli sport più praticati e più seguiti d’Italia. Un merito
che, con ogni probabilità, conta ben di più dei tanti trofei vinti.
Che cavalcata Filippo!! Bellissimi anni, grande pallavolo ed un gigante in panchina...da tifoso parmense ho sofferto in diverse occasioni, ma quando hai uno come Velasco c'è poco da fare!!
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