venerdì 19 marzo 2021

L’epopea italiana di Julio Velasco. Dall’argentina a Jesi, ai 4 scudetti Modenesi fino alla nazionale dei fenomeni. By Filippo Vagli

 


Questa è la narrazione di una delle più belle storie sportive italiane. Ha origini che si snodano fra Buenos Aires, Jesi, Bologna e Modena, città apparentemente slegate tra loro ma in realtà tenute insieme da unico filo conduttore: un pallone da pallavolo.

Siamo nell’estate del 1985. In Italia fa caldo e la persone non vedono l’ora di andare al mare a fare il bagno dopo un inverno che sarà ricordato come quello della terribile ondata di gelo abbattutasi sull'Italia. Nel gennaio italiano si sono infatti toccate punte di -24 gradi, con storiche nevicate che hanno depositato un manto nevoso alto fino a 55 centimetri, toccando anche città come Cagliari che fino a quel giorno avevano avuto ben poco a che fare con i fiocchi bianchi provenienti dal cielo.

E’ l’anno in cui a Ovest Michael Jackson e la fondazione USA For Africa registrano il singolo We Are the World, mentre ad Est Mosca elegge segretario del PCUS Michail Gorbačëv.

E’ anche l’anno di alcune tragedie sportive. Quella di Bradford, dove l’undici maggio scoppia un drammatico incendio nel settore G dello stadio Valley Parade durante una gara tra i padroni di casa e il Lincoln City. Il tragico bilancio finale reciterà 56 morti e 265 feriti. E quella di Bruxelles, dove il 29 maggio si disputa la finale di Coppa dei Campioni, tra la Juventus di Platini e i campioni inglesi del Liverpool. Prima dell'incontro, gravi tafferugli tra le opposte tifoserie provocano la morte di 39 persone, di cui 32 italiane, e il ferimento di altre 600. L'evento verrà  ricordato come la strage dell'Heysel.

Due città italiane invece, sportivamente parlando, sono al settimo cielo. Si tratta di Verona che vince il suo primo e storico scudetto nel calcio e di Bologna che lo scudetto lo vince sotto rete.

Ma facciamo un passo indietro nel tempo e trasferiamoci dall’altra parte dell’Oceano, e precisamente in Argentina dove, a 60 chilometri dalla capitale Buenos Aires, c’è La Plata, città con ottocentomila abitanti circa, caratterizzata dalle numerose "diagonali", strade ad intersezione diagonale su un tracciato di vie che si intersecano ad angolo retto. E di “diagonali” pallavolistiche diventerà esperto il protagonista di questa storia, che proprio a La Plata nasce agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso.

Un giovanotto che seguendo le orme della mamma insegnante sogna di fare il professore e invece, un po’ per caso, diventa allenatore di pallavolo. Ma prima di diventare allenatore, Julio, questo è il suo nome di battesimo, gioca a pallavolo.

E’ un buon giocatore. Vince il premio di miglior pallavolista juniores argentino e con la propria squadra di club arriva fino alla serie A. Diventa seniores, si iscrive all’università, facoltà di filosofia, dove diventa attivista politico del movimento studentesco. Gioca ancora per un anno e poi decide di dedicare tutto il suo tempo allo studio della filosofia e alla passione politica.

Gli anni ’70 del secolo scorso sono però anni duri nel paese sudamericano per chi non è allineato alla politica del governo. Ma più che di governo, dobbiamo parlare di un vero e proprio regime che, con il terribile colpo di stato militare messo in atto la notte del 24 marzo 1976 destituisce la presidentessa Isabel Martínez de Perón instaurando una ferrea dittatura che durerà ben sette anni. Jorge Rafael Videla, generale dell’esercito, ne è a capo e verrà ricordato per una lunghissima serie di gravissime violazioni dei diritti umani e per vari crimini contro l'umanità, tra i quali l'assassinio e la tortura di 30.000 persone.

Il collante del regime è l'avversione verso le forze democratiche della nazione, considerate nemici del nuovo stato, che si esprime con una vera e propria caccia alle streghe verso chiunque non manifesti appoggio alla dittatura. Per questo motivo Julio, dopo cinque anni di studio e a pochi esami dal dalla laurea si vede costretto, per motivi di sicurezza, ad abbandonare non solo l’università ma anche la propria città. Scappa a Buenos Aires dove per mantenersi incomincia ad allenare una squadra di pallavolo, oltrechè a svolgere altri lavori tra cui quello di addetto in un’impresa di pulizie.

Muove i suoi primi passi da Coach in una squadra di serie C per poi diventare allenatore del settore giovanile di un importante club della capitale argentina. Allenare non solo gli piace ma gli riesce particolarmente bene. Decide allora di dare una svolta alla propria vita. Abbandona definitivamente gli studi in filosofia e si butta anima e corpo sullo studio dell’Educazione Fisica. Si laurea e nello stesso tempo cresce come allenatore. Con il Ferro Carril Oeste di Buenos Aires vince quattro campionati argentini consecutivi tra il 1979 e il 1982, anno nel quale è anche il vice allenatore della propria nazionale, terza classificata ai campionati mondiali giocati in casa.

Ma torniamo in Italia, e trasferiamoci a Jesi, la seconda tappa di questo nostro viaggio per il mondo. Quarantamila abitanti in provincia di Ancona e un passato importante, visto che nel XII secolo è la capitale della Respublica Aesina. Il presente è costituito da un gradevolissimo centro storico circondato da una cinta muraria del XV secolo pressoché intatta.

In questa graziosa cittadina marchigiana il 12 aprile 1955 nasce un altro dei protagonisti di questa storia. Si chiama Giuseppe Cormio e alla fine degli anni ’70 del secolo scorso svolge contemporaneamente tre professioni: agente di una multinazionale assicurativa, giornalista ed esperto pubblicitario. Tutto questo mantenendo viva la sua grande passione: la pallavolo.

Beppe è infatti un buon palleggiatore. Con la squadra di Jesi parte dalla serie C, e nel giro di qualche sale prima in serie B e poi in serie A2. Una volta approdato alla serie A, Giuseppe interrompe l’attività agonistica e diventa direttore sportivo della squadra stessa. Siamo negli anni ’80, e precisamente nel 1982.

Cormio deve scegliere un paio di giocatori stranieri per potenziare la sua squadra. E’ appena terminato il mondiale in argentina, vetrina che ha messo in mostra un buon numero di giovani talenti sudamericani, molti di cui diventeranno negli anni a venire campioni straordinari come Daniel Castellani, Hugo Conte, Jon Uriarte, Carlos Wagenpfeil e Waldo Kantor, solo per citarne alcuni. Cormio individua in Wagenpfeil, universale d’attacco e Kantor, funambolico palleggiatore, i due acquisti per la sua ambiziosa Jesi. Allestisce un sestetto di tutto rispetto a cui manca un tassello fondamentale, quello dell’allenatore.

Cormio è convinto che l’allenatore debba costituire la pietra angolare su cui costruire una squadra, e che non sia per nulla conveniente allestire squadre con forti giocatori e poi affidarle a tecnici dilettanti. Ma in Italia è uno dei pochi a pensarla così. La realtà del bel paese di quegli anni evidenzia che l’unico allenatore a tempo pieno è Silvano Prandi, tecnico della Kappa Torino, che può dedicarsi a tempo pieno alla pallavolo grazie al distacco ottenuto dalla scuola nella quale insegna Educazione Fisica. Lo stesso Claudio Piazza, bravissimo allenatore della Santal Parma campione d’Italia svolge un'altra attività professionale oltre che allenare il club ducale. Cormio cerca quindi sul mercato un allenatore professionista. La cosa non è di semplice risoluzione considerato che non dispone di un budget importante e quindi non può offrirgli un contratto particolarmente allettante dal punto di vista economico.

I due nuovi acquisiti argentini fanno il nome di un giovane loro connazionale, un tecnico emergente, che hanno avuto come secondo allenatore in nazionale. Quell’allenatore è Julio, l’ex studente di filosofia e attivista politico. Quello nato a La Plata, che di cognome fa Velasco. Cormio riesce a convincerlo ad imbarcarsi sul primo aereo in partenza per l’Italia e dopo avergli parlato lo ingaggia, con un contratto da sei mila dollari all’anno. I soldi messi sul tavolo non rappresentano certamente un piatto particolarmente prelibato ma Velasco ha voglia di fare un’esperienza all’estero, convinto di tornare in patria qualche anno dopo arricchito da un’ importante esperienza umana e professionale fatta all’estero.  

Velasco ha un buon impatto con la pallavolo italiana. La squadra ottiene buoni risultati che gli consentono di rimanere sulla panchina di Jesi due stagioni. La società marchigiana, pur contenta del suo operato, si vede però costretta a non rinnovargli il contratto a causa abbandono della sponsorizzazione “Tre Valli”. Julio non ha altre proposte di lavoro e pensa ad un ritorno anticipato in patria quando inaspettatamente gli arriva la chiamata di un nostro club di serie A1. La telefonata non giunge da un club qualsiasi, tutt’altro.

Ma non anticipiamo troppo i tempi e trasferiamoci nella terza tappa della nostra storia. Dalla piccola Jesi, risalendo lo stivale, giungiamo a Bologna, la Dotta. Siamo nell’estate del 1985 e la bologna pallavolista è in festa per un finale di stagione incredibile. I Playoff scudetto hanno decretato che a sfidarsi per la conquista del tricolore saranno la super favorita Panini Modena e l’outsider Mapier Bologna.

Modena, dove lo scudetto manca dalla stagione 1975/76, ha affidato al tecnico Andrea Nannini una vera e propria corazzata. Pupo Dall’Olio, il miglior palleggiatore italiano dell’epoca, è in cabina di regia e opposto a lui, a randellare da ogni zona del campo, c’è lo straordinario martello argentino, Raul Quiroga. Attaccanti di posto quattro sono il più forte schiacciatore italiano, “mano di pietra” Franco Bertoli e l’esperto Mauro Di Bernardo, nazionale italiano, e giocatore di grande classe. Al centro della rete c’è l’esperto Giancarlo Dametto, fenomenale a muro, affiancato dal golden boy della pallavolo italiana, Andrea “Lucky” Lucchetta. In panchina, a scalpitare per trovare un posto da titolare, c’è un giovane schiacciatore di Cavriago, quel Luca Cantagalli che diventerà un’icona della nostra pallavolo. Un super sestetto allestito con un solo obiettivo: vincere.

A Bologna il tecnico Nerio Zanetti ha fatto invece le cose in “economia”, costruendo il suo gioiellino attorno al martello italo - canadese Stelio De Rocco e al geniale palleggiatore Marco Venturi, estroso mancino dalle mani d’oro già a Sassuolo e a Modena. Angelo Squeo, Leo Carretti e Antonio Babini sono gli altri punti di forza del sestetto felsineo. Sulla carta non c’è partita ma, come si suol dire, la palla è rotonda e alla fine sarà proprio la Mapier Bologna a prevalere. I bolognesi sono campioni d’Italia per la terza volta, dopo i due precedenti titoli conquistati dall’allora Virtus Pallavolo Bologna nelle stagioni 1965/66 e 1966/67.

E se Bologna ride, Modena, la quarta e ultima tappa del nostro viaggio pallavolistico, piange. La città della Ghirlandina, è famosa nel mondo per la Ferrari, la Lamborghini, le tigelle e per la sua squadra di pallavolo che, grazie alla passione dei fratelli Panini e alla competenza del Professor Anderlini, vero e proprio pioniere di questa disciplina, hanno nel corso degli anni costruito un impero nel mondo del Volley. La sconfitta con Bologna, assolutamente inattesa, è una vera e propria mazzata sia per la società gialloblu che per l’intera città. Ed è talmente dolorosa da costare la panchina al tecnico Andrea Nannini, una bandiera della pallavolo italiana dell’epoca.

Gli emiliani si buttano quindi alla ricerca di un nuovo tecnico. I nomi che si fanno sono quelli dei più altisonanti allenatori italiani e stranieri. Ma come spesso accade in questi casi, la scelta dei dirigenti modenesi stupisce tutti. Con una vera e propria scommessa Modena decide di affidare la panchina ad un allenatore proveniente dalla serie A2 e precisamente da Jesi: Julio Velasco.

Già la stagione precedente i modenesi avevano tastato il polso al tecnico argentino per affidargli il ruolo di vice Nannini, ottenendo dallo stesso un secco rifiuto. Rifiuto che aveva in qualche modo colpito la dirigenza modenese dal momento che nessuno prima di allora si era permesso di rifiutare la panchina di Modena, nemmeno come secondo allenatore. E chissà se fu proprio quella dimostrazione di carattere e di personalità a convincere la dirigenza modenese ad affidare la panchina al giovane tecnico argentino. Questa volta però non più come vice allenatore ma come Head Coach.

Velasco accetta l’incarico. Si trasferisce in Emilia con un solo anno di contratto, insieme ad un altro allenatore di Jesi, Paolo Giardinieri, che diventa non solo il suo scoutman, ma uno dei suoi uomini di fiducia, che lo seguirà per buona parte della sua lunga carriera.

A Velasco viene consegnata la stessa squadra dell’anno precedente. Trova alcuni giocatori che segneranno la storia del volley italiano e mondiale nel decennio seguente quali Luca Cantagalli, Lorenzo Bernardi e Andrea Lucchetta, oltre agli esperti Pupo Dall’Olio e Franco Bertoli considerato lo schiacciatore italiano più forte del momento. L’organico comprende anche i due formidabili “gauchos” Esteban Martinez e Raul Quiroga e ottimi giocatori quali il centralone Dametto, l’universale Di Bernardo, il secondo palleggiatore Sacchetti e il giovane Andrea Ghiretti.   

IL tecnico argentino arriva a Modena con la stessa forza con cui uno tsunami travolge e distrugge tutto ciò che trova davanti a sé. Imposta una strategia di totale rottura con il passato sia riguardo la gestione del gruppo squadra che i sistemi di allenamento, imponendo sedute durissime sia dal punto di vista fisico che mentale che portano la squadra allo sfinimento tutti i giorni. Le ore di allenamento quotidiano vengono praticamente raddoppiate.

La squadra subisce qualche inevitabile contraccolpo dal momento che si trova a dover metabolizzare questo grande cambiamento metodologico e accusa pertanto qualche passo falso. Poi, settimana per settimana, mese per mese, consapevolizzando i tangibili miglioramenti che questo tipo di lavoro stava producendo sia a livello individuale che di squadra, il gruppo accetta e accoglie le innovazioni del suo nuovo tecnico. Nella seconda parte della stagione cambia marcia e torna a giocarsi lo scudetto contro Bologna. Questa volta però con un risultato completamente diverso rispetto a quello di dodici mesi precedenti, con i gialloblu che vinceranno lo scudetto in sole tre, seppur combattute, partite.

Modena torna ad essere campione d’Italia dopo ben dieci anni e Velasco diventa il re della città.

Nella stagione seguente alla truppa si è aggiunto Fabio Vullo. Palleggiatore proveniente da Torino che prende il posto di Pupo Dall’Olio. Modena ha deciso di sacrificare il Pupo nazionale investendo su questo giovane alzatore toscano ritenuto da tutti il prototipo del palleggiatore moderno: alto, forte a muro, dal palleggio pulito e dall’ottima visione di gioco. Il tutto unito ad uno stile di leadership piuttosto marcato.

Un innesto che pone i modenesi come una vera e propria schiacciasassi. Ma la doccia fredda è dietro l’angolo. A poche settimane dall’inizio della stagione la federazione argentina, per rendere maggiormente competitivo il proprio campionato, decide di chiudere le frontiere, impedendo ai giocatori di interesse nazionale di poter espatriare. Esteban Martinez e Raul Quiroga, due importanti punti di forza del sestetto gialloblu non potranno quindi essere della partita. A Modena vengono offerti buoni giocatori ma nessun campione vero  e a quel punto Velasco compie una scelta che spiazza tutti: la Panini giocherà la stagione ‘86/’87 senza stranieri. Li sostituirà con due giovani: Lorenzo Bernardi, diciottenne acquistato come palleggiatore del futuro ma trasformato in schiacciatore ricevitore e Andrea Ghiretti, classe 1964, universale d’attacco.

La dirigenza modenese appoggia la scelta del tecnico argentino e la squadra si presenta ai blocchi di partenza con Vullo in palleggio e Bertoli opposto, Andrea Lucchetta e il forte e giovane martello Luca Cantagalli al centro della rete, mentre a ricevere e schiacciare da posto quattro saranno Lorenzo “Lollo” Bernardi e Andrea Ghiretti. Al termine della regular season Modena è seconda con 17 vittorie e 5 sconfitte dietro alla Santal che nel frattempo ha fatto sedere in panchina Gian Paolo Montali, subentrato a stagione in corso al Professor Alexander Skiba.  

I Play off per i modenesi iniziano con lo scoglio Enermix Milano, una buona squadra guidata in panchina dall’esperto Coach Edelstein che schiera atleti del calibro dello statunitense Berzins, del nazionale italiano MIlocco, della giovane promessa Claudio Galli, e dell’esperto Lazzeroni in palleggio. Solo con un tiratissimo 3-1 alla terza partita, gli uomini di Velasco eliminano i meneghini, accedendo quindi alle semifinali dove li aspetta il Kutiba Falconara di Marco Paolini, squadra rivelazione della regular season. Saranno necessarie cinque tiratissime ai modenesi partite per eliminare i biancoverdi che, con Pippi Lombardi in palleggio, il compianto Badiali opposto, Andrea Anastasi e Nilsson in banda e Tillie e Masciarelli al centro, venderanno più che cara la pelle.

Ad attenderli in finale c’è la Santal Parma che, partita dopo partita, è cresciuta sempre di più ed ha eliminato la Tartarini Bologna in una semifinale di quattro partite. Finale che si rivelerà combattutissima dal momento che ci vorranno cinque gare per decretare la squadra campione d’Italia. Nella quinta sfida, quella decisiva per l’assegnazione del titolo, i ducali devono fare a meno del palleggiatore titolare, il transalpino Alain Fabiani, infortunatosi e sostituito per altro più che egregiamente, dal vice Giulio Belletti.

Modena espugna il PalaRaschi con un 3-0 frutto di una pallavolo praticamente perfetta.

Velasco vince anche questa scommessa ed è nuovamente Campione d’Italia.

Le successive due stagioni, 87/88 e 88/89 sanciranno l’egemonia di Modena e di Parma, dal momento che saranno sempre queste due squadre a giocarsi il titolo.

Nell’estate del 1987 Modena recupera Raul Quiroga tornato dall’Argentina ma un tremendo infortunio ad un occhio arresta definitivamente la carriera di Andrea Ghiretti, il giovane attaccante parmigiano di nascita che l’anno precedente è stato una delle rivelazioni più importanti della squadra modenese e di tutta la nostra serie A1. Sarà un testa a testa tra Modena e Parma, che nel frattempo ha acquistato il carismatico palleggiatore della nazionale USA, Dusty Dvorak. Alla fine, saranno i gialloblu modenesi a spuntarla grazie ad un super sestetto composto da Vullo e Quiroga opposti, Cantagalli e Lucchetta al centro, Bernardi e Franco Bertoli schiacciatori.

La stagione 88/89 vede Parma sostituire lo svedese Gustafsson con lo spettacolare nazionale brasiliano Renan Dal Zotto. Modena da par suo ingaggia il centrale USA Partie, giocatore poco appariscente ma regolare in attacco e granitico nel fondamentale del muro, consentendo così a Cantagalli di poter tornare a randellare dal posto quattro, il suo ruolo naturale. Quiroga, nel frattempo si è trasferito a Montichiari e Velasco lo ha sostituito con il poliedrico e talentuoso Lollo Bernardi, sistemato nel ruolo di opposto a Vullo. L’assetto di squadra prevede inoltre Lucchetta e Partie al centro con Cantagalli e l’esperto Bertoli, sempre più uomo d’ordine, in posto quattro.

La finale è sempre contro Parma, esattamente come nei due anni precedenti. Ma questa volta non è necessario arrivare alla quinta partita dal momento che Modena la spunta in sole quattro partite, con un netto 3-0 in gara 4 al PalaPanini che non ammette repliche.

E’ il quarto scudetto consecutivo dei Velasco sulla panchina modenese.

Al termine di quella stagione, dopo i quattro scudetti vinti sotto la Ghirlandina Velasco accetta la proposta della Federazione Italiana Pallavolo diventando allenatore della nazionale italiana di pallavolo.

Per lui, che viene da quattro titoli italiani consecutivi vinti il rischio di bruciarsi è notevole, dal momento che in quegli anni la nazionale italiana di pallavolo si colloca nella seconda fascia del ranking mondiale. Al mondiale del ‘86 siamo undicesimi e alle Olimpiadi del 1988, a cui partecipiamo solo grazie al boicottaggio di Cuba, siamo solo noni sulle dodici nazionali partecipanti.  

Julio vuole cambiare la storia pallavolistica del nostro paese ed è convinto che ci siano le possibilità farlo. Il terreno su cui lavorare è fertile dal momento che a livello individuale la qualità dei giocatori c’è.  La conditio sine qua non è però legata a quanto i giovani talenti di cui dispone la nostra pallavolo sono disposti a dare per arrivare ad essere una grande squadra.

Per ottenere queste risposte, ancor prima di diramare le prime convocazioni, chiede ai dirigenti federali di sondare gli atleti da lui individuati, chiedendo loro disponibilità incondizionata al suo progetto. Nessuno dovrà parlare di premi, di alberghi, di vacanze, di titolari e riserve, ma soltanto offrire la propria adesione incondizionata al progetto, dal momento che nessuno può permettersi di snobbare la nazionale.

Chi è d’accordo è dentro, chi non lo è resta fuori. Non verrà nemmeno convocato in modo tale da non dover fornire alcun tipo di giustificazione alla sua rinuncia all’azzurro. Sarà Velasco stesso ad assumersi la mancata convocazione di qualche “big”.

Cosa che puntualmente avviene con la prima convocazione dove farà scalpore l’assenza di Fabio Vullo, da tutti considerato il miglior palleggiatore italiano, e la contestuale presenza di un giovane alzatore marchigiano, Paolo Tofoli, atleta di Padova con cui non ha mai vinto nulla, a differenza di Vullo che scudetti ne ha vinti a ripetizione. Ma per Velasco, in nazionale c’è posto solo per chi si rende disponibile in maniera totale alla causa e per chi dimostra di essere il migliore per l’impegno, il carattere, e per voler combattere su ogni pallone, e non per il cognome che porta.  

Al primo incontro con la squadra Julio comunica le sue intenzioni, che risultano essere di standard particolarmente elevato. La nazionale italiana dovrà infatti diventare una tra le quattro squadre più forti del mondo nel giro di due anni e una tra le migliori due in quattro anni. Per centrare questi obiettivi la sua strategia è quella di disputare il maggior numero possibile di partite internazionali contro squadre di primo livello. Questo per misurarsi costantemente con i migliori giocatori del mondo. Atleti che dovranno diventare i modelli a cui i nostri atleti dovranno tendere ed uniformarsi.

E’ finito il tempo di spiegare le sconfitte con motivi esterni alla squadra. Se si perde è perché si gioca peggio degli altri. Stop alla cultura degli alibi.

Infine, un sostanziale stravolgimento dei premi. Nessun premio per piazzamenti fuori dalla zona medaglie e un premio cospicuo solo in caso di vittoria.

Julio ripropone in maglia azzurra quello che aveva già fatto a Modena, vale a dire un grande cambiamento sia a livello di mentalità che riguardo al lavoro in palestra. Si passa da un sistema di lavoro piuttosto generico, con allenamenti improntati alla tecnica analitica, individuale, ad un sistema innovativo, globale, basato su situazioni di gioco reali, esercitazioni a punteggio, continua richiesta di grande agonismo e sistemi di gioco innovativi come quello dei due ricevitori, sulla falsa riga del modello statunitense.

Ci sono alle porte le qualificazioni per l’Europeo e il tempo per prepararle è pochissimo. Non c’è tempo per fare esperimenti. Velasco, con scelte nette, decide allora quello che sarà il suo sestetto base. Parla con chi titolare non sarà, prospettandogli un’estate fatta di duro lavoro e di poco spazio in campo. Chi è d’accordo bene, chi non lo è resta a casa ed entra un altro. Potrà anche trattarsi di un atleta meno forte, ma soddisfatto del ruolo pensato per lui.

Quella del 1989 sarà un’estate massacrante. Trasferimenti in ogni angolo del mondo per giocare il maggior numero possibile di partite con grande valore tecnico e per forgiare un gruppo fatto di atleti che, senza mai lamentarsi di nulla, dovevano essere pronti a qualsiasi tipo di sacrificio pur di arrivare all’obiettivo che si sono dati.

Si va all’Europeo di Stoccolma con Tofoli titolare al palleggio e De Giorgi sua riserva, Zorzi opposto, Bernardi e Cantagalli martelli titolari con Anastasi, Bracci e Margutti riserve. Gardini e Andrea Lucchetta sono i due centrali e Masciarelli è il loro primo cambio con Gilberto Passani jolly d’attacco pronto a subentrare in qualsiasi momento sia al centro della rete che in zona due.  

La nazionale italiana arriva in semifinale vincendo il proprio girone davanti alla nazionale svedese. Semifinale nella quale rifila un netto 3-0 all’Olanda, una delle grandi favorite al titolo. In finale ritroverà i padroni di casa della Svezia che, guidati da uno straripante Bengt Gustafsson, hanno eliminato a sorpresa la grande nazionale sovietica. Nella finale in programma il 1° ottobre a Stoccolma la nazionale di Velasco trionfa con un netto 3-1. E' il primo oro della pallavolo italiana in una manifestazione internazionale di primo piano.

Da quel momento inizia la grande epopea di questa straordinaria nazionale, che verrà denominata la generazione di fenomeni. Squadra che con Velasco in panchina, tra il 1989 e il 1996, conquisterà la bellezza di 2 Campionati mondiali, 3 Campionati europei, 5 World League, 1 Grand Champions Cup, 1 World Top Four, 1 Coppa del Mondo e 1 World Super Challenge

Rispetto alla squadra campione d’Europa a Stoccolma nel corso degli anni entreranno a far parte del gruppo altri grandissimi giocatori, che hanno fatto la storia della pallavolo italiana, quali Andrea Giani, Samuele Papi, Claudio Galli, Pasquale Gravina, il compianto Vigor Bovolenta, Marco Martinelli, Michele Pasinato e tanti altri ancora.

La Plata, Jesi, Bologna, Modena. Quattro città e quattro tappe senza le quali il destino della pallavolo italiana probabilmente non sarebbe stato lo stesso.

Parlare di Julio Velasco come un’icona della pallavolo riguardo ai suoi successi è infatti qualcosa di assolutamente riduttivo. Julio ha fatto ben di più. Ha consacrato la pallavolo come sport nazionale.

Prima di Stoccolma, l’attenzione dei media italiani nei confronti della pallavolo non era particolarmente elevata. Ma da quell’1 ottobre 1989, le schiacciate di Zorzi, Bernardi e Cantagalli, i palleggi di Tofoli, i primi tempi di Gardini e i muri di Lucchetta sono entrati prepotentemente nelle case di tutti gli italiani avvicinando il grande pubblico alla pallavolo e trasformandola in pochi anni in uno tra gli sport più praticati e più seguiti d’Italia. Un merito che, con ogni probabilità, conta ben di più dei tanti trofei vinti.

 

 

 

 


1 commento:

  1. Che cavalcata Filippo!! Bellissimi anni, grande pallavolo ed un gigante in panchina...da tifoso parmense ho sofferto in diverse occasioni, ma quando hai uno come Velasco c'è poco da fare!!

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