giovedì 18 marzo 2021

Bernardinho: La mia pallavolo

 




Trascrizione del webinar YouTube Iostoacasaeparlodipallavolo

 

Quali sono i principi e la filosofia della tua pallavolo?

Nei primi anni che ho iniziato ad allenare in Italia ho imparato molto dagli allenatori italiani. Quando ho iniziato ad allenare ero un po’ la fotografia di come ero da giocatore: un atleta con un talento molto limitato per cui lavoravo molto per supplire a queste carenze. Ho sempre creduto molto nel lavoro. Noi lavoravamo molto, con infinite ripetizioni sulla tecnica. Ho sempre studiato molto i migliori allenatori del mondo e continuo a studiare guardando anche oggi i migliori. Quando mi lasciano entrare nei palazzetti vado li ad allungare palloni a tutti. Quando sono rientrato in Brasile dopo l’esperienza a Modena ero considerato un “bidone” e poi sono diventato un fenomeno. Io non sono ne uno ne l’altro. Sono un lavoratore a cui piace molto studiare e la mia filosofia è che ogni giorno imparo qualcosa. La mia filosofia si è costruita nel tempo guardando prima Bebeto, che è stato un grande allenatore e poi tutti quelli che ho avuto l’opportunità di veder lavorare. La cosa più importante sono i fondamentali. Kiraly dice che la pallavolo è prima di tutto il controllo della palla e poi le posizioni corrette in campo, la tattica. Molti dei nostri risultati sono frutto dell’intensità e della quantità del lavoro. Noi brasiliani siamo abituati ad un carico di lavoro così intenso che ci ha consentito di essere competitivi. Avevamo dei giocatori bravi ma quando sono andato ad allenare la nazionale femminile, non vincevamo nulla da tanti anni. Abbiamo lavorato tanto sia sul piano tecnico che fisico e soprattutto da questo punto di vista il Brasile femminile in quegli anni ha fatto un grande salto di qualità. Nel maschile invece alla nazionale brasiliana mancava un po’ di continuità pur avendo grandi talenti di poco più di vent’anni. Dopo l’olimpiade del 2000, con la nazionale brasiliana maschile al sesto posto, arrivo io come allenatore. Subito, venendo dal femminile, ho dovuto studiare molto per capire la pallavolo maschile. Avevo dei giocatori (Giba, Dante, Andrè) che non avevano grandi doti fisiche di altezza. C’era però con loro la possibilità di velocizzare molto il gioco. Il palleggiatore titolare era Mauricio che aveva due mani d’oro e poi c’era un altro palleggiatore un po’ cicciottello e mattarello, che in Italia non voleva nessuno, Ricardo. Abbiamo provato quella strada (una pallavolo velocissima) e abbiamo capito che quella poteva essere la nostra strada. Ogni tanto entrava Anderson come opposto per attaccare la palla alta quando avevamo problemi in ricezione. Abbiamo trovato un equilibrio di squadra con Ricardo al posto di Mauricio perché lui amava rischiare, giocando alla massima velocità anche commettendo qualche errore. Tornando alla mia filosofia direi: molto lavoro, studio e consistenza. Non abbiamo una filosofia rigida del tipo: “il Brasile gioca così”. Cerchiamo di adattare il gioco alle caratteristiche dei giocatori che abbiamo a disposizione. Quando Andrè è calato ed è uscito dalla nazionale è entrato Vissotto che aveva tutt’altre caratteristiche e con lui non potevamo giocare la palla super veloce che giocavamo con Andrè e quindi abbiamo cambiato qualcosa. Quando ho perso Ricardo ed è arrivato Bruno, all’inizio non giocavamo con grande velocità. Però abbiamo trovato un centrale, Lucas, che giocava molto bene con Bruno. L’altro centrale, Gustavo, era un gran muratore ma come attaccante era normale, non eccezionale, però dava molta consistenza alla squadra.

Quando sono arrivato alla maschile, in base ai giocatori che avevo a disposizione ho cercato di portare un po’ di quella difesa che la mia squadra aveva quando allenavo le femmine. Un po’ sullo stile della Francia. Perché sono convinto che nella maschile si possa lavorare di più in difesa. Ricordo che andammo a fare un torneo in Germania, dove allenava Moculescu, il quale osservando un nostro allenamento mi disse che sembrava un allenamento di una squadra femminile. Lui aveva una squadra fortissima fisicamente, alta, potente, con muro a tre molto spesso; e noi contro di loro giocammo solo con pallonetti, decidendo di giocare una partita senza prendere una murata ma mettendoli in crisi con i pallonetti perché non difendevano. Erano duri, lenti, non erano capaci di difendere. E noi abbiamo pensato che giocando, difendendo, rigiocando tante volte potevamo vincere. A volte la prima azione del nostro cambio palla non era molto efficace, ma lo era invece la nostra seconda azione. E allora abbiamo deciso di seguire questa strada per dare consistenza alla squadra e cercare di stare tra i migliori. Oggi, la prima domanda che mi faccio quando devo iniziare una nuova avventura con una squadra, mi chiedo “con chi” la andrò ad affrontare. Perché per vincere non è necessario avere sempre i migliori ma avere una squadra che abbia quei valori che ritengo indispensabili di cui il primo è l’integrità. Un famoso allenatore dei Boston Celtic diceva “io non tradisco”. Non bisogna dire le bugie ai propri giocatori e viceversa. Dobbiamo essere tutti trasparenti, giusti perché puoi essere anche duro ma se c’è giustizia di va avanti. Il secondo valore è “la squadra per primo”. Gli altri possono avere anche più talento di noi, e su questo non possiamo farci niente, non è una cosa sotto il nostro controllo. Ma la quantità di lavoro è una cosa sotto il nostro controllo, così come la dedizione al progetto, e su questi aspetti possiamo fare meglio di chiunque altro, perché questo si che dipende da noi. Se un giocatore non vuole lavorare tanto non c’è problema, però esce dalla nostra squadra. Da noi la squadra è un orchestra e se uno vuole fare il solista con noi non può stare. Su questi concetti ho cercato di impostare il lavoro delle mie squadre.

Quali sono a tuo avviso le cose più importanti per vincere e quanto ciò influenza i tuoi allenamenti?

La prima cosa è l’equilibrio di squadra. Inoltre, nella pallavolo maschile se non riesci ad essere aggressivo con il servizio sei nei guai. Le più grandi squadre anche nei momenti più difficili della partita continuano ad essere molto aggressive con la battuta, per cercare di mettere in difficoltà gli avversari. Che non significa solo battere forte ma anche avere battitori salto flot aggressivi, che battono bene, perché la battuta salto flot aggressiva può fare guai grossi nella ricezione avversaria. Tornando all’equilibrio di squadra è molto importante che i giocatori non pensino solo alla prima azione, a concludere sempre e solo il punto con la prima azione, ma a dare continuità al gioco perché quello fa la differenza. Altro aspetto importante nella pallavolo maschile è avere schiacciatori fisicamente forti che ti consentano di poter giocare anche quando non hai la ricezione tanto precisa. Nella femminile è un po’ diverso; la battuta anche li è molto importante però con il fatto che le azioni sono più lunghe la battuta diventa meno importante. In generale l’attacco è sicuramente molto importante ma lo è ancora di più gestire il sistema, sapere gestire con intelligenza l’attacco con palla non perfetta per potersi creare la possibilità di avere una seconda azione. Quando è arrivato in nazionale Leal, in Brasile si diceva che Leal e Lucarelli non potevano giocare insieme. Io rispondevo che invece non era così, e bastava guardare la pallavolo mondiale. La Russia ha due posti 4 che sommati insieme non fanno un ricevitore. Noi abbiamo vinto le olimpiadi con dei ricettori non fantastici ma con attaccanti di banda forti e con un centrale che anche con la ricezione staccata gioca con efficacia il primo tempo. Se una squadra può schierare due posti 4 molto forti in attacco, non può prescindere dal farli giocare insieme. Magari nel corso del set ogni tanto li cambi, come fa la Lube quando ogni tanto fa uscire Leal per Kovar che da un po’ più di equilibrio, ma di base in 4 giocano i due attaccanti più forti. La forza nei due laterali è un elemento molto importante e contraddistingue le squadre più forti. Bisogna trovare il sistema per mettere in campo gli attaccanti più forti a costo di rischiare un po’.

Come costruisci la seduta di allenamento? Quali sono i tuoi principi? E quanto alleni la battuta e la ricezione?

In nazionale noi facevamo una settimana tipo con: 2 sedute il lunedì, 2 il martedì, 1 il mercoledì, 2 il giovedì, 1 il venerdì mattina e poi lasciavo liberi il fine settimana. Con queste 8 sedute di solito non saltiamo la mattina tranne il venerdì mattina perché facciamo lavoro tecnico. Begli allenamenti dove non saltiamo usiamo le macchine spara palloni, gli assistenti che battono, in modo da avere tutti i giorni la ricezione nell’allenamento della mattina. Nell’allenamento del pomeriggio, dove si salta, abbiamo sempre la battuta, in modo che sia battuta che ricezione vengano allenate almeno una volta tutti i giorni della settimana. Anche nei club che ho allenato ho utilizzato un sistema molto simile a questo che utilizzavo in nazionale. Al mattino dividiamo molto la squadra per fare lavori specifici, ma la ricezione c’è tutti i giorni. Oggi a mio avviso in molti giocatori manca qualità in questo fondamentale e i problemi di qualità si risolvono solo ripetendo, ripetendo, ricreando situazioni simili a quelle della partita, creando situazioni di difficoltà, mettere obiettivi che per essere raggiunti devono far soffrire i giocatori. Lavorare, lavorare su tutti i piani possibili. I centrali alla mattina pur non saltando, lavorano sugli spostamenti, sul palleggio; ci focalizziamo soprattutto su quello che dovranno poi fare durante le partite. Perché magari in un momento decisivo il palleggiatore difende, il libero è fuori, deve palleggiare il centrale e se questo fa un disastro poi ci mangiamo le mani. E quindi al mattino con i centrali ripetiamo tantissimo queste azioni; fano spendere poche energie ai centrali ma sono dettagli che poi si rivelano importantissimi ai fini del risultato finale. Alla fine, spesso sono i dettagli che fanno la differenza. Al pomeriggio il nostro lavoro si basa su una filosofia un po’ diversa da quelle europea in cui si lavora molto con esercitazioni ad obiettivi. Noi facciamo molto meno lavori ad obiettivi; li facciamo anche noi ma di meno. Se io devo raggiungere un obiettivo cercherò le soluzioni più efficienti, e quindi lavoreremo poco sui punti deboli. Se sono il palleggiatore e faccio un esercizio a obiettivo do la palla sempre al più efficiente; lascio da parte quelli che possono essere i punti deboli e quindi non li alleno. E se non li alleno poi in partita saranno in difficoltà. Se invece io mischio i giocatori e faccio molto volume di allenamento, in quel momento vengono contemplate tutte le soluzioni e non solo quelle più efficienti che invece andrò a cercare se ho un obiettivo a punti. Lavorare molto ad obiettivi secondo me, proprio per queste considerazioni, limita la crescita di alcune situazioni tecniche.

Nel 6X6 utilizzi titolari e riserve o mischi le squadre? Utilizzi seconda e terza palla? Punteggio o senza punteggio?

Tante volte lavoriamo senza punteggio. Con le donne utilizzo un po’ di punteggio a fine allenamento per sviluppare un po’ di agonismo; gli uomini hanno più agonismo, sono più competitivi di base, e quindi serve meno usare i punteggi. Io più che i punti amo creare delle situazioni; creo allora la situazione con la ricezione perfetta, la situazione con la ricezione negativa, e così via, e le alleno. Ad esempio, quando avevo la Fofao che aveva 42 anni e non saltava più a muro, nelle rotazioni in cui lei era in prima linea muravamo a due e i battitori tiravano la battuta a mille. Ecco, noi queste situazioni in allenamento le provavamo tantissimo. Io credo molto nel costruire in allenamento queste situazioni, allenarle, lavorare sulle debolezze per migliorarle.

Durante l’allenamento parli con i giocatori? Dai feedback positivi? Li riprendi quando sbagliano? Fai ripetere?

Dipende. Ho avuto grandi giocatori a cui piacevano molto le sfide, le cose più difficili, giocare in campi caldissimi, con pubblico che ti tifa contro. E con loro mi comportavo in un modo. Terminata quella generazione ho avuto una generazione molto diversa, con i quali se avessi usato gli stessi feedback, lo stesso stile comunicativo, avrei fatto dei danni, perché per loro non andava bene, avevano bisogno di altro. Ho studiato molto e ho imparato il feedback a “sandwich” in cui do prima un feedback positivo, poi correggo e per finire do un altro feedback positivo. E ho capito che con questa nuova generazione era meglio questo tipo di feedback. Non tanto perché erano migliori o peggiori dei precedenti, ma semplicemente perché erano diversi. Le generazioni sono diverse. E noi ci dobbiamo adattare a loro. I principi e i valori di base devono rimanere gli stessi però deve essere diversa la forma. Perché dobbiamo sempre fare in modo di mettere i giocatori più a loro agio possibile. Tante volte cerchiamo di cambiare i nostri giocatori, ma quante volte invece pensiamo che anche noi possiamo cambiare? Ci sono ragazzi che se messi troppo sotto pressione soffrono, mentre altri ci sguazzano quando li metti sotto pressione. E anche per le donne è la stessa cosa; ad alcune piace la sfida, ad altre non tanto. Il nostro compito è capire queste situazioni e comportarci di conseguenza per trarre il meglio da loro. Ogni persona è diversa e quindi per ogni persona serve una strategia diversa. Devono essere quindi trattati con forme diverse, mantenendo però gli stessi principi.

Quanta autonomia dai ai tuoi giocatori? Quanto condividi con loro?

Ai mei inizi come allenatore, forse per una questione di insicurezza, davo troppe informazioni, che poi si tramutano in interferenza, caos. Noi dobbiamo studiare molto e acquisire molte informazioni ad esempio sull’avversario ma poi dobbiamo filtrare il tutto e passare a loro quelle più essenziali e più semplici. Oggi in Brasile a livello sociale abbiamo una situazione in cui molti ragazzi lasciano la scuola molto presto e quindi non sviluppano la capacità di concentrazione, di studiare. Capita poi che anche con giocatori evoluti le riunioni tecniche, più di 15 minuti non siano più fruttuose; stanno li ma pensano agli affari loro, non serve a niente. Ecco che allora la mia filosofia è quella di dare poche e concise informazioni e coinvolgerli molto nello studio dell’avversario nel momento della preparazione alla partita. In quel modo facciamo conquistare ai nostri giocatori l’autonomia. Non devo essere io a dare autonomia ma devono essere loro a conquistarsela. E tante volte i giocatori non la vogliono l’autonomia perché sono più comodi e più sicuri se sei tu a dargli l’informazione. “Io ho fatto come hai detto te” è il modo migliore per scaricarsi da ogni responsabilità. Altri invece vogliono fare, vogliono prendere decisioni; sono quelli che leggono, che guardano, che studiano, e a questi mi piace lasciare spazio. L’autonomia è un processo. Il libero di Trento ha piena libertà di gestire la seconda linea, così come succedeva con  me con Sergio, perché questi sono giocatori in grado di prendersi l’autonomia che serve. Adesso ho un giovane libero che sta migliorando molto, ma ancora non è in grado di prendersi l’autonomia che aveva Sergio in campo. Deve capire, studiare le situazioni, capire dove, come, quando. La stessa cosa per i centrali. Gustavo era uno che aveva la capacità di comandare lui in campo il nostro muro. Avevo uno del mio staff che era responsabile del muro; questi parlava con Gustavo ma poi era Gustavo che prendeva la decisione in campo. Ma questo perché lui era in grado di farlo. Molto è legato anche alla personalità del giocatore; al volersi assumere determinate responsabilità, perché ad alcuni non interessa, non vogliono assumersi responsabilità.

Come dividi i compiti con il tuo staff in allenamento e in partita? E quanto ritieni importante lo scambio di informazioni tra i giocatori sia durante le partite che gli allenamenti?

A livello di staff ho sempre avuto un assistente che condivide con me le informazioni sul piano strategico della partita. Poi ce ne è un altro che ha un compito più focalizzato sul lavoro tecnico in allenamento e di scout tecnico della nostra squadra durante le partite. Mentre poi c’è uno scout esterno, non in panchina, che scoutizza gli avversari. In allenamento spesso ci sono altri allenatori che aiutano in palestra a cui do precise responsabilità; ad esempio di seguire più un determinato giocatore in un dettaglio di un fondamentale su cui questo deve migliorare (es. lancio del pallone in battuta, ecc…). Riguardo poi allo scambio di informazioni tra i giocatori, torniamo al discorso del sapersi assumere delle responsabilità. Quando è arrivato in nazionale Sidao, Gustavo gli dava indicazioni, soprattutto riguardo al muro, così come faceva anche Rodrigao con i giovani centrali che arrivavano in nazionale. E a me questa è una cosa che piace molto perché primo di tutto dimostra il coinvolgimento dei nostri giocatori più esperti, che si preoccupano di far crescere i più giovani. Inoltre è interessante perché siamo sempre noi allenatori a stimolare gli atleti a fare qualcosa, e se queste indicazioni vengono anche da un’altra voce che non è quella degli allenatori secondo me è importante. E’ una cosa che gli uomini la fanno con più facilità mentre le donne hanno un po’ più difficoltà nel farlo, ma noi lo dobbiamo stimolare.

Come prepari e come gestisci la partita? E il dopo gara?

In allenamento lavoriamo prevalentemente su di noi ma un pochino anche pensando alla squadra che affronteremo nella prossima partita. Ci sono partite particolarmente importanti che le prepariamo lavorando ogni allenamento della settimana sulle cose che possono mettere in difficoltà quell’avversario. Prendiamo le due, tre cose che sappiamo che possono mettere in difficoltà quella squadra, stabiliamo una strategia di gioco e la ripetiamo ogni giorno, in continuazione, per tutta la settimana. Durante la partita vediamo se c’è da fare qualche aggiustamento rispetto a quanto avevamo preparato. Parlo con i centrali per il muro, con il libero per la difesa. Molti allenatori si basano solo sui numeri; i numeri sono importanti ma ci sono altre cose, intangibili, che sono altrettanto importanti, sensazioni che non si trasmettono solo con i numeri ma che l’allenatore, così come il palleggiatore per la distribuzione del gioco, deve “sentire”. Riguardo al post partita facciamo un video molto compatto con lo studio della nostra partita con le cose da migliorare da mostrare a qualche giocatore o a tutta la squadra in modo da portare il focus sulle cose più importanti.

 


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