Riportiamo l’articolo che il nostro blogger Filippo Vagli ha scritto per la
rivista on-line di pallavolo Volleyball.it e pubblicato nella rubrica “A spasso nel tempo”
LE OLIMPIADI DI LOS ANGELES DEL 1984.
ITALIA DI BRONZO. Di Filippo Vagli
Dal 28 luglio al
10 agosto 1984 nella città californiana di Los Angeles, va in scena per la
sesta volta nella storia delle Olimpiadi il torneo di pallavolo. Quell’edizione
dei giochi olimpici, la ventitreesima, rappresenterà una vera e propria pietra
angolare sia per la pallavolo mondiale che per quella italiana. Sarà infatti proprio
durante quell’olimpiade che si rivelerà al grande pubblico la straordinaria ed
innovativa nazionale statunitense che, oltre a dominare le scene internazionali
fino al 1990, cambierà in maniera sostanziale la pallavolo mondiale. Così come
dalla California per la prima volta nella nostra storia, la nazionale azzurra
farà ritorno in patria con quella medaglia di bronzo, che rappresenterà una
positiva ventata d’aria fresca per tutto il movimento pallavolistico italiano
dell’epoca.
E pensare che
noi a quella Olimpiade non dovevamo nemmeno esserci. Il nostro girone di
qualificazione olimpica non era andato particolarmente bene. Una brutta
sconfitta rimediata con la Bulgaria ci aveva infatti estromesso definitivamente
dalla fase finale dei giochi olimpici. Fino a che nel maggio di quell’anno,
l’allora Unione Sovietica che con il suo squadrone domina la scena pallavolistica
mondiale da un buon decennio, a causa di una reazione al boicottaggio degli
Stati Uniti alle olimpiadi di Mosca del 1980, decide di non partecipare ai
giochi olimpici. Per solidarietà all’Unione Sovietica, anche le altre squadre del
“blocco sovietico”, composto da nazionali di grande valore internazionale quali
Cuba, Bulgaria e Polonia decidono di non partecipare alla manifestazione. La
Federazione internazionale decide allora di ripescare Italia, Cina e Corea del
Sud, vale a dire le prime tre delle squadre “non elette” durante il girone di
qualificazione olimpica.
Dieci quindi le
squadre ammesse alla manifestazione, divise in due gironi da cinque. Il girone
A, composto da Argentina, Brasile, Corea del Sud, Stati Uniti e Tunisia, e il
girone B da Canada, Cina, Egitto, Giappone e dai nostri azzurri, guidati in
panchina dal Professor Silvano Prandi che in quegli anni, grazie alla
possibilità del doppio mandato siede oltre che sulla panchina azzurra anche su
quella della squadra di club Robe di Kappa Torino. Suo vice fidato è quel Nerio
Zanetti che nella stagione successiva (1984/85) conquisterà a Bologna uno
storico quanto inaspettato scudetto, sovvertendo tutti i pronostici e battendo
in finale la Panini Modena guidata in panchina da Andrea Nannini. Prandi e
Zanetti costruiscono quella nazionale sull’asse Torino – Parma: Franco Bertoli,
Pupo Dall'Olio, Giancarlo Dametto, Guido De Luigi, Fabio Vullo, Giovanni Errichiello,
Gianni Lanfranco, Andrea Lucchetta, Pier Paolo Lucchetta, Marco Negri, Piero Rebaudengo
e Paolo Vecchi sono i dodici atleti convocati dai nostri selezionatori. Cinque
giocatori della Santal Parma (Negri, P. Lucchetta, Errichiello, Lanfranco e
Vecchi), quattro della Robe di Kappa Torino (Dametto, Rebaudengo, De Luigi,
Vullo) e i soli Dall’Olio, Andrea Lucchetta e Franco Bertoli provenienti dalla
Panini di Modena. Quest’ultimo, appena trasferitosi nella città della
Ghirlandina dopo sei anni di grandi successi, trascorsi sotto la guida Silvano
Prandi, a Torino.
Il palleggiatore
titolare della squadra è Piero Rebaudengo, un alzatore “moderno”, alto e forte
oltre che nel palleggio anche nel fondamentale del muro. Il prestigiatore Pupo
Dall’Olio, vero mago del palleggio, è il suo secondo. Nel ruolo di opposto titolare
viene schierato un giovanissimo Fabio Vullo, che in alcuni frangenti di gioco cede
il posto a Paolo Vecchi, atleta eclettico che nella squadra di club (Santal
Parma) gioca come centrale. Vecchi è un grande specialista nel fondamentale
della ricezione, tanto da venir spesso chiamato in causa dal nostro tecnico per
puntellare la nostra seconda linea nei momenti di sofferenza della squadra.
Franco Bertoli, detto “mano di pietra” e il napoletano Gianni Errichiello,
grande attaccante e ricevitore, sono i due schiacciatori, con il mancino Marco
Negri, straordinario specialista del “mani e fuori”, primo cambio del duo
titolare. Al fine di dare maggior potenza alla nostra prima linea, si era
cercato in tutti i modi di “naturalizzare” un forte giocatore italo – canadese,
Stelio De Rocco, che dal 1980 calcava i parquet italiani. Il suo passaporto però,
non arrivò in tempo utile e così il potente posto quattro della Bartolini
Bologna non sarà tra dodici uomini scelti di Prandi per la spedizione di Los
Angeles. Al centro i due titolarissimi sono Gianni Lanfranco, giocatore di
classe immensa, uno dei centrali più forti al mondo, che al termine della
manifestazione sarà inserito nel sestetto ideale dei giochi olimpici, e il
torinese Giancarlo Dametto, atleta poco appariscente ma maestro del muro,
fondamentale tanto caro a mister Prandi.
La nazionale
italiana inizia nel migliore dei modi la propria olimpiade il 29 luglio
battendo con un bel 3 a 1 l’ostico Canada dei grandi John Barret, che sarà poi protagonista
del nostro campionato in quel di Bologna, Glenn Hoagg, centralone che da
quell’estate vestirà la maglia dei Lupi di S. Croce fino ai primi anni ’90 e Paul
Gratton potentissimo opposto a Treviso nell’anno 1990/91. Anche la seconda
gara, quella con la Cina, ci vede sovrastare la squadra asiatica con un
perentorio 3 a 0, ma il 2 agosto nell’ultima partita del girone, quella contro
i piccoli ma funambolici Giapponesi, rischiamo di compromettere il nostro
percorso. Succede infatti che, dopo esserci portati avanti per due set a uno e trovandoci
14 – 11 nel quinto set, non riusciamo a chiudere il quindicesimo punto che ci
avrebbe regalato l’accesso alle semifinali, complice anche qualche decisione
assai discutibile del primo arbitro. La squadra nipponica con i suoi schemi
d’attacco superveloci e con difese che hanno dell’incredibile ci condanna ad
una sconfitta che potrebbe complicare e non poco il cammino della nostra
squadra verso la fase successiva.
Il nostro
destino si decide quindi nella terza giornata della manifestazione. Battiamo con
un netto 3 a 0 il debole Egitto e approfittiamo della debacle del Giappone che
subisce un perentorio quanto inatteso 3 – 0 dal Canada. Grazie al miglior
quoziente set riusciamo a qualificarci per la fase successiva come seconda del
girone dopo il Canada, mettendoci alle spalle la squadra asiatica che ci aveva battuto
pochi giorni prima nella gara del girone.
Eccoci quindi in
semifinale. Nel gruppo azzurro c’è grande entusiasmo; la squadra prendendo
consapevolezza della propria forza ha acquisito fiducia e pare potersela giocare
ad armi pari con il Brasile, arrivato primo nel proprio girone, e guidato da
quel De Freitas Paulo Roberto detto Bebeto, che sarà poi grande allenatore
della storica Maxicono dei primi anni ’90. L’Italia parte forte e sull’onda
dell’entusiasmo si aggiudica il primo set con un combattutissimo 15 a 12. Ma
dal secondo set in poi la classe e la velocità dei brasiliani viene a galla e i
sudamericani si aggiudicano senza storia i successivi altri tre set lasciando i
nostri portacolori a due, a tre e a cinque punti.
Gli schemi
d’attacco della nostra nazionale sono piuttosto semplici e prevedono il
centrale in attacco di primo tempo, che a quel tempo si chiamava “veloce”, e una
semplice palla alta alle bande, mentre Wiliam Da Silva, l’istrionico alzatore
brasiliano, oltre ad avere una notevole varietà di schemi, gioca con gli
schiacciatori di posto quattro e due delle traiettorie rapidissime, veloci e
tese quasi come fossero dei primi tempi, che mandano letteralmente in tilt il
nostro sistema muro – difesa. Anche la fase cambiopalla dal secondo set inizia
a fare acqua da tutte le parti, bombardata letteralmente dalla batteria di
battitori in salto della squadra sudamericana. Montanaro, Wiliam Da Silva,
Renan Dal Zotto e Xandò, imperversano dalla linea dei nove metri con vere e
proprie schiacciate più che battute, cogliendo impreparati i nostri
portacolori, poco allenati a ricevere battute di quel tipo, dal momento che in
quegli anni, nel nostro campionato pochissimi atleti battono in salto e
comunque nessuno con una simile intensità. Basti pensare che nella nostra
squadra il solo Franco Bertoli utilizza la battuta in salto con continuità
mentre tutti gli altri giocatori battono piedi a terra, qualcuno addirittura
con la storica battuta a “bilanciere” e quindi nemmeno dall’alto. Quella verde
oro è una grandissima nazionale: giocatori come Bernardinho, Xandó, Montanaro,
Renan Dal Zotto, William Da Silva, Amauri Ribeiro, Rajzman Bernard, molti dei
quali negli anni a seguire impreziosirono il nostro campionato di serie A1
vestendo le maglie dei più prestigiosi club di casa nostra, fanno venire i
brividi solo a nominarli.
Al termine del
match la delusione in casa azzurra è tanta, ma non c’è tempo per piangere sul
latte versato dal momento che quarantottore dopo si gioca per il bronzo e ci
troviamo di fronte nuovamente il roccioso Canada con una gran voglia di
rivincita. Una medaglia sarebbe un risultato storico per la nostra squadra che,
alla terza partecipazione olimpica (le altre due erano state Montreal 1976, e
Mosca 1980) non era mai riuscita a salire sul podio olimpico. E l’Italia ce la
fa, mettendo in campo una grande prestazione sia tecnica che caratteriale e
rifilando ai boscaioli canadesi un netto 3 a 0 con i seguenti parziali: 15-11,
15-12, 15-8. Un risultato storico per la nostra pallavolo impreziosito dal
fatto che la i nostri azzurri saranno l’unico team italiano a vincere una
medaglia negli sport a squadre di quell’olimpiade.
Ad aggiudicarsi
l’oro è la nazionale a stelle e strisce di Doug Beal che in finale schianta la
nazionale brasiliana con un netto 3 – 0 e parziali che non lasciano dubbi
sull’andamento della gara stessa: 15 – 6, 15 – 6, 15 – 7. Stati Uniti che
schierano un sestetto che farà poi la storia della pallavolo mondiale composto
dal computer Dusty Dvorak in regia, dal potentissimo Pat Power nel ruolo di opposto,
da Aldis Berzins e Karch Kiraly schierati come schiacciatori – ricevitori a
tutto campo e da Steve Timmons e Craig Buck a completare il sestetto come grandi
centrali di attacco e muro. Tutti atleti che, oltre a segnare la storia della
pallavolo mondiale, vestiranno le maglie delle squadre di club più prestigiose
d’Italia tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.
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