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giovedì 27 maggio 2021

MAURIZIO MORETTI: LA MIA PALLAVOLO

 


Trascrizione dell'intervista rilasciata a Coach Factor da MAURIZIO MORETTI, uno dei Coach più preparati e stimati nel panorama della pallavolo giovanile italiana.
Una piacevolissima chiacchierata in cui Moretti traccia le linee guida della sua Pallavolo

Qual è la tua idea di pallavolo in tre parole?

Attacco, difesa (non far cadere la palla a terra), organizzazione di gioco

Ritieni corretta la differenziazione tra la pallavolo giovanile e la pallavolo senior e tra pallavolo maschile e pallavolo femminile?

La mia idea è che in Italia si faccia una divisione tropo netta tra pallavolo maschile e pallavolo femminile, cosa che in altri paesi tipo USA e Brasile c’è molto di meno, basti pensare come i loro allenatori di riferimento passino tranquillamente dal maschile al femminile senza particolari difficoltà. Da noi vedere i nostri più grandi allenatori del maschile allenare il femminile sarebbe qualcosa di impensabile, come peri tecnici specializzati nel femminile passare al maschile dal momento che in Italia sembra che pallavolo maschile e femminile sembra siano due cose diverse l’una dall’altra. Secondo me è sempre pallavolo, certamente con alcune differenze. La differenza più grande è come diceva tanti anni fa Velasco, la forza, che determina delle variazioni nella tecnica tra la maschile e il femminile. Tra settore giovanile e alto livello, la cosa che più fa la differenza è la tecnica, che nell’altro livello c’è mentre nel settore giovanile cerchiamo di costruire

Negli ultimi anni, in tanti sport compresa la pallavolo si sta diffondendo l’idea che sarebbe opportuno ridurre l’allenamento della tecnica pura a vantaggio delle abilità sviluppate nelle situazioni di gioco. Tu cosa ne pensi?

Io penso che la tecnica comunque vada insegnata e il problema è come insegnarla perché se ci sono carenze tecniche è difficile pensare al medio alto livello. A mio avviso la tecnica va insegnata, ma bisogna partire dal gioco, non bisogna partire dagli esercizi analitici perché danno poco all’atleta dal momento che c’è poco transfert. I ragazzi non riescono a trasferire questi esercizi nella situazione di gioco e quindi imparano a fare bene gli esercizi ma non a giocare meglio. Dobbiamo quindi trovare il modo di fargli fare tecnica attraverso il gioco

 

A livello di gestione di una squadra, quali sono secondo te le differenze fra un gruppo senior e un gruppo giovanile, sia a livello di crescita tecnica che a livello di obiettivi

Nella gestione vera e propria, chiaramente va tenuto conto dell’età e della personalità dei ragazzi. Se io vado a fare anche una lezione di minivolley con i bambini, c’è anche lì un problema di gestione nel senso che loro ti mettono alla prova, vedono come li comandi, cosa possono fare e quindi a qualsiasi livello vanno attuate delle tecniche per gestire le situazioni, anche se ovviamente le tecniche saranno diverse perché è evidente che non posso trattare la Egonu come tratto un bambino del minivolley.

Pensi che esista un limite anagrafico per cui un allenatore non è più la figura ideale per un gruppo giovanile? Alcuni allenatori che hanno una certa età pensano che non sia più opportuno allenare gruppi giovanili perché pensano che ci sia una distanza troppo ampia nel linguaggio e nel modo di pensare da quella di atleti di 15 -16 anni. Secondo te esiste questo problema o si tratta solo di sapersi adattare?

Credo che dipenda dalla mentalità rigida, statica o dinamica di un allenatore. Io negli ultimi anni sto seguendo un allenatore che per me è stato un esempio già quando iniziavo ad allenare tanti anni fa, ed è Silvano Prandi. Silvano penso che abbia superato i 70 anni e continua ad allenare perché possiede una grande capacità di cambiamento che non dipende dall’età ma dalla mentalità della persona. Questo è fondamentale per un allenatore. Deve saper cambiare, deve saper migliorare, studiare in continuazione per essere sempre all’altezza della situazione e soprattutto al tempo con i tempi. Questa secondo me è la cosa fondamentale. Se penso all’allenatore che sono oggi e all’allenatore che ero 20 anni fa, non mi riconosco, sono completamente cambiato. Ed è giusto così perché se facessi le stesse cose che facevo 20 anni fa non farei bene il mio lavoro perché i tempi sono cambiati.

Ad inizio stagione tu prevedi un incontro con la tua squadra e se sì, lo usi solo per dare indicazioni generali e quindi regolamenti, orari, logistica, oppure dai anche delle indicazioni specifiche su quelli che saranno gli obiettivi della stagione e sul progetto tecnico o tattico della squadra?

Sicuramente faccio questo incontro, ma ti dirò che la mia abitudine è quella di fare un meeting tutte le settimane, cosa che secondo me è molto importante. Nel primo incontro, ma anche nei successivi, quello che per me è importante è spiegare come deve giocare la squadra, i sistemi di gioco, le competenze, tutto quello che costituisce il nostro stile. Le prime riunioni sono quindi informative su questi tipi di sistemi, sistema di ricezione, d’attacco, alzata, muro e difesa. Tuti i vari equilibri che ci devono essere in una squadra.

Parlando sempre di gruppo giovanile, come ti orienti per quello che riguarda la scelta del capitano? Per te è importante che il capitano sia quello voluto anche dai compagni e quindi contempli anche l’ipotesi della votazione con il rischio che poi venga scelta una giocatrice non adatta al ruolo? Oppure scegli tu sulla base di altre caratteristiche? C’è chi vuole il palleggiatore, chi vuole il ricettore attaccante, chi vuole la più esperta, chi la più forte. Quali sono i tuoi criteri?

Partiamo dal concetto che il capitano è importante ma non è tutto. Leggevo degli scritti di Guardiola, il famosissimo allenatore di calcio, in cui diceva che quando costruisce un gruppo, cerca quattro pilastri, un po’ come se la squadra fosse una sedia. E quindi in ogni squadra, così come in una sedia ci devono essere quattro buoni sostegni, pilastri, e il capitano è sicuramente uno di quelli, ma ne servono altri tre. Per pilastri intendo degli elementi che siano di riferimento da ogni punto di vista e quindi non solo tecnico ma anche umano e comportamentale per tutta la squadra perché poi tutto il resto viene da sé. E quindi ogni allenatore a mio avviso deve cercare questi quattro pilastri, e uno di questi deve essere senz’altro il capitano. La sua ricerca prescinde dal ruolo e dall’età. Far scegliere alla squadra è una cosa che io non ho mai provato ma potrebbe essere una cosa interessante, però in un gruppo che già si conosce. Il rischio che il gruppo possa eleggere un atleta che non è adatto al compito mi rimanda all’idea di gruppi disgregati, non uniti, per cui bisognerebbe poi mettere in campo delle strategie per riequilibrare la cosa

Parlando sempre di gruppi giovanili, che regole ti dai per la comunicazione con la squadra? Essendo atleti minorenni, ti interfacci anche con i genitori? Preferisci che i genitori restino fuori? Fai parlare la società con i genitori? Come ti comporti in questo senso?

Io penso che nella realtà di oggi, dove i genitori si intromettono troppo, in tutto, compresa nella situazione sportiva, creando dei problemi enormi ai ragazzi più che a noi allenatori, perché lo sport deve essere un qualcosa del ragazzo e non una cosa della famiglia. Tutti quelli della mia generazione che hanno fatto sport, ricorderanno sicuramente che i genitori erano completamente fuori, quasi non sapevano nemmeno se noi vincevamo o se perdevamo le partite. Lo sport era un qualcosa di nostro. Ma questo concetto di autodeterminazione è un qualcosa di fondamentale. Io faccio sport per me, non devo fare sport per papà, per mamma o per sentirmi riconosciuta dai miei coetanei. Devo arrivare a fare sport per me, perché l’autodeterminazione è un qualcosa che da una forza enorme. Per cui io cerco di svilupparla questa autodeterminazione cercando di avere dei rapporti sempre diretti con gli atleti e non con i genitori. E’ chiaro che un rapporto iniziale con il genitore di un atleta minorenne c’è, per conoscersi, per definire le cose, per definire un rapporto, ma via via che si va avanti il rapporto deve essere sempre di più con l’atleta anziché con il genitore, il quale deve solo fare una sorta di controllo del proprio figlio, verificando che il figlio viva l’attività sportiva in maniera serena, divertendosi, facendo cose positive per lui. Li però deve finire la funzione del genitore con lo sport del figlio ma purtroppo spesso non è così, fino ad arrivare a vedere genitori che fanno lo scout dei figli o della squadra a grande svantaggio dei figli perché non è una cosa normale e porta delle conseguenze sullo sviluppo del ragazzo

Parliamo ora di pianificazione stagionale. In quali aspetti la pianificazione di un gruppo giovanile è analoga a quella di un gruppo seniores e sotto quali aspetti invece è totalmente differente?

E’ analoga nelle cose generali perché comunque la pallavolo è uno sport di squadra e quindi dobbiamo mettere in campo una squadra che gioca e che vince, perché sappiamo benissimo che in Italia questo aspetto è molto importante. E’ invece molto diversa sul fatto che, almeno per quanto mi riguarda, è importantissima la crescita individuale dei ragazzi e quindi una parte importante della programmazione deve essere fatta in questo senso. Bisogna studiare l’atleta individualmente e capire che cosa può migliorare, cercando di individuare le cose che possono essere utili per il suo miglioramento. Questo può essere fatto anche nell’alto livello ma nel giovanile ha un’importanza maggiore. Dopodichè bisogna mettere in campo per migliorarle effettivamente, e questa è la cosa più complessa, più difficile.

Tu vuoi che l’atleta sia consapevole del percorso che deve affrontare, su cosa deve migliorare, oppure preferisci che l’obiettivo tecnico venga raggiunto in maniera inconsapevole?

Su questo non ho dubbi. L’atleta deve essere consapevole eccome. Ci sono tre tipi possibili di obiettivi. E qui entriamo in un discorso scientifico parlando di:

-          Obiettivi imposti

-          Obiettivi condivisi

-          Obietti autodeterminati

Gli obiettivi imposti hanno una probabilità di successo molto, molto bassa. E quindi se vuoi raggiungere un obiettivo senza che lo atleta lo sappia, la probabilità di successo è bassissima.

Gli obiettivi condivisi hanno un livello più alto di possibilità di successo

Gli obiettivi autodeterminati sono quelli che hanno la maggior probabilità di successo. Ecco perché io devo portare gli atleti non solo a condivisione ma all’autodeterminazione degli obiettivi. L’atleta che vuole migliorare una cosa specifica e quindi sceglie lui di migliorare quel preciso aspetto. Quando ciò avviene ho delle probabilità molto elevate di raggiungere quell’obiettivo.

Per quanto riguarda la gestione di un gruppo giovanile di alto livello e quindi di gruppi che puntano alle finali nazionali, quale ritieni sia l’impegno adeguato in termini di numero di allenamenti settimanali, di ore di allenamento, di sedute di condizionamento atletico, di partecipazione a campionati e tornei?

Io penso che ormai in Italia si sia raggiunto un livello giovanile tale per cui tutte le squadre under 16/18 non ci sia una squadra che non si alleni tutti i giorni dal momento che ormai c’è un’attività agonistica che è quasi professionale e quindi penso ci si debba adeguare a questo tipo di situazione. Faccio fatica a pensare che un gruppo che si allena due, tre volte la settimana possa essere competitivo a livello nazionale. Il giorno libero esiste, nel senso che io preferisco fare un allenamento in meno ma farli tutti bene piuttosto che fare un allenamento in più fato male. Questo è un concetto che rendo chiaro fin da subito alle mie squadre e quindi nel momento in cui sono stanchi non esito a dare riposo, oltre al riposo programmato di una volta alla settimana. Cerchiamo di stare attenti anche all’over training, perché durante la stagione gli impegni sono tantissimi. Detto questo però, tendenzialmente ci alleniamo tutti i giorni , tranne il giorno della partita e un giorno di riposo settimanale. Riguardo la durata degli allenamenti di solito le sedute sono di due ore, due ore e un quarto, perché questo penso sia il tempo giusto, non di più. Tranne quando facciamo i pesi perché in quel caso facciamo prima pesi e poi allenamento e quindi la seduta si allunga complessivamente. Noi di norma facciamo due sedute di pesi a settimana e ritengo che questo sia il minimo, per una squadra che si allena almeno cinque volte la settimana, indispensabile per evitare di incorrere in infortuni. Per quello che riguarda la partecipazione a campionati e tornei, nella mia programmazione il campionato di categoria è sempre più importante del campionato giovanile, il campionato di categoria deve essere la priorità. La categoria la scelgo non in base all’età ma al livello, nel senso che ho delle under 16 che giovano in C e altre che giocano in B2, in base a quelle che sono le loro capacità. Nella mia idea il campionato giovanile viene dopo. L’ottimale sarebbe fare due campionati, ne uno, ma neanche tre o quattro, o per lo meno due devono essere i campionati principali. Ai tornei partecipiamo però non li considero così importanti. Con l’under 18 di norma facciamo un torno a Pasqua, perché quello è il periodo dove si entra nelle fasi più importanti mentre con l’under 16 ne facciamo tre, per dargli qualche esperienza in più di gioco. I tornei, dal momento in cui in pochi giorni si giocano tante partite, di cui spesso una al mattino e una al pomeriggio, ricrea una situazione molto simile a quelle delle finali nazionali e quindi può essere utile a tal scopo. Però in conclusione posso affermare che la crescita vera dei ragazzi la otteniamo nei campionati di categoria. Se gioco in una B1 o B2, con obiettivi alti e quindi almeno quello di mantenere la categoria, questo è il vero momento di crescita dell’atleta e poi, a fianco di questo, c’è sicuramente l’attività giovanile. 

Quali figure tu ritieni imprescindibili per la gestione di un gruppo giovanile di alto livello?

Il problema dello staff è un problema che riguarda un po’ tutte le società per un discorso legato ai budget. Noi siamo 4 allenatori e gestiamo la B1, la B2 e le due serie C aiutandoci un po’ l’uno con l’altro. Credo sia molto importante avere un preparatore atletico e qualche rilevazione statistica perché queste ultime sono comunque importanti. Noi quest’anno stiamo provando a lavorare con l’uso del feedback e quindi con l’uso della ripresa durante l’allenamento, riprendendo alcune situazioni tecniche dei ragazzi che giocano e poi gliele facciamo rivedere. Penso che quella del feedback sia la chiave principali per lavorare sulla tecnica con i ragazzi. È una cosa che fatta bene richieste mezzi tecnologici importanti, ma noi, pur con i mezzi che abbiamo, dobbiamo trovare il modo di dare ai ragazzi più feedback possibili perché è una cosa importantissima e quindi anche un telefonino, un IPad, vanno benissimo per dare più feedback possibili

Pianificazione e programmazione degli allenamenti. Senza entrare troppo nello specifico ti chiedo qual è la tua filosofia riguardo al microciclo settimanale? E’ standardizzato a seconda del periodo? E’ standardizzato a seconda dell’obiettivo? Varia costantemente perché trattandosi di gruppi giovanili non è finalizzato al risultato come invece lo è nel seniores?

La programmazione per me è sicuramente settimanale. Quello che rimane stabile sono gli obiettivi tecnici dei ragazzi, che possono poi modificarsi durante l’anno, ma che di solito restano fissi per tutto l’anno. Io faccio quindi un programma settimanale di lavoro e una cosa importante che ho cambiato negli anni è che do molto spazio all’autovalutazione dell’atleta. L’atleta alla fine della partita mi manda una sua autovalutazione della partita che ha fatto e che consiste nell’indicare le cose che si sente di aver fatto bene e di indicare una zona di miglioramento, cioè una cosa che avrebbe voluto fare meglio in quella partita rispetto a come l’ha fatta e poi fornirsi dei piani di azione per come migliorare queste cose. Tutto questo ci porta verso quel concetto di autodeterminazione di cui abbiamo già parlato, perché per fare una cosa di questo tipo ci vuole grande consapevolezza da parte dell’atleta, al fine di strutturare degli obiettivi e stilare un piano di azione per raggiungerli. In questa fase le ragazze arrivano anche a dire quello che gli piacerebbe fare meglio nella prossima partita e quindi in che modo devono esercitarsi al meglio per raggiungere quell’obiettivo. E io queste cose cerco di tenerle presente nella programmazione settimanale. Mi appunto le cose che vengono dall’autovalutazione e cerco di tenerne conto nella programmazione del lavoro settimanale

Dal punto di vista del format segui lo schema rigido come si fa nell’alto livello, ovvero il lunedì si fa tecnica pura il martedì situazione di gioco, il venerdì la rifinitura pre-gara, oppure sei abbastanza elastico?

Questa è una delle cose in cui sono cambiato. Ero esattamente così, anche perché non sono molto creativo, faccio fatica a cambiare le cose, è un mio limite, sono un perseverante ma non sono un creativo. Questa cosa però ho cercato di modificarla perché se parli con qualsiasi atleta e gli chiedi se gli piace una situazione settimanale in cui sai già che il lunedì fai battuta – ricezione, il martedì fai muro e magari con lo stesso esercizio, e così via, chiunque ti dice che è una cosa pessima e quindi ho cercato di cambiare questa cosa. E quindi, anche se con molto fatica perché non mi viene spontaneo, cerco di proporre sempre cose diverse, magari mantengo lo stesso obiettivo ma cero di cambiare sempre l’esercizio

Cosa pensi degli allenamenti collegiali, quelli in cui le ragazze stanno insieme dal mattino alla sera con la doppia seduta. Quanto sono importanti per te, e se a tuo avviso ci sono dei periodi in cui è più indicato inserirli, come ad esempio nelle vacanze scolastiche, oppure più ce ne sono e meglio è?

Il discorso di collegialità con i giovani è importante. In fase inziale, ma anche in altri momenti. Una squadra di alto livello ad esempio ha già dei momenti di collegialità quando fanno le trasferte, nei ritiri, ecc… Con i giovani questi momenti non ci sono perché le trasferte sono tutte in giornata e quindi siamo noi che in qualche modo dobbiamo creare questi momenti. I tornei ad esempio, sono proprio dei momenti di collegialità per una squadra giovanile. Detto questo, posso dire che la doppia seduta non mi entusiasma. Ma questo anche se allenassi in serie A con delle atlete professioniste, la farei poco, perché preferisco fare un allenamento al giorno fatto molto bene piuttosto che due allenamenti fatti così, così. Quindi tendenzialmente preferisco lavorare con un allenamento al giorno fatto bene

 

Domanda a Maurizio Direttore Tecnico e non allenatore. Quanto coinvolgi il tuo staff nella programmazione degli allenamenti, anche se condotti da te, e se lo fai con quali figure? Esempio: ti capita di dire ai tuoi assistenti di dire: “preparami questo lavoro per il palleggiatore” demandandogli completamente l’organizzazione dell’esercizio oppure il tutto si svolge sotto la tua supervisione?

Io sono uno che delega molto e quindi non ho difficoltà a farlo. Mi capita con i miei assistenti di dirli “prendi quella ragazza e lavoraci in difesa”, delegando completamente a loro questi aspetti. Mi piace condividere molto con gli allenatori, così come con la squadra. Abbiamo un gruppo Watts app con i coach e un gruppo con le ragazze e io sempre metto l’allenamento in tutti e due i gruppi e quindi l’allenamento è a conoscenza preventiva sia per gli atleti che per lo staff, e condivido tutte le cose che è possibile condividere, sia con gli atleti che con gli allenatori perchè credo che questa sia la strada migliore. 

E’ risaputo che la gestione dell’errore è significativamente diversa tra un gruppo giovanile e uno seniores perché se da un lato l’errore è una tappa di un percorso di crescita, nel gruppo senior l’errore equivale alla perdita del punto. E quindi la filosofia dell’errore cambia. Tu che indicazione puoi darci rispetto alla gestione dell’errore nel gruppo giovanile?

Il problema dell’errore è una cosa importantissima. Io alle mie ragazze dico “dovete sbagliare” e non “potete sbagliare” perché sbagliando s’impara ma non sbagliando non si impara. Ci sono tanti esempi di ragazzi che per paura di sbagliare non imparano e questo è completamente sbagliato. Dobbiamo ricostruire il concetto di errore per far capire al giovane che deve buttarsi, deve fare le cose nuove per poter apprendere cose nuove. Con la squadra parlo infatti pochissimo di errore, al massimo parlo di efficienza che sembrano due cose simili ma non lo sono. Faccio un esempio: se dico “cerchiamo di avere in battuta un’efficienza maggiore di zero” significa che se io ho fatto due errori in battuta devo fare due ace. Che è diverso da dire “non sbagliare la battuta”. Parlare di efficienza significa che io devo fare due punti e non che non devo sbagliare e che il numero dei punti deve essere superiore al numero degli errori di un certo tot. Devo quindi vedere l’errore come un processo di miglioramento, un qualcosa che devo analizzare per migliorarmi ancora

Parliamo un po’ della gara. Iniziando con l’ultimo allenamento prima della partita. Come ti relazioni con questo appuntamento? Ha un’importanza specifica? Dai degli obiettivi particolari? Ha una durata limitata? Qualcuno nell’allenamento pre-gara fa solo battuta e ricezione un’oretta ad esempio. Quali sono le tue idee a riguardo?

Battuta e ricezione a basta assolutamente no, nel senso che facciamo un allenamento vero. Inoltre, negli ultimi anni io ho sempre fatto allenamento a squadre miste, e non titolari contro riserve che per tanti anni è stato un dogma per il mio modo di fare allenamento. Ho studiato alcune scuole che non facevano così, ho provato e ho trovato dei vantaggi straordinari, però il venerdì rimettevo titolari contro riserve. Quest’anno, anche parlando con le ragazze ho capito che anche al venerdì si può fare come negli altri giorni. La mia programmazione settimanale prevede di norma una prima parte di settimana con esercizio aspecifici, nel senso che non hanno lo stesso ritmo della partita mentre nella parte finale della settimana faccio esercizi di gioco specifici nel senso che hanno lo stesso ritmo della partita. Questa per la mia metodologia è la maggior differenza tra gli allenamenti di inizio e di fine settimana

Veniamo al giorno della partita. Prima di iniziare il riscaldamento sei abituato a parlare con la squadra? Fai un discorso motivazionale? Tecnico? Tattico? Non parli con le ragazze? Qual è la tua routine?

Prima della partita facciamo la riunione tattica. Abbiamo già fatto video in precedenza e riassumiamo le cose più importanti della partita, partendo dalla macro-tattica e quindi dagli elementi fondamentali per quella partita arrivando alla tattica più specifica, quella da fare rotazione per rotazione. Ultimamente coinvolgo molto gli atleti facendogli delle domande, chiedendo a loro cosa succede in quella specifica rotazione, e lo faccio soprattutto con i più giovani che sono quelli che tendono a subire passivamente la routine del pre-gara. Non lo faccio per interrogarli, anche se poi viene fuori una sorta di interrogazione, ma per coinvolgerli dal momento che sono loro che devono andare a giocarsi la partita. Discorsi motivazionali non ne faccio. Cerco di farmi vedere molto tranquillo e di ribadire che abbiamo una nostra filosofia di gioco e che dobbiamo cercare di realizzarla in tutte le partite.

Gestione tattica della gara. Se parliamo di una giovanile, e non di una serie B, ma giovanile contro giovanile. In che misura ritieni che sia importante una preparazione tattica di una gara che tenga conto delle caratteristiche dell’avversario? La tua idea è quella soltanto di imporre il tuo gioco oppure di imporre il tuo gioco ma sulla base di un’analisi dell’avversario? Che equilibrio dai a questi due aspetti?

Credo sia importante differenziare le categorie. Un under 14 non facciamo nessun’analisi dell’avversario e pensiamo solo a sviluppare il nostro gioco. In under 16 e 18, generalmente, fino alle finali non facciamo preparazione delle partite, non facciamo video. Se arriviamo alla finale regionale invece un pochino la partita la prepariamo, però diciamo che non è una preparazione approfondita se non dando qualche indicazione di massima. Se invece arriviamo alle finali nazionali, li operiamo come se fossimo una quadra seniores, anche perché di norma sono giocatrici che hanno già fatto campionati di serie B1 o B2 e quindi sono abituate a questo tipo di preparazione della gara

Nel momento in cui fate un’analisi delle avversarie, quali sono le informazioni che dai alle tue giocatrici? Tra le centinaia, migliaia di informazioni tattiche, quali informazioni ritieni imprescindibili?

La cosa fondamentale a mio avviso è la macro-tattica. Ci sono due, tre cose, che riteniamo fondamentali per affrontare quella specifica partita (che poi in partita possono cambiare perché a volte le partite prendono delle pieghe completamente diverse da come ce le eravamo immaginate). Tre cose del nostro cambio palla importanti e tre cose per nostra fase break importanti. Questa è la priorità. Poi se riusciamo scendiamo anche nei dettagli. Esempio: vado a giocare contro una squadra nella quale vogliamo mettere in difficoltà un determinato giocatori in ricezione e fermare un altro giocatore in attacco. Questi possono essere due punti della macro-tattica. Quella partita ce la giochiamo su quelle cose li. Almeno in partenza. Poi, possono essere modificate perché magari il giocatore che volevo fermare in attacco quel giorno li si infortuna e non gioca, devo ristrutturare la macro-tattica in base alla partita che si sta evolvendo in maniera diversa.

Quanta autonomia lasci alle tue giocatrici? Parlavo con un allenatore di nazionali giovanili estere e mi diceva che fino ad una certa età ordina due traiettorie d’attacco e la giocatrice deve fare quella traiettoria indipendentemente dal muro e dalla difesa. Altri allenatori invece lasciano molta più autonomia. A tuo avviso, bisogna trovare un equilibrio o dipende dall’età dell’atleta?

Secondo me bisogna sviluppare autonomia perché questo è uno degli elementi basilari per la crescita di un atleta. E quindi non sono assolutamente d’accordo con quella linea di pensiero. IO dico sempre che voglio formare dei leader e non dei giocatori e quindi devo fargli sviluppare autonomia fin dall’under 13 e 14. Quindi devono conoscere, devono sapere, devono prendere decisioni. E’ chiaro che è molto importante creare una consapevolezza nel ragazzo. Deve sapere effettivamente quello che sta facendo. Esempio: i nostri ragazzi sanno quali sono le traiettorie d’attacco con cui fanno più punti in una partita? Devo creare queste consapevolezze. Tornando al discorso del feedback devono avere gli strumenti per conoscere loro stessi e anche la loro squadra. E questi strumenti li devono portare a prendere delle decisioni. Noi guideremo il loro apprendimento però poi devono decidere per conto loro. Una sorta di consapevolezza guidata.

Nell’altissimo livello sappiamo esserci una ricerca sempre più spasmodica al dato statistico, all’analisi statistica dell’avversario, si scoutizza la distribuzione del palleggiatore nei primi 10 punti, negli ultimi 5, c’è quasi un’ossessione da questo punto di vista. Secondo te, nella pallavolo giovanile ha senso questo gioco di strategia oppure lo possiamo rimandare ad altre età?

Ti racconto un aneddoto. Alcuni anni fa andai ad ascoltare Riccardo Giuliani, quando allenava la Lube. Affrontando un discorso sulla fase break disse all’incirca queste parole: facciamo una preparazione quasi maniacale della partita. Abbiamo due scout che analizzano tutte le partite giocate dall’avversario fino a quel momento. Sapete quanto questa cosa incide in un set? Su 25 punti parliamo di 1, 2 punti. Noi la facciamo, perché nell’altissimo livello, 1,2 punti possono essere quelli decisivi, però parliamo veramente di una percentuale bassissima. Ecco, questa analisi per me è stata una cosa molto illuminante perché penso che sia proprio come ha detto lui. Oggi sentiamo sempre più parlare di gioco dentro il sistema e di gioco fuori dal sistema, una terminologia inventata dagli americani, ma il gioco per la maggior parte delle volte è fuori dal sistema. Io devo abituare la squadra a giocare fiori dal sistema e non dentro al sistema. Se mi abituo a giocare solo come se fossi sempre dentro il sistema non ne esco fuori, avrò una squadra che vincerà poco perché tutte le volte che si creeranno delle situazioni alternative (es: stabiliamo che noi battiamo in zona 5 perché abbiamo studiato che quando battiamo in zona 5 il palleggiatore se ha la ricezione doppio positiva alza in zona due, se ha la ricezione spostata avanti gioca in 4. Ma quante volte in una partita si crea quella situazione che ho studiato esattamente così come l’ho studiata? E invece quante volte in quella condizione li si creano altre situazioni che io devo risolvere lo stesso?). Quindi secondo me quello che fa la differenza è come la squadra sa risolvere le altre situazioni, non come sa risolvere quella situazione li.

Cosa pensi che in tema di pallavolo giovanile sia diventato più rilevante per il gioco in quest’ultimo periodo?

Prima dicevamo che l’attacco è quello che comanda. Poi, per me che sono uno della vecchia scuola, la difesa è sempre il termometro di una squadra, ma la realtà è che se non la metti giù non vinci e quindi l’attacco è sempre un elemento importante e le squadre vanno costruite con gli attaccanti e poi tutto il resto si costruisce di conseguenza

In futuro tu vedi questo aspetto che andrà rafforzandosi o potrà esserci qualche altro aspetto che diventerà preponderante, ad esempio la fisicità?

L’attacco è una conseguenza della fisicità. Se penso alla pallavolo, maschile e femminile, degli anni 80 con quella del 2018, le giocatrici di quell’epoca oggi non riuscirebbero a giocare. E questo per un problema di fisicità. Non che non erano brave, ma erano giocatrici con fisici normali, con altezze di salto normali, mentre adesso è praticamente impossibile giocare ad alto livello se non hai dei parametri fisici di un certo tipo, soprattutto nei ruoli di attaccante e di centrale.

Le squadre giovanili di alto livello, tu pensi che si debbano mantenere su uno stile di gioco semplice e scolastico e quindi con soluzioni d’attacco standardizzate e limitate, privilegiando l’esecuzione tecnica, oppure fin da subito pensi sia meglio cercare un gioco vario, simile a quello delle squadre seniores?

Non sono assolutamente dell’ide a che prima dobbiamo insegnare la palla alta e poi quando saranno più grandi impareranno la super e le altre palle veloci. Così come da giovani dobbiamo insegnare al palleggiatore ad alzare la palla alta e poi da grande imparerà ad alzare le altre traiettorie più velici. No, non sono convinto che sia così e tra l’altro penso che ci sia poco transfert tra le due cose, cioè che uno che impara la palla alta poi imparerà con facilità ad attaccare la palla super. E quindi a mio avviso il gioco va insegnato così com’è. Se ci sono traiettorie veloci perché servono traiettorie veloci, il palleggiatore deve imparare da subito ad alzare traiettorie veloci. E’ chiaro che deve imparare ad alzare anche la palla alta perché in alcune situazioni d’emergenza o di difficoltà dell’attaccante deve essere in grado di gestire anche quel tipo di pallone li.

Ti ho fatto questa domanda perché mi è capitato di assistere durante finali nazionali, quindi il massimo livello della pallavolo giovanile italiana, a partite in cui giocavano due squadre con concetti di gioco opposti. Una solo palla alta e l’altra tutte palle veloci. E se sono tra le prime dieci d’Italia vuol dire che entrambe funzionano, e quindi da lì sorge il mio dubbio su chi ha torto e chi ha ragione.

Ritengo sia un po’ forviante guardare solo il risultato finale per valutare quale è la filosofia migliore tra le due. La storia ci insegna che vincono tutti e perdono tutti e quindi se si va dietro solo a quelli che vincono si rischia di cambiare ogni volta tutto e invece io penso che la filosofia di un allenatore debba nascere da convinzioni ben più radicate che non la vittoria o la sconfitta in una manifestazione. Questo ce lo insegna anche l’alto livello mondiale. Quattro anni fa gli USA vinsero il mondiale con Kiraly mentre adesso lo hanno vinto le serbe. E allora seguiamo la scuola serba perché ha vinto, e non più la scuola USA? Secondo me bisogna studiare bene le varie scuole e cercare di capire i lati positivi di ognuna indipendentemente dal fatto che in una singola manifestazione possano vincere o perdere.

Usciamo un po’ dal discorso squadra e affrontiamo il tema della crescita degli atleti, un aspetto più individuale. Sulla base di cosa scegli le priorità su cui lavorare con le singole atlete? Hai un tuo credo che proponi a prescindere, pur con tutti gli adattamenti del caso, oppure fai un discorso veramente su misura. Esempio: se devi programmare la crescita tecnica di un ricettore attaccante, hai comunque dei capisaldi dai quali non esci, oppure ogni anno è un’esperienza nuova?

Sicuramente ci sono degli elementi chiave che in ogni fondamentale mi danno l’idea di quelle che secondo me sono le cose importanti. Poi è chiaro che le cose si modificano nel tempo e quindi ogni anno possono essere rimodellate. Penso però che la crescita dell’atleta debba essere a 360 gradi perché la realtà è che la crescita di un atleta non è solo tecnica. E’ chiaro che l’aspetto tecnico è fondamentale ma a volte ci sono cose che limitano la crescita tecnica, come la crescita mentale, il modo in cui uno affronta la pratica sportiva, che possono creare delle interferenze enormi che vanno a danneggiare la prestazione. C’è una formula che non è mia ma che uso molto: la prestazione di un atleta è data dal suo potenziale meno le interferenze. Questa è una regola dei mental coach ed è verissima. E quindi noi dobbiamo lavorare moltissimo sull’aumentare il potenziale ma anche sul ridurre le interferenze

Ci sono degli indicatori, e se sì, quali sono, che durante la stagione ti aiutano a capire se il progetto tecnico che hai pianificato sull’atleta sta procedendo in maniera efficacie? L’indicatore è la prestazione presa a se stante, i dati statistici di efficienza o di efficacia, un feedback anche emotivo? Quali sono gli indicatori per te?

Noi dobbiamo avere un feedback costante del lavoro che facciamo, e anche su questo ho provato a cambiare molto negli ultimi anni, provando a ridurre il tempo di studio della squadra avversaria e aumentare quello di studio della mia squadra e quindi dei miei giocatori. Non basta analizzarli da un punto di vista statistico. Se ho un atleta che è sceso di rendimento, devo capire il perché e quindi devo verificare la sua prestazione, come schiaccia, che tipo di errori fa, e quindi quando riguardo la partita cerco di classificare tutti glie errori dei giocatori. Cerco di avere dei video dei miei giocatori con gli errori che fanno in battuta, gli errori che fanno in attacco, in modo da analizzarli e cercare di trovare delle strategie per migliorarli. A loro cerco di far passare solo i feedback positivi e quindi gli faccio rivedere i punti che fanno in battuta, in attacco, cerco di fargli rivedere quello che fanno bene per fargli rimanere impressa la traccia memonica giusta, quella con il movimento fatto correttamente. Altra cosa che faccio è analizzare il modo in cui fanno punto i nostri attaccanti. Quali sono le traiettorie che utilizzano maggiormente. Il dato ottenuto poi lo condivido con loro al fine di cercare di potenziare ancor di più queste cose che già fanno bene e anche di trovarne delle nuove. L’attaccante che fa punto sempre con la parallela e usa poco la diagonale stretta, lo farò allenare maggiormente sulla diagonale stretta, senza trascurare la parallela. Quindi trovare nuovi stimoli, per avere nuovi equilibri ed una crescita effettiva

Nel caso una giocatrice non abbia raggiunto nei tempi prefissati l’obiettivo che ti eri preposto e che avevi condiviso come lei, come gestisci con l’atleta il “fallimento”? Soprattutto quando il “fallimento” lo riscontriamo a medio-lungo termine, tipo a fine stagione.

Questa è una bellissima domanda perché, per tanti motivi, oggi i giovani faticano ad accettare i fallimenti e noi dobbiamo insegnare loro che l’errore e il fallimento deve essere sempre di stimolo per migliorare. L’errore mi serve per capire cosa ho sbagliato e riprogrammare il mio colpo successivo. La sconfitta mi deve servire per capire che cosa ho sbagliato e che cosa devo migliorare nella partita successiva. Creando proprio insieme al giovane una filosofia di miglioramento continuo in cui le prestazioni sono step di questo processo di crescita. Per cui io lavoro costantemente per migliorarmi. Analizzo il fallimento e traggo spunto per un miglioramento successivo, in ogni caso. Che cosa abbiamo sbagliato? In cosa dobbiamo migliorare nel prossimo periodo? E quindi riprogrammare una nuova fase di miglioramento.

Ci sono delle cose che noi allenatori facciamo che sono pressochè inutili però l’abitudine nel farle è talmente forte che le facciamo ugualmente? Esempi: il “bagherone” io la considero una cosa inutile dal punto di vista tecnico ma visto che ai giocatori piace lo si fa fare. Oppure riguardo alla preparazione atletica: certi giocatori devono per forza fare dei lavori con gli elastici ma altri magari li fanno anche se non gli servono. A tuo avviso, c’è qualcosa che un po’ tutti noi allenatori facciamo ma di cui potremmo tranquillamente fare a meno?

I primi minuti in cui fanno palla a coppie a mio avviso non è allenamento. Glielo lascio fare, perché è una cosa che gli dà sicurezza, li fa star meglio, ma non è allenamento. Questo con i gruppi più grandi. Con le under 14 non lo faccio fare e li indirizzo fin da subito su cose più utili, con l’utilizzo della rete o comunque con esercizi diversi che la palla a coppie che secondo me ha una valenza tecnica pari a zero.

C’è stato un momento nella tua carriera da allenatore in cui ti sei detto: “sono stato veramente bravo”. Non necessariamente a fronte di un risultato ma magari quando hai visto tue giocartici giocare poi ad alto livello

Per tanto tempo penso di essermi fatto troppi complimenti nel senso che come accade a molti giovani allenatori ero molto più concentrato su quello che pensavano di me piuttosto che sull’essenza del mio lavoro. Dopo tanti anni questa cosa è cambiata completamente. Alleno per il piacere di farlo e per migliorarmi, e quindi più che dirmi che sono bravo cerco di capire cosa fare per essere ancora più bravo

Ti è mai capitato di avere un’atleta con la quale non andavi proprio d’accordo ma con la quale ti sei imposto di avere comunque un comportamento distaccato per salvaguardare la squadra. Una giocatrice “insopportabile” ma molto brava e molto importante della squadra per cui sei andato oltre. E se sì, come hai gestito la situazione?

Si, è capitato, perché è una cosa normale. Non possiamo andare d’accordo con tutti. Ho cercato di gestirla facendo in modo di arrivare in fondo alla stagione. Oggi la mia ricerca è volta sempre di più ad avere atlete con la mente dinamica, pronte ai cambiamenti, a migliorarsi, a fare cose nuove, a differenza di quegli atleti più statici che preferiscono fare solo ciò che sono già capaci di fare. In fase di scelta degli atleti tengo conto di questo aspetto.

Ti è mai capitato di fare scelte più basate su un risvolto umano che tecnico? Esempio schierare una giocatrice più perché “se lo meritava” magari per il suo impegno, andando contro a quello che era l’interesse della squadra? O al contrario, hai tenuto in panchina una giocatrice “antipatica” anche se meritava di giocare per l’utilità di squadra?

Questo direi di no, nel senso che cerco sempre di mettere in campo quelle che reputo le giocatrici migliori. Se per assurdo mi dovesse capitare di avere una discussione con un’atleta, se quell’atleta merita di stare nel sestetto io la schiero. Cerco sempre di mettere in campo le giocatrici che in quel momento sono più utili per la squadra.

Si parla sempre più spesso di mental coach. E’ una figura che tu prevedi nel tuo staff di una squadra giovanile? Cosa ne pensi?

Se parliamo di un professionista competente, penso possa essere di grande aiuto. Personalmente collaboro con un metal coach da un paio d’anni e molte cose che sto proponendo, tipo le autovalutazioni vengono fuori da un lavoro comune e l’esperienza che sto facendo in tal senso la ritengo molto utile.

Se tu avessi il potere di cambiare la pallavolo a livello di regolamenti, organizzazione, ci sono delle modifiche che apporteresti per il bene del movimento? Ti faccio due esempi: la mia idea personale è che nei maschi bisognerebbe alzare la rete. Giocatori di 2,20 metri che giocano con la rete a 2,43 mi sembra ormai anacronistico. Così invece come nei campionati universitari USA dove il libero batte (cosa che non mi trova completamente d’accordo) forse si potrebbe lasciare libera scelta agli allenatori se far battere il centrale o il libero. Qualcuno mi ha detto che tornerebbe all’under 19, in modo che la giocatrice di 5° superiore possa completare il percorso nella sua squadra. Che idee hai a riguardo?

Sul discorso dell’under 19 condivido pienamente perché siccome molte squadre in Italia prendono giocatrici fuori sede e al termine dell’under 18 le lasciano, siccome che l’under 18 corrisponde con la quarta superiore, succede che le ragazze si trovano a dover fare il quinto anno di scuola in una città diversa rispetto a quella dove hanno fatto il quarto anno. Detto questo mi vengono in mente due cose. La prima è che se pensi che la rete a 2,43 per i maschi sia troppo bassa, pensa che nell’under 13 femminile la rete è a 2,15. Questa penso che sia una cosa demenziale, perché è assurdo che tra un bambino di 13 anni e un campione senior ci siano solo 28 centimetri di differenza riguardo l’altezza della rete. Chi ha fatto queste scelte non ha la minima conoscenza di cosa voglia dire insegnare la pallavolo in quella fascia di età. Io quando vado in palestra con le under 13 metto la rete a 1,75/1,80, proprio per cercare di farle giocare come se fossero Zaitsev. E se c’è una ragazzina che già in under 13 è alta 1,85 bisogna togliere la ragazza dal gruppo under 13 e portarla nella squadra della under 14 o under 16. Sta al buon senso dell’allenatore non fare allenare un talento assoluto con l’under 13 ma farlo allenare con un altro gruppo. E quindi la prima cosa che farei è che abbasserei la rete nel giovanile femminile under 13 e under 14. Nell’under 13 maschile la rete è 2,05 e nell’under 13 femminile è 2,15: è una cosa che non ha senso. La seconda cosa è relativa al fatto che i giovani talenti devono fare il loro percorso con i più grandi, non con i pari età, che debbano confrontarsi con la realtà. Quindi creare delle strutture dove i giovani hanno il posto fisso sicuro e garantito, dove tutto è ovattato, programmato, pianificato, non sia utile per formare la mentalità da leader che è quella che piace a me.

Per finire ti chiedo un consiglio da dare agli allenatori che ci stanno ascoltando:

Facciamo divertire i nostri ragazzi, sviluppando la loro creatività, facendo allenamento con il sorriso, sia noi che loro. Quando parlo di creatività intendo sviluppare la creatività degli atleti: non aver paura di sbagliare, cercare sempre qualche situazione nuova, dei colpi nuovi, non codificare tutto con delle regole rigide e immutabili. Che poi è quello che ci insegnano i campioni, mi viene in mente Ngapeth, Cristiano Ronaldo, Messi. I campioni non fanno delle cose rigide ma fanno delle cose da campioni. E noi dobbiamo cercare di farle fare anche ai nostri giovani le cose da campioni, perché sicuramente questa è la strada migliore per svilupparli nella loro pienezza


Questi i link attraverso i quali potrete riascoltare l'intervista in oggetto sul canale COACH FACTOR della piattaforma YouTube

https://youtu.be/tFk1sbV7FyI

https://youtu.be/kZp1N-Cyh8o

https://youtu.be/maWAYH6dTA4

 


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