Alla fine
degli anni 70 Torino è una città ferita. Alle ore 13,55 del 16 novembre del
1977, il giornalista e scrittore Carlo Casalegno mentre sta facendo ritorno a
casa, viene raggiunto da quattro colpi di pistola sparati in pieno volto da un
gruppo appartenente alla colonna torinese delle Brigate Rosse. La sua colpa,
pubblicare articoli dal contenuto ostile alla lotta armata che in quegli anni
insanguinava il nostro paese. Casalegno, pur avendo subito gravissime lesioni non muore subito. Morirà tredici
giorni dopo, Il 29 novembre del 1977.
La Torino di
quegli anni sta vivendo l’immenso fenomeno dell’immigrazione di massa dal sud
della penisola. La Fiat, la grande industria automobilistica della famiglia
Agnelli diventata tale negli anni del boom economico italiano, quelli compresi
tra gli anni cinquanta e sessanta, richiama nella città piemontese migliaia e
migliaia di persone tra operai ed impiegati. Il capoluogo piemontese è il
simbolo della lotta di classe attraverso i suoi due estremi. L’immensa
imprenditoria piemontese, che si ritrova per il thé nei salotti borghesi del
centro e a pochi chilometri di distanza, nelle periferie torinesi, gli operai,
le tute blu. Migliaia di immigrati da ogni parte d’Italia che vivono in edifici
fatiscenti, ubicati in strade spesso prive delle opere di urbanizzazione
primaria. Quartieri dormitorio in cui le persone si incrociano soltanto nell’andare
e nel tornare dalla grande fabbrica.
Torino è una
città in grande fermento. Lo è anche dal punto di vista sportivo. In città ci
sono due squadre di calcio: la Juventus, la squadra dei “padroni” e il Torino,
la squadra del “popolo”. Entrambe sono ai vertici del calcio italiano. Sono gli
anni di Zoff, Cabrini e Pablito Rossi così come gli ultimi squilli di tromba
del “poeta” Claudio Sala e dei “gemelli del gol” Pulici e Graziani. Ma oltre al
calcio c’è un altro fenomeno sportivo che sta iniziando a far parlare di sé in
città. La squadra di pallavolo, il Cus Torino Volley.
La società, fondata
nel 1952, a metà degli anni ’60 approda nella serie cadetta. Vi rimane fino al
1972, anno in cui ottiene la promozione in serie A. La stagione 1972/73 è
quella che vede per la prima volta la squadra giocare nella massima serie. E’ allenata
da Franco Leone e schiera una rosa composta da Candia, Centalla, Fasson,
Forlani A., Forlani G., Gatti, Gioia, Martorano, Pellissero, Piola,
Scaccabarozzi, Cholov, Testori, Tori e un giovanissimo Gianni Lanfranco. Lanfranco
è un ragazzo torinese di sedici anni che ha iniziato a praticare sport giocando
come portiere nelle giovanili del Torino. Negli anni del liceo il professore di
educazione fisica lo “arruola” per la squadra di volley, sport verso il quale
Lanfranco possiede un vero e proprio talento. Per lui bagher, alzate,
schiacciate e muri sono veri e propri talenti che la natura gli ha donato.
Lanfranco li esegue con grande naturalezza e senza alcuna fatica. Tutto questo,
congiuntamente a doti di salto fuori dal comune lo convincono a traslocare
verso il volley. Diventerà un giocatore universale. Prima un palleggiatore con
spiccate doti anche di schiacciatore e poi un centrale, uno dei centrali più
forti al mondo, di fatto un’icona, l’idolo della pallavolo italiana degli anni
Settanta e Ottanta.
Nella stagione 1972/73
sono Ruini Firenze, Panini Modena e Lubiam Bologna a contendersi lo scudetto. Torino
fatica a stare a quei livelli e chiude la stagione al terzultimo posto con otto
punti frutto di quattro partite vinte e ben diciotto perse. Teoricamente
sarebbe retrocessione ma l’allargamento a 14 squadre della serie A deciso dalla
Federazione, ripesca tutte le retrocesse e quindi il Cus Torino è salvo.
Nella stagione
successiva Torino inserisce nella rosa un paio di giocatori di ottimo livello.
Diego Borgna, classe 1953, posto quattro di grande sostanza, ma soprattutto un
palleggiatore che ha fatto la storia della volley, il bulgaro Dimitar Karov
regista della Bulgaria quarta alle olimpiadi di Monaco 72. L’intelligenza
tattica e la sapienti mani del bulgaro alzano il livello qualitativo della
squadra, che si classifica al quinto posto finale con 32 punti.
Ma è nell’anno
successivo, stagione 1974/75, che il Cus Torino cresce in maniera esponenziale
e sfiora la conquista dello scudetto. In un epoca in cui ancora non esistevano
i playoff si classifica seconda, con solo due punti in meno dell’Ariccia Roma
di Renato Ammannito che può schierare un sestetto composto da Mario Mattioli in
cabina di regia, dal lungagnone Di Coste opposto, da Salemme e Coletti centrali
ed infine dalla coppia Nencini - Kirk Kilgour, lo statunitense volante, a
schiacciare da posto quattro.
Torino ci prende
gusto e la stagione successiva, 1975/76, regala al Cus la novità dello sponsor “Klippan”, che porta una ventata d’ossigeno nelle casse della
società piemontese. L’ex tecnico - factotum Franco Leone, che a Torino è un
istituzione della pallavolo, prende posto dietro la scrivania più importante
della società e fa accomodare in panchina il bulgaro Karov, utilizzandolo nel
doppio ruolo di allenatore – giocatore. Per irrobustire il reparto degli schiacciatori
scippa la Panini Modena di uno dei giocatori più forti d’Italia, l’esperto e
pluriscudettato Andrea Nannini, 31 anni, di ruolo universale e straordinario ricevitore.
Sarà proprio una lotta testa a testa tra Torino e Modena, il leitmotiv
dell’intera stagione. Le due compagini concludono la stagione a pari punti e
servirà uno spareggio al PalaLido di Milano per assegnare il titolo di Campione
d’Italia. Saranno i modenesi, che schierano un 4-2 con Dall’Olio e Morandi in
cabina di regia, Skorek e Montorsi centrali con grandi doti di attaccanti (Skorek
attacca anche dalla seconda linea, rarità assoluta per la pallavolo di quegli
anni) e Sibani e Giovenzana schierati nel ruolo di schiacciatori, ad avere la
meglio con un 3-0 senza storia (15-12, 15-12, 15-5 i parziali)
I dirigenti di
Torino sono convinti che l’epoca Karov stia volgendo al termine e per sostituirlo
si rivolgono ad un esperto palleggiatore cecoslovacco, il fuoriclasse Jiri
Svoboda, già campione d’Italia con la Pallavolo Parma nella stagione 1968/69 .
Karov non gradisce la scelta e prepara le valigie, liberando oltre che il posto
in regia anche quello di allenatore. Franco Leone , senza esitazione alcuna, fa
accomodare in panchina un giovane tecnico, Silvano Prandi, di San Benedetto
Belbo, che nel 1972 aveva terminato la carriera di atleta proprio nel Cus
Torino. Un’intuizione che risulterà geniale dal momento che il “professore” (il
soprannome che contraddistinguerà la carriera di Silvano Prandi) verrà
consacrato alla storia come uno dei tecnici più vincenti e apprezzati della
pallavolo non solo italiana ma mondiale. Prandi imposta una squadra giovane, consapevole
che nel medio - lungo termine potrà diventare di primo livello. Perde Andrea
Nannini che si trasferisce al Gonzaga Milano di Walter Rapetti ma questo non lo
demoralizza, anzi. Sempre più convinto che la politica migliore sia quella di
puntare sui giovani porta in prima squadra due giovani talenti “autoctoni”, il
palleggiatore - attaccante Piero Rebaudengo, antesignano del target del
palleggiatore moderno e Giancarlo Dametto, centrale dotato di uno spiccato
talento naturale nel fondamentale del muro. Due atleti che nei rispettivi ruoli,
diventeranno giocatori di levatura mondiale.
L’era Prandi si
apre con un onorevole quarto posto, in una stagione che laureerà campione
d’Italia la Federlazio Roma di Mario Mattioli. Nella stagione successiva, 1977/78,
i piemontesi scaleranno un’ulteriore posizione chiudendo al terzo posto dietro
a Roma e alla Paoletti Catania neo campione d’Italia.
Dopo due anni di
rodaggio, nella stagione 1978/79, Prandi può presentare ai nastri di partenza una
squadra che oltre al talento ha acquisito l’esperienza necessaria per
affrontare da protagonista la nostra serie A. Conferma l’intera rosa di atleti
in cui spicca sempre di più un giovane schiacciatore friulano, Franco Bertoli, acquistato nel corso
dell’estate 1977 dalla Dermatrophine Padova, che grazie alla potenza delle sue
schiacciate verrà soprannominato “mano di pietra”. Prandi, oltre che ad essere
un rinomato insegnante di pallavolo, è anche un eminente studioso di tecniche e
metodologie di allenamento e di gioco. E proprio studiando i migliori, vale a
dire i mostri sovietici, che in quegli anni stanno dominando la scena mondiale,
capisce che in quella pallavolo che ancora si gioca con il cambio palla, due
fondamentali ancor più degli altri potevano diventare decisivi: la battuta e il
muro. Saranno proprio le battute potenti e precise (Franco Bertoli sarà tra i
primi a sdoganare la battuta in salto) e i muri granitici dei piemontesi a
mettere il cappio al collo al cambio palla delle squadre avversarie. La Klippan
schiera un 4-2 di grande sostanza con Rebaudengo e Gianni Lanfranco a smistare
il traffico e ad attaccare come veri e propri martelli, Pilotti e Dametto
centrali in stile sovietico dal muro invalicabile e in posto quattro due
schiacciatori che si completano l’un l’altro: Bertoli martello di palla alta
devastante e Borgna uomo d’ordine e di equilibrio. La squadra cresce partita
dopo partita e al termine di una cavalcata straordinaria, prima affianca Modena
e poi nell’ultima giornata in un PalaRuffini gremito da oltre settemila tifosi
la supera, schiantandola con un 3-0 senza storia che lascerà ai canarini
guidati dal Prof. Guidetti la miseria di 18 punti complessivi. Per la prima
volta Torino può festeggiare uno scudetto anche nella pallavolo.
La stagione successiva, 1979/80, è
trionfale. Torino, oltre che confermarsi campione d’Italia con sei punti di
vantaggio sulla Paoletti Catania, riesce a conquistare anche il trofeo continentale
più ambito, la Coppa dei Campioni. E’ la prima squadra dell’Europa dell’Ovest
ad aggiudicarsi il titolo di Campione d’Europa, riuscendo a battere nella
Finale di Ankara, i cecoslovacchi della Stella Rossa di Bratislava con un netto
3-0.
L’estate del 1980 ha un sapore
agrodolce per i piemontesi. Da un lato l’arrivo di un nuovo e ricco sponsor,
Robedikappa, importante marchio torinese. Dall’altro, il “golden boy” della pallavolo italiana Gianni
Lanfranco, che nel frattempo ha cambiato ruolo diventando uno dei centrali più
forti del mondo, passa alla ricca Santal Parma. Il patron Callisto Tanzi
gli ha offerto non solo un principesco contratto ma anche il ruolo di
testimonial della squadra emiliana. Franco Leone non può dar nulla per trattenerlo a Torino ma riesce a sostituirlo
con un altro totem della pallavolo europea, il bulgaro Dimitar Zlatanov.
Il centralone dell’est europeo, alto, potente ed esperto, ha appena vinto la
medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca e non fa rimpiangere il Gianni
nazionale. Prandi da buon stratega ha modificato il modulo di gioco passando
alla formula del palleggiatore unico, Rebaudengo e inserendo l’universale
Pilotti nel ruolo di opposto. Zlatanov e Dametto sono le due saracinesche al
centro della rete, mentre Bertoli e Borgna continuano ad essere la coppia di
martelli più efficace della nostra serie A. La squadra si laurea Campione
d’Italia con quattro giornate di anticipo vincendo tutte le ventidue gare in
programma perdendo soltanto sette set nell’intero campionato. Un vero e proprio
rullo compressore. Le cose non vanno altrettanto bene in Europa. Il sorteggio
dei quarti di finale non è benevolo per i piemontesi che nell’urna pescano i
fortissimi sovietici del CSKA Mosca di Savin, Moliboga e Pancenko, che si
aggiudicano entrambe le gare di andata e ritorno eliminando gli uomini di
Prandi.
La stagione 1981/82 porta con sé una novità
rivoluzionaria per la pallavolo italiana: l’introduzione dei playoff scudetto,
e dopo due scudetti consecutivi la Robedikappa dovrà lasciare strada ad una
grandissima Santal Parma. I parmensi, guidati dal funambolico Kim Ho Chul in
cabina di regia, si classificano al secondo posto in regular season ma nei play
off sciorinano le loro migliori prestazioni stagionali, eliminando prima il
Latte Cigno Chieti e poi la Panini Modena. La gara due della semifinale tra
Panini e Santal rimarrà storica per il 3-0 a tavolino a favore degli emiliani
(sul campo la vittoria era andata a Modena per 3-1) a causa dell’infortunio
occorso al palleggiatore Kim Ho Chul, ferito al viso da una monetina lanciata
in campo da un tifoso modenese durante l’incontro stesso. Gara 1 e gara 2 della
finale si chiudono entrambe 3-0 per la squadra di casa e si va quindi a gara 3,
dove gli uomini di mister Claudio Piazza si impongono con un perentorio 3-1
davanti a dodicimila persone che gremiscono gli spalti del Palazzo della Vela
di Torino. Nemmeno l’Europa sorride a Rebaudengo. Dopo aver eliminato gli
ostici Cecoslovacchi della Stella Rossa di Bratislava, i torinesi conquistano l’accesso
alla Final Four di Parigi insieme agli ellenici dell’Olympiakos di Atene, ai
rumeni della Dinamo Bucarest e i mostri sacri sovietici dell’Armata Rossa di
Mosca, quel CSKA che pare essere imbattibile. Nella capitale francese la
squadra Italiana parte bene battendo piuttosto agevolmente sia i greci che i
rumeni, ma nella terza partita si deve arrendere allo strapotere dell’orso
sovietico che con un 3-1 impone la sua implacabile legge.
L’estate del 1982
vede un profondo rinnovamento in casa Kappa. Hanno salutato la compagnia Diego Borgna
con destinazione Pescara e Zlatanov attratto dagli yen Giapponesi. Leona e
Prandi li hanno sostituiti con lo yankee Tim Howland e con il giovane Guido De
Luigi. Howland è un ventitreenne di Los Angeles di 194 centimetri. Fisico
scultoreo, proviene dal Beach Volley e si destreggia con estrema padronanza in
tutti i fondamentali. Genio e sregolatezza, eccentrico, stravagante, con una
vita privata ricca di eccessi, ma nello stesso tempo grandissimo professionista
e trascinatore in palestra. Lo statunitense verrà schierato da Prandi nel ruolo
di schiacciatore di posto quattro dove grazie alla sua grande personalità
abbinata a doti fisiche e tecniche di prim’ordine risulterà essere uno degli schiacciatori
migliori della nostra serie A. Guido De Luigi, torinese di 19 anni e 199
centimetri, proviene dalla “cantera” torinese e come tutti i centrali di scuola
Prandi non è particolarmente appariscente ma molto efficace, soprattutto nel
fondamentale del muro. Torino vince la regular season con quattro punti di
vantaggio sulla Santal Parma dopo un testa a testa durato tuta la stagione. I
play off iniziano bene. Elimina in due partite il Gandi Firenze allenato da
Mario Mattioli ed in semifinale la Panini Modena. In finale, esattamente come
dodici mesi prima, ritrova la Santal. Gara 1 è un netto 3-0 a favore di Torino,
che sembra far presagire un ritorno dello scudetto sotto la Mole. Parma però ha
sette vite. Risorge in gara 2 con un tiratissimo 3-2 e si impone in gara tre, dove
avrà la meglio espugnando il PalaRuffini con un 3-0 al termine di una partita
perfetta. Per il secondo anno consecutivo la Kappa Torino non ha fortuna
nemmeno in campo europeo. Riesce ad accedere alla finale di Coppa delle Coppe
ma ne esce sconfitta dai sovietici dell’Autolobilst di Leningrado guidati magistralmente
in regia da un sontuoso Viceslav Zaitsev.
L’annata 1983/84
è quella in cui la Federazione Italiana Pallavolo concede ai nostri club la
possibilità di tesserare il secondo straniero. Torino deve registrare
l’ennesimo brutto colpo: Franco Bertoli, dopo sei stagioni passate a randellare
al PalaRuffini saluta Prandi e compagni e si accasa nella ricca Modena che gli offre
un contratto principesco. Più che un buco, la perdita di Bertoli apre una vera
e propria voragine nell’assetto offensivo del sestetto torinese per colmare la
quale sarà necessaria una maestosa intuizione di Leone e Prandi. I due, fini conoscitori
della pallavolo europea e mondiale, avevano da tempo messo gli occhi su un
ventenne svedese, Bengt Gustafson. 195 centimetri di potenza pura, l’atleta
nordico è dotato di un salto naturale impressionante, di un’ottima tecnica
individuale, di una “spallata” che impressiona e non per ultimo di una smisurata
bellezza stilistica. Decidono di portarlo a Torino e non avranno da pentirsene dal
momento che Bengt diventerà uno dei martelli più forti di tutti i tempi della
pallavolo mondiale. Ai nastri di partenza le grandi favorite sono Parma,
campione uscente, e Modena che con gli acquisti di Franco Bertoli, Ljubomir
Travica, potente martello jugoslavo e Gianmarco Venturi, fantasioso
palleggiatore romagnolo ha consegnato al neo tecnico Andrea Nannini una vera e
propria fuoriserie.
Tra le due
litiganti, sarà però proprio Torino a godere. Nel “PrandiLab” lavorando e
sudando in silenzio, i piemontesi stanno costruendo un gioiellino perfetto.
L’anno precedente avevano acquistato un giovanissimo talento toscano, Fabio
Vullo, 198 centimetri di tecnica e personalità. Vullo palleggia come i miglior
alzatori, attacca con l’efficienza dei re della schiacciata ed in campo mette
in mostra una personalità impressionante per la sua giovane età. Prandi,
considerando le caratteristiche dei propri giocatori, rispolvera il modulo 4-2
che ormai tutti avevano messo in soffitta e schiera Piero Rebaudengo e Fabio
Vullo a fare gioco e a randellare da posto due. Al centro della rete affianca
al re dei muri Giancarlo Dametto il giovane Fabio De Luigi, atleta di grande
sostanza ed efficacia nei fondamentali del muro e dell’attacco di primo tempo.
In posto quattro, insieme al californiano Tim Howland, c’è Bengt Gustafson, lo
svedese volante. Torino vince la regular season con venti vittorie su ventidue
gare e ai play off è un vero e proprio rullo compressore. Nei quarti di finale
elimina il Kutiba Falconara di Marco Paolini con un doppio 3-1, ed in semifinale
regola i bolognesi della Bartolini anch’essi in due partite. Completa la sua
straordinaria cavalcata vincendo la finale scudetto in sole due partite, nelle
quali, al termine di due gare perfette (3-0 a Torino e 3-1 a Parma) batterà la
Santal Parma con i due martelli Howland e Gustafson sugli scudi. A mettere la
ciliegina sulla torta arriva anche la vittoria in Coppa delle Coppe contro gli
iberici del Club Voleibol Pòrtol
Alla termine di
quella straordinaria stagione Torino perde la sponsorizzazione Robe di Kappa.
Tornerà a giocare prima come Cus Torino e poi per tre successive annate con lo
sponsor Bistefani. A causa di un budget che anno dopo anno si riduce sempre di
più, Torino è costretta a privarsi uno ad uno dei suoi gioielli. I primi ad
andarsene, nella stagione 1984/85, saranno il palleggiatore Piero Rebaudengo alla
volta di Parma e il centrale Dametto che si accaserà sempre sull’asse della via
Emilia, a Modena. Nella stagione successiva saluteranno Torino Bengt Gustafson,
direzione Parma, Howland, Kutiba Falconara mentre Vullo saluterà la Mole nella
stagione 1986/87 trasferendosi a Modena per occupare la cabina di regia
lasciata vacante dal grande Pupa Dall’Olio. Della grande squadra del 1983/84
rimangono solo Guido De Luigi in campo e Silvano Prandi in panchina. La perdita
di tutti questi campioni, l’allontanamento da parte dei principali sponsor e i
costi di gestione sempre più rilevanti di una pallavolo italiana lanciatissima verso
il professionismo, costringono il club torinese a rinunciare all’iscrizione del
campionato 1988/89. Cederà il titolo sportivo a Cuneo, piazza che negli anni
90/2000 diventerà di primo livello nazionale. Torino sparisce dai radar della
grande pallavolo ma quei sedici anni vissuti ai vertici della pallavolo
italiana rimarranno scolpiti per sempre nella storia dello sport del nostro
paese. Perchè quella squadra, fatta di grandi uomini e di grandi campioni, con
i suo record delle 51 partite di campionato vinte consecutivamente (dal 12
gennaio 1980 al 10 marzo ’82), con i 46 successi consecutivi al PalaRuffini, con
le sei Regular Season consecutive chiuse al primo posto e con la prima Coppa
dei Campioni vinta da un club italiano, è passata direttamente alla leggenda.